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Nel nome della letteratura

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Israele ospite della Fiera del Libro di Torino 2008

Con questa firma esprimiamo una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del libro di Torino, nel momento in cui questo evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale viene attaccato per aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008.
L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine. Non intende affatto definire uno schieramento, se non alla luce di poche idee semplici e profondamente vissute.

La città dell’entusiasmo e l’arte dello snooker

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di Michele Riccardi

Fece scalpore lo scorso dicembre l’abbandono del tavolo da biliardo di uno dei più grandi giocatori di snooker di tutti i tempi, Ronnie O’Sullivan, durante i quarti di finale del campionato britannico. O’Sullivan si alza dalla sedia, passa il gesso sul cuoietto, va a stringere la mano ad arbitro ed avversario e si avvia negli spogliatoi, bofonchiando: “I had enough of it, mate”. Sono stufo di tutto questo, amico. Si ipotizzò una ritirata tattica: ma O’Sullivan, benché sotto di 3 giochi al meglio dei 17, era in recupero, avendo appena vinto due games, e anche quel giorno aveva già dato segni del suo immenso talento. D’altra parte era il campione mondiale uscente; era l’autore di uno dei century break più veloce della storia; era l’unico, nella storia dello snooker, capace di tirare indifferentemente di destro e di sinistro.

Bacheca di febbraio 2008

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Nello scorso mese di gennaio sono successe alcune cose:

Inocenza e realtà

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di Fabio Franzin

(Innocenza e realtà) Nel dialetto Veneto-Trevigiano dell’Opitergino-Mottense

(a mio figlio Jacopo)

‘A paròea “mort”

E cussì, cussìta, fra noàntri
dó te ‘à tocà pròpio de dirla
par primo a tì chea paròea

Il presidente Kibaki, Raila e tutti i keniani sono imputati

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kenya riotsUna lettera anonima da Nairobi

Scrivere questa lettera sarà la mia ultima azione mortale su questa terra. Ho deciso, per due ragioni, di raccogliere gli indirizzi mail delle persone preminenti che conosco e dei miei amici e mandarla da un indirizzo anonimo.
La prima è risparmiar loro lo sconforto di sapere anticipatamente quel che mi accingo a fare e quindi sottrarli ad ogni colpevolezza. E in secondo luogo perché la mia identità ora come in futuro è irrilevante- potrei essere qualsiasi persona sparsa per il paese che prova ciò che provo io.

Le rimembranze

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[oggi pranzerò fuori con la famiglia. So che mi stanno organizzando una festa a sorpresa, dovrò quindi stupirmi, forse anche spegnere candeline. La cosa mi ha fatto venire in mente alcuni versi di qualche anno fa.]

di Gianni Biondillo

La notte ha movimenti tellurici
che scoprono la vena pura,
illesa, della memoria sepolta;
sono come il geranio scosso
dal folle
nel mio mese più crudele
abbarbicato come sto
al mio futuro vergine.

Il respiro della città

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Librai narranti nel sotterraneo metropolitano.

Quattro radio-spettacoli condotti da Dino Taddei e Lorenzo Valera (La Scighera)

Ridateci le bambine

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di Valter Binaghi

“Quando mia figlia andò all’asilo, venne chiesto alle mamme di cucinare una torta e di cucire un costume da angelo. – Non so cucire: magari posso darvi una mano a scrivere la storia, no? – No. Il primo lavoretto di mia figlia fu un guantone da forno, per me”.
Basta questo passaggio per rassicurarci: nonostante il titolo, che ha un suo incedere marziale, non ci troviamo di fronte a quel femminismo iperdentato che ci ha fatto giocare tutti gli anni Settanta noi maschi non in difesa (pur sempre dignitosa strategia) ma in tribuna, estromessi dal discorso sulla differenza di genere, vergognosi di avere tra le gambe non un organo riproduttivo ma un’usurpazione reazionaria.

Lettera all’amico miscredente

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di Valter Binaghi 

La prima volta che ti ho incontrato eri uno scolaro sporco e malvestito, l’abominio della maestra di terza elementare, quello che graffiava le pagine col pennino spuntato e regolarmente prendeva due in calligrafia. Te ne fottevi del bello scrivere, e succhiavi castagne secche fregate al cartolaio: mentre col mio sussiego di bravo figlio d’impiegati ti mettevo in guardia dalle spaventose reprimende della zitella, allargavi il tuo sorriso sgangherato: – Dagli una spanna di cazzo e vedrai come si calma –

Segmento (seg|mén|to )

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Da Dadapedia, l’enciclopedia comunista dandy
a cura di
Francesco Forlani

Come si indica un segmento? [modifica]

In geometria un segmento è una parte di retta delimitata da due punti, detti estremi.
Il segmento, generalmente, si definisce con due lettere maiuscole dell’alfabeto italiano, poste agli estremi (indicati da 2 punti).
A (che è la prima lettera)e Z che è l’ultima.
Ecco perché generalmente s’indica un segmento con il lemma AZ!
Parola usata dai latini (segmentum) [a cutting, cut; a piece cut off, a slice (not ante-Aug.; mostly in the plur.; syn.: fragmentum, frustum)]soprattutto da Plinio, nel senso proprio di un pezzo di qualcosa, ritagliato da qualcos’altro; dice egli: plura sunt haec segmenta mundi, quae nostri circulos appellavere, Graeci parallelos,Plin. 6, 34, 39, § 212

Pezzi di mondo dunque chiamati da noi latini circuli e dai greci paralleli.
Nella variante greco-romana vd circuli paralleli, e in quella politicasporcaitalica, P1 /P2/P3,P38, nun te reggaepiù.
Si ricordi che s.m. segmentum diviene s.f., nella forma abbreviata Seg. Ment. (termini correlati, cerebrale, mentale, sega, falegnameria)

Spinoza, Masaniello, Napoli e tu

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Ritratto del filosofo, opera di Paolo Matteucci

di
Francesco Forlani

Esiste di Masaniello un ritratto di Andrea de Lione (1647) miracolosamente sfuggito alla dura legge degli Spagnoli che avevano condannato l’eroe napoletano alla “damnatio memoriae”, iconoclastia che prevedeva la distruzione sistematica di ogni immagine esistente di chi avesse avuto il torto di ribellarsi ai reali di Spagna. Esclusi scritti, disegni e pitture che lo mostrassero “loco”.
“Il Mas’Aniello d’Amalfi rivoluzionario” è invece bellissimo. Dai modi gentili, effeminati, distinti con la mano dalle dita affusolate e attente a sostenere un drappo sul cuore. Al punto di provocare una vera e propria querelle nell’attribuzione del dipinto in occasione di una mostra del Ritratto Storico Napoletano, svoltasi a Napoli nel 1954. Nel catalogo (pp. 27-28) si legge: «diciamo subito che, nonostante l’antica scritta sull’alto della tela noi abbiamo molti fondati dubbi sulla esattezza della identificazione. Ci sembra, per non dire altro, che il tipo umano rappresentato, di scelta e quasi ricercata intellettualità, mostra di appartenere ad un ceto del quale Masaniello, lungi dal far parte fu avversario».

Donne immigrate e processi di inclusione: il caso delle donne albanesi

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di Claudia Cominelli

Fenomeni come i flussi migranti trasnazionali contribuiscono ampiamente al dibattito intorno a questioni come la cittadinanza, la legalità, la sicurezza, la giustizia, l’integrazione sociale ed economica, la tutela della vita familiare. Si tratta di temi che riguardano in primo luogo gli immigrati, ma che, di fatto, interpellano tutta la comunità civile in ordine a questioni inerenti l’intreccio tra particolarismo e universalismo dei diritti. Appare particolarmente evidente, quindi, la necessità di discutere intorno alle differenze culturali, alle loro trasformazioni, all’impatto sulle culture autoctone.
A tal proposito, nell’ambito del fenomeno migratorio, risulta interessante volgere l’attenzione al mondo femminile, non sempre oggetto di accurata riflessione: si tende, infatti, a ragionare in termini maschili, anche se la radicalizzazione della presenza immigrata sul territorio italiano, non più prevalentemente appannaggio di uomini soli ma ormai di taglio familiare, ha da tempo posto la questione di prendere in considerazione la valenza euristica della variabile di genere.

Autoscuola

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di Franz Krauspenhaar

Gira a sinistra e poi vai a destra, frena,
e avanti bello spedito e all’incrocio
fermati; e poi vai ancora, sali prudente,
e attento, e vai, e spingi, e accelera.

“Gli alberi crescono, nuvole corrono, gli anni in fretta passano.” da Brundibár di Hans Krása

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di Orsola Puecher

“Abbiamo lasciato il campo cantando”

Così scrive Etty Hillesum, “il cuore pulsante della baracca”, nella cartolina che lancia sui binari dal vagone piombato che da Westerbork la porta ad Auschwitz. Con quella sua speciale capacità, propria dei bambini e degli artisti, di trasformare dentro e fuori di sé il male in bene, la tenebra in luce.
 

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Immagine della locandina originale
con il bozzetto della scenografia
di
Frantisek Zelenka.

 
Questa è la storia triste e luminosa della piccola partitura manoscritta di un opera per voci bianche, infilata di fretta dal musicista ebreo Rudolf Freudenfield fra le poche cose necessarie, cibo, qualche vestito, nella valigia preparata per un viaggio incerto, che non s’immagina senza ritorno, ed arrivata fino a noi per testimoniare e ricordare con la forza della musica e della poesia i bambini, più di un milione, e gli artisti che persero la vita ed ogni traccia dei loro stessi corpi fisici nella tragedia dell’Olocausto. Parole di speranza, vita e futuro, che risuonano alte di fronte al vuoto orrore che sarà il loro destino.
 

Atto Primo, Scena VI
da Brundibár Opera in Due Atti
Musica di Hans Krása
Libretto di Adolf Hoffmeister

 
ANNIKA, PEPÍÇEK E TUTTI I BAMBINI

La mamma fa dormir il caro suo tesor
la culla dondola pensando al suo amor.
Poi verrà il giorno
quando il bell’uccellin
se n’andrà, volerà,
lascerà il suo nido.
Gli alberi crescono,
nuvole corrono,
gli anni in fretta passano.
Mammina, guardaci, siamo cresciuti ormai.
Pensa, rammenta i vecchi tempi se vorrai.
Il bagnetto facevam,
nel mastello eravam:
un bambin sì piccin e la sua sorella.
Gli alberi crescono,
nuvole corrono,
gli anni in fretta passano.
La mamma avanti va,
vuota la culla sta,
pensa al futuro quando nonna poi sarà.

 
Nel giugno del 1941 il direttore dell’orfanatrofio ebraico di Praga Otto Freudenfeld festeggia il suo cinquantesimo compleanno invitando alcuni amici, il direttore d’orchestra Rafael Schächter, il compositore Hans Krása, il pianista Gideon Klein, il poeta Erik Saudek, e lo scenografo del Teatro Nazionale Frantisek Zelenka. Si parla molto di Brundibár, l’opera per bambini appena scritta da Krása, che il giovane e promettente compositore ceco aveva presentato senza molte speranze ad un concorso del Ministero dell’Educazione: con l’invasione nazista per gli artisti ebrei era finita quell’integrazione che da secoli ne aveva fatto gli elementi di punta della cultura cecoslovacca, per sua natura così intimamente legata a quella tedesca. Leggi razziali e deportazioni iniziano a decimarne le file. A Schächter, quella sera, viene l’idea di farla rappresentare ai bambini dell’orfanatrofio, ma, deportato dopo poco tempo, egli non farà a tempo a vedere la realizzazione del progetto ad opera del figlio di Freudenfield, Rudolf. Nemmeno Krása deportato nel campo di Terezin nell’agosto del ’42, assisterà alla rappresentazione. Ad uno ad uno gli amici della festa di compleanno ed i bambini stessi dell’orfanatrofio vengono là deportati. Ma proprio grazie alla valigia di Rudi lo spartito raggiunge il suo autore a Terezin. La città fortezza di Theresienstadt, ad un sessantina di chilometri a nord di Praga, evacuati gli abitanti venne trasformata dal Reich, a partire dall’autunno del 1941, in un campo di raccolta e di transito per gli ebrei di numerosi paesi destinati, a loro insaputa al progetto di sterminio di massa.
 

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Disegno della bambina Helga Weissova
che raffigura l’arrivo al campo.

 
Nonostante le condizioni di vita inumane e precarie i deportati svilupparono una vivissima attività culturale e musicale, in una disperata volontà di vita e di speranza. Periodicamente, tacendo i trasporti verso Auschwitz che partivano ad intervalli implacabili, il campo “modello”, fatto passare per una specie di casa di riposo per anziani e bambini, veniva tirato a lucido per le visite della Croce Rossa Internazionale. E in occasione di una di queste visite il 23 settembre 1943 si eseguì proprio Brundibár.
 

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Immagine di quella rappresentazione tratta dal film
“Il F
ührer dona una città agli ebrei”

 
I nazisti permettevano una sorta di autogestione delle attività culturali per nascondere il vero scopo della detenzione. Là fu girato per volere di Goebbels il famoso film di propaganda “Il Führer dona una città agli ebrei“, dove, fra laboratori di scultura e ceramica, fucine ardenti, partite di calcio, orti ben coltivati e concerti da camera, seguiti dai deportati seduti a tavolini con vasi di fiori, appaiono anche alcuni fotogrammi dell’opera di Krása, che venne rappresentata per 55 volte con un continuo forzato ricambio di protagonisti: delle 140.000 persone che passarono per Terezin 33.000 morirono in loco di fame, malattie e torture, fra le 87.000 deportate ai campi di sterminio solo il cinque per cento sopravvisse e dei 15.000 bambini soltanto 93 tornarono alle loro case.
 


 

Paul Aron Sandfort, Danimarca
Luce nell’oscurità.
Quando avevo 13 anni, presi parte ad uno spettacolo con circa altri quaranta bambini della mia età. Bambini cechi e tedeschi. Di quei bambini tutti un giorno se ne sarebbero andati da Terezin… io fui l’unico sopravvissuto. Più tardi venni a sapere che i Nazisti risparmiavamo gli ebrei danesi. Noi eravamo il loro alibi per controbattere le dicerie sullo sterminio degli ebrei. Per mostrare come era piacevole la vita degli Ebrei a Terezin, si tenevano concerti ed opere come Brundibár. Si era già rappresentata quest’opera per bambini un buon numero di volte, quando arrivai io nell’ottobre del 1943. I miei compagni ne parlavano continuamente e ne cantavano le canzoni, soprattutto “La canzone della vittoria”, Siegeslied, del finale. Nel nostro piccolo mondo ammiravamo i bambini e le bambine che avevano il ruolo di protagonisti. Nonostante i miei dieci anni, io suonavo la tromba a Copenaghen nell’orchestra per bambini del parco di divertimento di Tivoli e divenni dunque trombettista nell’orchestra di Theresienstad e suonai anche durante le rappresentazioni di Brundibár. Mi ricordo ancora molto bene dell’assolo di tromba del Walzer che danzavano i miei amici in scena. Io non conoscevo il ceco, ma grazie a Brundibár, imparai qualche parola come latte, pane, burro, zucchero, gelato, biscotti, uova, bretzel. Si trattava di tutte quelle cose che noi non avevano più mangiato da un’eternità. Ogni giorno ricevevamo soltanto un tozzo, di pane secco e quando cantavamo le canzoni sui dolciumi e le rappresentavamo, potevamo dimenticare la nostra situazione per un breve istante. Noi trovammo eccitante che il film, conosciuto oggi con il titolo di “Il Führer dona una città agli ebrei” fosse utilizzato per la propaganda tedesca. Noi i bambini, dovevamo rappresentare la nostra opera per il film. Mi ricordo in che modo il regista ebreo Kurt Gerron ci dirigeva a bacchetta e come l’Obersturmbannführer Rahm ci stava addosso durante le riprese con il frustino in mano. La maggior parte dei bambini fu deportata nell’ottobre 1944 ad Auschwitz e solo una minoranza degli attori principali restò a Terezin. Della grande orchestra rimase egualmente un piccolo numero di musicisti. Non abbiamo mai smesso di rappresentare Brundibár fino a che la Croce Rossa danese ci liberò nell’aprile del 1945. Mezzo secolo può scorrere via, i dettagli dei nostri ricordi possono sbriciolarsi, ma i sentimenti di quell’epoca restano vivi come se fosse ieri. D’altra parte Brundibár fu per noi un sogno più vivo della sofferenza quotidiana, un barlume nell’oscurità della prigionia, un barlume di speranza che ci permetteva di sperare nella libertà malgrado i reticolati. Oggi che assistiamo al risorgere di gruppi di estrema destra, l’opera Brundibár rappresenta una vera speranza per l’avvenire dei nostri bambini.

[ Testimonianza tratta dal CD ROM “Brundibar Kit” della JEUNESSES MUSICALE INTERNATIONALES ]

 
Solo l’ottusità dell’Obersturmbannführer non riusciva, per fortuna, a vedere nella trama di Brundibár la sua forza eversiva che, fra le pieghe della favola, nascondeva un canto di rivolta e di ribellione ben chiaro, invece, a tutti i deportati. Tutti non possono che riconoscersi nei due fratellini Annika e Pepíçek, che hanno bisogno di comprare del latte per la mamma malata, ma non hanno i soldi. Davanti a loro sfilano il lattaio, il fornaio con tutte le loro merci, che nel campo appaiono come un vero e prorpio miraggio. Un poliziotto ricorda loro che il denaro si guadagna solo con il lavoro. Come ironicamente sta scritto sopra la porta d’ingresso del campo:
 


 
“Il lavoro rende liberi”

 
Ma ecco che sulla piazza arriva il suonatore d’organetto Brundibár che in cambio della sua musica riceve molti soldi da tutti. I bambini cercano di cantare una canzone, ma nessuno li ascolta. Anzi vengono cacciati dal “dittatore” Brundibár in malo modo. Solo la sua musica tocca suonare, per non essere “suonati” dal suo bastone.
 

BRUNDIBÁR

Infernali Marionette,
ora prendo il mio bastone
e con quello mostrerò
che io comando e son padrone.
Tutti zitti, state buoni,
l’organetto fa bei suoni,
tutti attenti c’è da star
perché suona Brundibár!
Su, cantiamo tutti quanti,
questo ritmo è da seguire,
ma chi vuol disubbidire
certamente è da punire!
Tutti attenti c’è da star, qua,
perché suona Brundibár.
[Atto Primo, Scena VIII]

 
Ma proprio quando sta per scendere la sera e i bambini non sanno cosa fare, arrivano magicamente un uccellino, un gatto e un cane parlanti che promettono di aiutarli: il giorno dopo raduneranno tutti i bambini del villaggio che canteranno insieme a loro. E’ notte e gli animali addormentano i due fratellini con una dolcissima ninna nanna.
 

UCCELLINO, CANE E GATTO

La luna muore già,
la stella li vedrà
che dormon nel tepor
del lieve sogno d’or.
Pepíçek dormi ben, sogni d’or.
Annika sogni d’or, dormi ben.
E l’alba ora viene: noi vi soccorrerem.
Buonanotte, allor, siam con voi ognor.
[Atto Primo, Scena VIII]

 
Il primo atto finisce in un clima disteso e sognante, seguito dalla Serenata
 


un intermezzo strumentale che Krása scrive appositamente a Terezin e che risuona in tutta la sua lirica e malinconica dolcezza, quasi a rasserenare l’inquietudine del buio così fondo e minaccioso delle notti del campo. Al mattino tutti i bambini radunati dagli animali corrrono ad aiutare Annika e Pepíçek. L’unione, anche in questa pacifica guerra dei bambini, fa la forza. Finalmente gli adulti li ascolteranno cantare “La mamma fa dormir il caro suo tesor“, e riempiranno il cappello di monete. Ma ecco che il malvagio suonatore ambulante tenta di rubare il loro denaro. I bambini e gli animali si lanceranno al suo inseguimento, finalmente lo cacceranno e festeggeranno il loro trionfo con un canto finale di vittoria.
 

TUTTI

La guerra è vinta ormai,
sconfitto è Brundibár,
rullate il tamburin,
dobbiam festeggiar.
Audaci e fieri siam,
Brundibár battuto il regno è distrutto.
Marciamo con fervor per la vittoria
cantando tutti in cor.
 
PEPÍÇEK
Miei cari bimbi, sù,
alzatevi, perché
si è fatto tardi e termina l’opera.

 
ANNIKA
Arrivederci, sì. Ma prima di andar via
cantiamo insieme ancor
con grande allegria.

 
TUTTI
La guerra è vinta ormai
sconfitto è Brundibár,
rullate il tamburin,
dobbiam festeggiar.
Audaci e fieri siam,
Brundibár battuto, il regno è distrutto.
Marciamo con fervor per la vittoria
cantando tutti in cor.
L’amicizia allor resta in ogni cuor,
chi ama l’equità con noi giocherà,
insieme a noi sarà.

 
Si spegne così l’eco dell’ultimo accordo, tace la melodia di Krása, che tanto abilmente mescola temi popolari e musica del ‘900, ora in tenero abbandono lirico, ora nello squillare chiaro degli ottoni incalzato dal rullare ritmico delle percussioni.
Alberi ed alberi sono cresciuti, da allora, cumuli e cirri e cirrocumuli di nuvole sono passati attraverso lo stesso cielo, gli anni sono trascorsi con la fretta della storia e non si sa se il regno è distrutto e tiranni ce ne sono sempre, ma noi, chi ama l’equità, siamo ancora qui, con loro, con i bambini di Terezin.
 

[Estratti musicali dell’opera dal CD CMCD 0161997
Sorriso Edizioni Musicali
Hans Krása
BRUNDIBÁR
Childrens’ Opera in Two Acts
Terezin 1943
Libretto by A. Hoffmeister
Italian version by Clara and Daria Domenici
BARBARA STROZZI ENSEMBLE
MUSICA GIUDAICA
Conducted by FRANCESCO LOTORO]

 
 

Citare le fonti

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nota di Gianni Biondillo

Denis (il gestore di questo blog) mi ha appena riferito, via MSN, un fatticello assai curioso, ma per nulla nuovo dell’atteggiamento che la carta stampata ancora ha quando “usa” il vasto serbatoio di internet. E’, questo argomento, molto caro anche a Georgia, e quindi so che apprezzerebbe.
Per farla breve, su Il riformista, Luca Mastrantonio ha testè pubblicato un divertito articolo dove sbertuccia Veltroni e la sua mania a introdurre ad ogni pie’ sospinto tomi e tomi. (Denis me l’ha fatto leggere qui).
Cosa che Christian Raimo ci ha fatto notare a suo tempo, nel suo divertente quiz editoriale pubblicato qui e poi commentato qui.
Ma di Raimo, nell’articolo di Mastrantonio, neppure l’ombra. Solo un generico “Da giorni gira per internet, con successo di pubblico (…) un quiz bibliografico.”

Bene. Questa è la stampa italiana. Questo è il paese dove vivo.
Ormai è chiaro: devo in stretto giro di posta mettere a punto per la mia vita un piano B.

Roma, ore 11

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di Christian Raimo 

Buttiamola là: Roma ore 11 è lo spettacolo teatrale dell’anno. Forse non sarà quello più sconvolgente, né la messa in scena più mirabolante, né la prova d’attore più virtuosistica, però è lo spettacolo che può fare da modello per quello che vuol dire oggi in Italia cercare di metter su un progetto indipendente.

da “Ateo?:altroché!”

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(Pubblico un brano tratto da Ateo?:altroché!, appena pubblicato in Italia per Ipermedium libri a cura di Domenico Pinto e Dario Borso. Il testo di Schmidt, che ha l’autonomia di un pamphlet sulfureo, apparve per la prima volta nel 1957 in un volume curato da Karlheinz Deschner che raccoglieva i contributi di un’inchiesta intitolata Lei cosa pensa del Cristianesimo?)

di Arno Schmidt

Traduzione di Dario Borso e Domenico Pinto

6. Come altra serie di criteri: ha accresciuto il Cristianesimo, nel mondo, la somma del buono / vero / bello?

7. Del buono?: quanti riarmi, quante guerre, quante atroci crudeltà ha eliminato o almeno impedito il Cristianesimo?: al contrario! È stato ‹ragion sufficiente› di nuove, fino ad allora inaudite danze di spade, come le ‹Crociate›, la ‹Guerra dei Trent’anni› o gli ‹Albigesi› : allorquando i soldati stessi espressero la preoccupazione che con i ‹colpevoli› (= non cattolici!) potessero morire pure gli innocenti, il legato pontificio li tranquillizzò : «Uccideteli e basta! Il Signore riconoscerà certo i suoi!»: Popoli, ascoltate anche questi segnali !!

‹Tolleranza›?: la predicavano solo quando non erano più ‹al potere›! Fino ad allora valeva il ‹compelle intrare›, con il rogo come argomento supremo; ah, povero Giordano Bruno! Non ci si aspetti no che io parli con rispetto di un sistema che esercitò la censura contro Lessing: poiché considerava la resurrezione un’invenzione del giovane Cristo e tutte le religioni positive erano per lui parimenti dubbie! Un sistema che contempla ‹l’inferno eterno› come istituzione fondamentale – cos’altro è poi l’inferno cristiano se non un campo di concentramento, soprattutto per chi la pensa in maniera diversa? Ma si confronti solo l’orrendo Manuale dantesco per comandanti delle SS! – e non esclusivamente come teorica istituzione ultraterrena (su ciò si potrebbe pur sempre soprassedere con un’alzata di spalle); ma soprattutto come elemento integrante del ‹Regno dell’amore› di questo mondo, che rispunta di continuo come Inquisizione di tutti i tipi (anche i protestanti ce l’hanno fatta a bruciare eretici; ricordo solo Serveto o le persecuzioni inglesi dei cattolici sotto Carlo II.): in realtà ogni uomo perbene (secondo il mio modesto parere) un sistema del genere dovrebbe aborrirlo!

Il freddo

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di Marco Lodoli

Gelate le pozzanghere al mattino
Quando insieme all’amico andavo a scuola
La sigaretta sua tra le mie labbra e il fumo
Del freddo e del tabacco a dare un corpo
Ai discorsi immensi della vita.
Il freddo ci rendeva più superbi,
parlavamo di cosa il mondo non era
di cosa non eravamo noi, del nostro futuro
e del ghiaccio appeso ai cornicioni.

Una favola moderna per Napoli (e provincia)

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Il MOSTRO DELLA PIANURA*
di
Nicola Corrado

La terra del sole e del pomodoro si affacciava sul mare e stendeva il suo corpo colorato e sinuoso dalle stelle del cielo fino alla luce del tramonto; intorno facce, sorrisi, pianti, note, pasta e pesce, vele e vento, e poi campi, chiese, vicoli, sapori, intelligenza e cattiveria, umanità.Qualcuno disse che lì un tempo splendeva la felicità grazie alle speranze e alle debolezze degli adulti.

Poi, non si sa come e quando, arrivò in quelle terre dopo un lungo viaggio il MOSTRO DELLA PIANURA: aveva mille mani e centomila occhi, e un cuore lungo 2 KM e largo 4 KM, mangiava le speranze, le debolezze e l’immondizia degli adulti.
Un giorno vennero i governanti chiamati dagli adulti per sconfiggere il MOSTRO, ognuno con una valigia piena di grandi discorsi e dentro parole cucite a mano per fare splendere di più la felicità.

Baldi e Massari alla John Cabot University

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Presentazione dei libri di poesia: I capitoli della commedia di Martino Baldi ed. Atelier e Libro dei Vivi di Stefano Massari Book Edizioni alla John Cabot University di Roma (Aula Magna) – via della Lungara 233 – il 4 febbraio, alle ore 19.30.