Home Blog Pagina 425

da “NON SEMPRE RICORDANO poema epico”

27

dscf6106

di Patrizia Vicinelli

Parte terza

No agli zar, ovvero la fuga

Gridarono: !B.A.S.T.A.!
A UNA CLASSE DI ZAR.
Scoppiano coltelli all’addome
parallelamente traforando colpiscono
quelli che meditano e quelli che compiono.
Tobia che era anche un contadino, pensa:
“Loro in sé – così si espresse – ? compiuti,
non erano male, ma quello che essi rappresentavano,
esecrabile, olé!”
e sentì il bisogno di dirlo,
una revolución pequeña,
per liberarsi della colpa dopo
perché anche lui l’aveva colpito
uccidendolo
aveva preso parte, ecc.
(el patron de la farma).

Loca II: Le città sottili. 3. Armilla

75

©,\\’ Orsola Puecher

 
   di Italo Calvino
 
   Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città. Eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati prima dell’arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.

due passi ( fare )

25

Luigia

sono ora al tuo cespuglio
in quella tinta cresciuta
dalla nostra sostanza immensa
la voce staccata dal corpo
segna l’opera il taglio della carne
nel frammento
tutto l’occhio avanza
fino a te che ascolti
il gocciare, piccole macchie
sulla tela,
quel lampo
che ferisce il sogno colpendolo
in pieno viso
la mutilazione,
la sagoma del tronco diviso
il ricovero della carne
nella separazione
con i mattini ventosi sull’acqua
tutta colma
la materia del giardino colpita
così illuminata e sola la luce
da sé sparsa

scorporata

il cespuglio, il cespuglio caro

yves-saint-laurent-chaussures-2

Franco

Siamo pronti all’amore quando gli altri se ne vanno. L’amore è un sentimento che nasce sulle rovine, non dentro le case arredate. L’amore nasce quando ci tagliano le mani e noi proviamo ad accarezzare l’altro con l’arto fantasma. Non c’è mai l’amore quando siamo reciprocamente gentili e disponibili, quando capiamo gli altri e noi stessi. L’amore, come la poesia, è dentro fessure in cui cadiamo, è una storta della nostra vita, è una rottura dei legamenti, non una cosa che ci unisce. L’amore ci fa più soli e perduti, non ci mette in pace con niente e con nessuno, ci rende indisponibili alla saggezza, ci fa vedere che la vita è sempre piccola e ottusa quando non è squarciata dalla morte, dal desiderio inappagato. L’amore ci prende per toglierci dalle manfrine di quello che facciamo e diciamo ogni giorno. L’amore non è una faccenda che riguarda il nostro corpo o quello degli altri, ma il vuoto di cui siamo composti, è una faccenda che riguarda le stelle che luccicano nel buio delle ossa.

Il volo [Eracle #5]

7

zwr1yxjkmq_42941_1_1805_1

Eracle era un pensatore

di Ginevra Bompiani

Quando si alzavano in volo oscuravano il cielo. Dall’alto della collina, seduto con l’arco e le nacchere di bronzo appoggiate accanto, Eracle aspettava quel momento. Sotto di lui c’erano le paludi grigie, quasi immobili, se non per le bolle d’acqua che ciotoli che ruzzolavano o rane che si tuffavano aprivano le canne. Ma in mezzo, acquattati tra le foglie dei giunchi, c’erano loro, gli aguzzi, i becchi affusolati, taglienti come temperini, e una sull’altra strusciavano come aghi da calza le penne acuminate.

Su “L’età estrema” di Romano Luperini

2

di Nadia Cavalera

L’anticamera della morte

Chi volesse solo distrarsi, svagarsi, non lo legga. “L’età estrema” (Sellerio, 2008) di Romano Luperini non è per nulla divertente, nel senso etimologico originario (e quindi poi nella comune accezione odierna), ma anzi è convergente, nel senso che non storna, non allontana, ma concentra, in maniera spietata, l’attenzione del lettore sull’assillo principale di ogni essere umano (che ne abbia coscienza o no), e, secondo me, anche di ogni essere vivente (sebbene non si sia ancora in grado di dimostrarlo): la morte. Inevitabile per tutti. E così angosciante per qualcuno, come l’io narrante di questa storia, da volerla anticipare. «Mi agito mi muovo mi precipito in posti lontani. Fuggo la morte e mi accorgo di correrle incontro», (p.12)

due passi ( fare )

19

Helena

Ho una piccola penna nel portafoglio
che hai strappato via due giorni dopo
all’ala azzurra che forse ha condannato
un uccellino ignoto sotto ai tuoi occhi.

Gli hai dato acqua che non riusciva a bere,
gli hai offerto cibo che non credevo adatto:
volevi dargli cioccolato in mancanza d’altro,
finendo per spaccargli col piede di una sedia
i primi pinoli che hai raccolto.

Con cura e carezze di un bambino
che si rispecchia in un simile di un’altra specie,
l’hai snaturato. Per salvarlo. Per scoprire
che non sanguina e non scoppia,
che è fatica dentro e non l’arresti,
la morte che fa schifo ed è ingiusta.

Da morto gli hai dato un nome: Cresselia
L’hai chiamato come una creatura d’aria
venuta da Oriente con un videogioco.
Hai pensato una preghiera vicino al suo corpo.
Hai strappato una piuma per portarla addosso
senza paura di contaminarti.
Hai fatto tutto giusto.

Come facevi a sapere che si nutre di ghiande,
che è diffusa dalla Maremma al Giappone,
se non ti fosti evoluto senza saperlo
come un Pokémon di specie leggendaria,
sino a ritrovarti in una ghiandaia giovane
per amore e per bisogno.

car-shoe-stor__b375m

Carmine

Capisci, è successo qualcosa
Una delle Erinni ha smesso di vendicarsi
Ha interrotto il discorso
Dai treni si vedono alberi
E lontano come in un disegno, un fiume

Il cielo turchese è già andato
Si vede l’amaranto e il rantolo del sole
un cane abbaia al nulla della notte
è una misura colma d’acqua

Ci assolve il giorno e la vista di una tigre occasionale
i nostri atomi trasformano gli spazi
si ostinano ad andare
si schiudono
reagiscono

si fanno gioielli
comete
cristalli

lo sai che sparano ancora gli uomini
agli uccelli?
È per questo che dal cielo cade un rosso sangue
Che finisce nel nero del catrame
Che provoca il dolore e l’animale
Una sorta di macelleria stellare

Poi ti svegli
E senti
Tu la mia voce
E non è un sogno
Dall’altra parte della strada
Gli spazzini sono già al lavoro

Gli uccelli in fila guardano
Cade la neve d’agosto
Il rumore è bianco

due passi ( fare )

16

franz

Francesca & Franz

I
Siamo nella nevrosi abbandonati
a noi stessi, stelle sverse, già perse
senza più luce noi due disgraziati.
II
Abbandonati a nevrosi perverse
sole nero tu, luna senza luce
io, adombrata da terre emerse.
III
Io, a metà della notte che cuce
secondi, le ore maltolte al giorno
le speranze che la veglia riduce
IV
in distanze, per andata e ritorno
di luce e ombra, di chiaro e di scuro
da cui io fuggo e per sempre ritorno
V
al destino, che a volte è il pane duro
di una mensa di grigio quotidiano
che a volte si è imbandita al sole puro.
VI
Sole puro, demone meridiano
della mia cecità il colpevole
dei miei occhi lo specchio e il guardiano.
VII
E così sia, per sempre mutevole,
la vita che ci guarda, gatto fedele,
ci avverte con ghigno consapevole.
VIII
Chiamo luce, accendo due candele
a propiziarti la tua buona stella
in spirito dell’aria, dolce Ariele.
IX
E chiamo il vento, che curi la bella
pelle di ieri per oggi e in futuro
e acqua, che a un corso nuovo sia sella
X
di ippocampo, e chiedo per te amore,
fuoco, di nuovo luce, padre, sole
che scaldi ossa e allevi dal dolore.

due passi (fare)

2

Anna Maria

poesia per un lorenzo
anche stanotte il cielo ci ha tradito
delle stelle promesse neanche una
soltanto una lampara disattenta
e un semaforo giallo permanente
questo è il nostro paesaggio
o meglio era
nel perchè dalle sedie addormentate
guarda è l’azzurro sotto la cabina
e il gabbiano di tutti i mezzogiorno
in pausa pranzo e arriva la controra.
C’era quel tetto forse albero o forma
c’era l’impertinenza della vita
angolo retto lumaca o formica
ecco un veliero con la meridiana
guarda sul ponte è ferma la clessidra
è giorno già da tempo intorno a noi.

scarpe-boogie-woogie-uomo-copy1

Lorenzo

Il vaso si è infranto
e livide schegge impazzite
corrono urtandosi
lungo pavimenti di pietra
resi tremanti
dall’incombente bufera
che tutto scardina
e divora
avvampando di fuoco
i sensi reclusi
sotto fitta coltre di terra
che ora brama ardere
bruciare svanire
e scintille come lame
si conficcano nella pelle
scavano la carne
che sgretola lenta
penetrano fiamme
entro densi tessuti
fendono muscoli e nervi
consumato il corpo
si purifica il pensiero
si fa anima la carne.

MANCINI

14

di Stefania Parmeggiani

Il 13 agosto è la giornata internazionale del mancinismo.
Quest’anno l’esclamazione che accompagna la ricorrenza è scontata: “Yes we can”. A dettarla il presidente americano Barack Obama che prima di conquistare la Casa Bianca conquistò gli elettori “sinistri”. E dire che non era una missione facile: anche il candidato repubblicano John McCain firmava con la mano “sbagliata”.
Il 13 agosto è di quel 10% del mondo, capi di Stato e calciatori compresi, che si appoggia alla sinistra non solo per scrivere, ma anche per saltare o scattare una fotografia, a seconda della gradazione del fenomeno. Nel 1976 l’associazione “Lefthanders International” scelse questa data perché cadeva di venerdì. Come a dire: “Noi mancini pensiamo il mondo alla rovescia, anche per le superstizioni”. Uno scarto deciso rispetto al passato, un invito ad abbattere i pregiudizi, almeno quelli linguistici.

due passi (fare)

12

Mariasole

funebre
I raccoglitori di fiori
si atteggiano
all’alba dei vecchi
con carri mascherati,
e cavità
poco profonde.
Celeri messaggeri
dei semi
e delle donne,
ridono
discutono all’infinito
sull’esistenza
dell’acqua.

E il cielo in ombra
e il tempo stretto
e la vertigine
non hanno tempo
per aspettare il peggio.
La terra
è un canto adulto.

51h1m5jybvl_aa280_gif

Andrea

Gli anni passati si chiudono qui.
Gli anni iniziati non trovano posto
nel conto di vita che c’è.
Di quanto ho vissuto ridico:
un ago piantato nel piede,
una chiazza di sperma,
una mano sul capo.
Di quanto non vivo vivrò ricontando
ritrovo paure, un abisso, una specie
pietosa di scambio di voglie.
Anima sola, lasciarmi,
ti chiedo e ti dico: non torna.
Passando, passavi, sarà.

Periscoop

21

foto-k-periscoop

di Giovanni Campi

plotone d’esecuzione

“Mon dieu! Ô mon dieu!” – disse il Signore.
La vita del signore era stata costellata da una serie di avvenimenti a dir poco sconcertanti, l’ultimo dei quali era appunto di trovarsi, tradito da uno, e ancor di più da tutti coloro non l’avevan creduto, dinnanzi dinnanzi ad una platea fatta di persone pronte a tutto sì ma non al perdono. Come se il perdono non fosse fatto per costoro, come se il perdono non esistesse punto.

SIGUR ROS Glósóli

30


 
Sigur Ros
 
Glósóli
 
Nú vaknar þú
Allt virðist vera breytt
Eg gægist út
En er svo ekki neitt
Ur-skóna finn svo
A náttfötum hún
I draumi fann svo
Eg hékk á koðnun?

Catalunya #3

10

di Antonio Sparzani

Sant Michel de Cuixa
Sant Michel de Cuixa

Non riesco a guardare Barcellona senza che gli occhi della memoria vadano per conto loro in giro per il mondo dietro alle fantasie nuove e anche vecchie che questa città mi suggerisce anche con un solo accenno una sfumatura un guizzo la prima volta a Cuixa che si pronuncia cushà tutto sembrava strano una sola cosa mi era chiara e cioè che quei monaci benedettini facevano una strada che da qualche altra parte stavo percorrendo anch’io che stavo allora uscendo dal mondo cattolico nella babele del dissenso prima leggero e poi come quando una crepa si allarga ed è inevitabile che tutto passi e magari anche il bambino con l’acqua sporca e forse così deve essere la prima fase di queste rotture che se non sono complete non si compiono davvero è solo in seguito che si riaggiustano un po’ i confini e si riprendono le dimensioni realistiche ma qualcosa è saltato per sempre come dev’essere e in Italia c’erano stati l’Isolotto e il Vandalino per quelli che ricordano ancora questi nomi che riemergono subito dal magazzino delle memorie del bello e del vivo degli anni settanta

Cuixa sta sui monti dietro Prada che in francese sarebbe Prades la capitale del Conflent una regione bellissima dei Pirenei Orientali Catalogna del Nord naturalmente tanto belli sono i luoghi e il chiostro del monastero romanico che stava lì che gli americani del nord tanti anni fa se lo sono venuti a prendere

L’ora di religione cattolica

25

di Antonia Sani

Con sentenza n. 7076 del 17 luglio 2009 il Tar del Lazio ha accolto due ricorsi proposti per l’annullamento delle Ordinanze ministeriali emanate dall’allora Ministro P. I. Fioroni per gli esami di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano la valutazione della frequenza dell’insegnamento della religione cattolica ai fini della determinazione del credito scolastico, e la partecipazione “a pieno titolo” agli scrutini da parte degli insegnanti di religione cattolica.
Il TAR ha affermato che “l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica”.

due passi (fare)

22

Bianca

(Per le spose suicide di Kabul)
Siamo gli oscuri fiori affilati cresciuti all’ombra delle chiesefabbriche di bambole, piedi nudi su strade scoscese.

Ascolta le nostre preghiere nell’ora in cui il tuo nome è invocato,
concedici oggi di morire a Kabul, città di poeti e di vergini suicide
polvere tra le macerie del mondo, ceneri in un letto di sale.

Dacci la chiarezza massima, concedici il fuoco,
perché noi ardiamo dal desiderio di vedere,
ardiamo dal desiderio di non sopravvivere
ardiamo di buio nel buio verso il buio.

Dacci oggi il kerosene della nostra morte
amen

small75

Fabio

Figure di soltanto epitèli, corticali
queste ai margini dell’occhio
mobili, agli angoli d’asfalto
dove squallide le ecchimosi:
allumini uomini, storte stagnole,
buste lacere di scarti inabili a
rifarsi suolo, almeno questo, falde
di fossili, di scuri scisti quando qui rinuoteranno
orche e cetacei, le mante immense,
fra i pilastri delle tangenziali
le meduse come folli
fosfori d’abisso

Ecosistemi

8

di Gianluca D’Andrea

Imbrattamento

Sporcare per dare un ordine al caos
è già paradosso, sgorgare per dare
senso a una vita in comune
non è un dilemma. Sul versante
della dissacrazione l’azione non è riuscita,
più sobria sarebbe la candida
espressione del tutto si muove come l’autore
vuole o toccare altri tasti, da questo
(«questo» all’infinito) l’errore.
La finzione è già del bambino che gioca
e attraversa il suo tempo.

Il fatto poi che un’idea
debba violentare la primigenia carenza
è il modo di fare in modo
che un mondo s’inventi una speranza,
come vivere in comune un’emozione
o l’emozione di essere fuori di sé,
nell’estasi d’adorazione,
splendore che riluce dove oscuro è.

Catalunya #2

3

di Antonio Sparzani

Montpellier - gare Saint Roch
Montpellier - gare Saint Roch

Già quando sali in treno a Montpellier sul Talgo che va dritto a Barcellona cominci a sentire l’odore di questa città mi ricordo che lo sentivo già quando nei ruggenti settanta andavo a Cuixà appostata nei Pirenei appena si arrivava nella foresteria del monastero di quegli antifranchisti benedettini fuori linea estroflessi da Montserrat si sentiva l’odore caratteristico dei barcellonesi che affollavano l’estate di quella Catalunya “compresa nel territorio dello stato francese” così bisogna dire è un odore buono dev’essere il sapone che usano i giovani e le giovani ormai lo distinguo a distanza il Talgo ne è impregnato è un treno speciale che riesce ad allargare la distanza tra le sue ruote in automatico e ad entrare così senza cambiare in Spagna dove il ferrocarril viaggia con uno scartamento più largo che da noi come in Russia del resto idea di Franco l’orrido generalísimo sembra per impedire facili invasioni via binari di tutto il paese che sarebbe stato bello invece cacciare lui e la sua banda di delinquenti non parliamo delle lotte e degli ammazzamenti di allora all’interno della sinistra repubblicana comintern contro anarchici no per carità no

sartorius

6

di Massimo Bonifazio

che mi arrivi con crepitii di radio a galena: la sua voce,
dal fondo di depositi calcarei, tufi, che giustifica a fatica
il suo ritorno qui; come se fosse più facile,
esaurita la spinta dell’ossigeno, trasformato
quel poco di carbonio e scissa ogni sua cellula
in elementi estranei, corpi; come se fosse più facile,
così: esplorare, prendere visione.
………………………………………………..la sua voce,
che mi arriva a fiotti: col calore di sorgive termali,
acqua poggiata sulle argille, che filtra fra le rocce,
sfiora nuclei di calore, assorbe; può una voce
avere odore? che mormora, sommessa,
e in quei fiotti, colate,
……………………………..appare in superficie
non è molta la differenza fra basalti e marne,
da questa prospettiva così conclusa in sé
che solo la mia voce registra ancora i moti
delle faglie

Istruzioni per l’uso di miracoli e tamburi

4

tamburo
di Giuseppe Rizzo

Scongiuravamo la neve per tre motivi: casa nostra sarebbe crollata, mamma sarebbe morta, papà l’avrebbe ammazzata. Era lei che desiderava la neve. Nelle baracche di Fondo Picone, al fiume Oreto, tutti sognavamo un tetto da quando Gesù aveva inventato le case popolari e il sindaco di Palermo le aveva distribuite come ostie. A noi, niente. Secondo mamma perché eravamo dei peccatori. Secondo papà perché erano dei cornuti. Lei però insisteva: «I morti viaggiano nei fiocchi di neve, e portano miracoli per i vivi». Non era vero, ma era possibile, e ci credevamo perché avevamo un gran bisogno di miracoli.

due passi ( fare )

11

Maria Grazia

Come sono sfacciate le rose come sono belle come sono
una efferata moltitudine le rose
ai confini del regno e sotto gli archi
dei paradisi le semprevive
rose – e diseguali
al cuore
disregnato perché
il cuore beve i fondi minerali
della pioggia e gli umori
beve
fino al bagliore della coppa – usura
con interesse altissimo il dolore
fino al lampo segreto
di chi non muore
più: l’immortale
viene nero e segreto come la rosa
dischiusa dai lamenti con la sua bocca
spoglia – slargato
fiore da giardino
con sedili di pietra e scolatoi
rosso e screanzato
fulcro
che disgiungi anche il sole
fermo sulle discariche e sui letti
al mattino, quando siamo più aperti e più chiari e
non crediamo alla morte ma ai colibrì
che tengono in vita le foreste
non crediamo alle docili evidenze ma alle inezie
a parole che sciamano nell’invisibile
destinate
a far splendere il cuore come un bagliore
d’oro nel petto di catrame degli scomparsi e in quello
splende l’oro maiuscolo del mondo – in quello
l’ovunque – in quello
il persempre, la promessa di tutte le rose
e il silenzio caduto poi dalle rose, il silenzio
di nessuno – solo
più amore, solo più rose, mia
deposizione, mia
rosa
immortale.
dance-class-hr-clog-photo-copy

Marco
Non ti dimenticheremo mai
rosa

Fabrica di Fabio Franzin

2

[a cura di Franz Krauspenhaar]

"Fabbrica" di Arch. Giovanni Greppi
"Fabbrica" di Arch. Giovanni Greppi

Fabrica (Atelier, pagg.96, euro 10,00) di Fabio Franzin, nato a Milano nel ’63 da genitori veneti, è una specie di bomba; un ordigno che preme dal cuore e dallo stomaco del poeta e che deflagra sulla pagina, narrandoci una storia, la propria, che è quella del duro quotidiano degli operai di oggi. La storia di un lager come mille altri, Una giornata di Ivan Denisovic in versi, dove il protagonista di una giornata nel gulag è qui il poeta stesso, operaio nel Nordest operoso e disperato, disperso nell’assenza di valori, chino sulla fresa e sul piatto di minestra nelle stanche sere della tregua. Si tratta di un vero poema della fabbrica, del canto agonizzante di un girone infernale del lavoro, scritto nel dialetto veneto praticato dall’autore e con un testo a fronte in italiano, così che possiamo leggere i versi nelle due maniere e accostare non solo due lingue ma anche due modi d’intendere; Fabrica è qualcosa di doloroso e importante che ci riporta ai tempi nei quali i nostri migliori scrittori e poeti si occupavano di questi problemi, quando scrivere era spesso trasferire esperienze personali difficili, rianimare un passato o un presente di bisogno, riscattare e innalzare, col potere della letteratura, il basso dai propri sotterranei e spesso imprendibili cunicoli. Ora ci si rifugia nell’alienazione della vita privata, spesso scopiazzando il nostro cinema minimale e anemico, come se il mondo della fabbrica, le aziende coi loro organigramma del potere rozzo e prefabbricato, il lavoro nudo e crudo che impasta e sporca e spesso annienta un giorno dopo l’altro non fossero materia di poetica denuncia e attenzione incisiva, non fossero più artisticamente trattabili. Fabio Franzin colma un grosso vuoto in Italia in campo letterario. Fabrica l’ho letto d’un fiato, senza interrompermi, col fiato sospeso dall’emozione che dà solo la verità sporca, nuda, inaccettabile. (f.k.)