[lo so dico sempre le stesse cose, ma in certi casi è proprio vero che repetita juvant. G.B.]

di Gianni Biondillo
Poi all’improvviso Milano scomparve. Nell’immaginario collettivo nazionale continuava a vivere solo nei suoi luoghi comuni: la nebbia, le fabbriche, il panettone. Qualcuno la immaginava ancora una città rampante, da bere. Si smise di rappresentarla, nel cinema, nella fiction televisiva, divenne un buco nero della memoria. Menomale che alcuni scrittori, spesso quelli più artigianali, di “genere”, continuavano a raccontare le sue trasformazioni antropologiche, i suoi panorami mutevoli. La classe operaia che non andava in paradiso ma in pensione, la romantica ligera che diventava criminalità internazionale… era da farsi: la Milano di Scerbanenco finiva a Piazzale Loreto, da lì, ai suoi tempi, iniziava ancora, e per davvero, l’aperta campagna. In fondo Peck, all’inizio del secolo scorso, stagionava i suoi salumi nell’aria salubre della Brianza. A Precotto. Oggi invece Milano è una città rete, una città territorio, che più che portare la sua nobile tradizione edile nella territorio extraurbano ha visto tracimare dentro di sé la Brianza velenosa di battistiana memoria. Milano s’è pastrufaziata, per dirla con l’ingegnere, che oggi non saprebbe più riconoscerlo il territorio. E forse anche la sua borghesia.















