di Franz Krauspenhaar
Un paio di giorni di malessere generale causato dall’insonnia. Riemergo in qualche modo, faccio una lunga passeggiata nella sera di fine inverno, attorniato da poca umidità. Passanti che trottano assieme ai loro cani, il dopolavoro del bravo borghese.
Vicino a un bar tabaccheria – l’unico aperto nel mio quartiere dopo le otto di sera, un posto che negli anni si è lentamente ripulito ma che è rimasto comunque abbastanza malfamato – vedo una Mercedes 320 blu scuro parcheggiata con le ruote verso l’esterno. A bordo un uomo robusto, dalla faccia quadrata, che parla concitatamente al microfono del suo cellulare. La sua bocca esprime dentatura e sforzo, tensione. Ho appena visto un uomo baconiano e l’ho riconosciuto. Il cellulare è quest’arnese di invadente comunicazione che, previa le cuffie, rende un sacco di passanti degli zombi che muovono le bocche come pesci in un acquario, o barboni ripuliti e imborghesiti che parlano da soli per le strade della città, ma più assorti, barboni di successo.













