
di Gillioz
Anche prima della guerra chimica, aveva lavorato nelle campagne avvelenate come raccoglitore dei silos arrugginiti. Li trinciava in lamiere, e li caricava nella camionetta “Ulisse”; così su e giù per la polvere dei campi e delle vie già crepate, come se la guerra ci fosse sempre stata, e neanche tanto lontana. Li trasportava fino ai sfrangiati delta del fiume fuligginoso, riversandoli tra gli altri detriti, dune di spazzatura fossile, oppure li rivendeva agli artisti del riciclaggio, che abitavano numerosi le baracche di alluminio lungo gli argini.


Dopo una lunga serie di tentativi non andati purtroppo a buon fine per ragioni che sarebbe troppo complicato spiegare qui, (vi rimandiamo per questo al libro di Elisabetta Virgili I sottorranei di Saxa Rubra, edito dalla Anonima Editori) tre anni fa siamo riusciti finalmente a intervistare il noto critico cinematografico Enrico Ghezzi nel corso della registrazione di una puntata di Fuori Orario. Crediamo sinceramente, con questa intervista atipica e inedita che abbiamo il piacere di pubblicare qui su Nazione Indiana grazie alla disponibilità dei redattori, di aver perlomeno tentato di dipanare alcune matasse, anzi bobine, di significato. Da sinceri appassionati di cinema, ci è parso doveroso tentare di fare chiarezza, per quanto ci è stato possibile…
Oggi la migliore televisione possibile è quella che impudica mostra il suo artificio istauratore. Quella che al momento giusto sa smascherare i suoi marchingegni, le sue astuzie e gli imbrogli da truffaldina e mistificatrice di prim’ordine qual è. La migliore perché con calcolato machiavellismo sa anteporre tra sé e lo spettatore il raggiro del vero-non-vero, sommo fraintendimento di questi ultimi vent’anni di televisione. Introflessa com’è su se stessa, in nome della supremazia assoluta non teme di tradirsi e di portarsi dietro l’onta dell’infamia. La non lontana querelle Bonolis-Ricci documenta irrevocabilmente questa tendenza, senza che la stessa nemmeno si preoccupi di fare pubblica ammenda, così presa dal suo personalissimo e interno risarcimento danni.
Ancora in tema elettorale. Mi viene segnalato che c’è un sito curato da una società tedesca che si occupa di sondaggi e ricerche. Il sito è 
E io ti seguo di Maurizio Fiume è un film con il prezioso merito di ricostruire in modo significativo la vicenda di Giancarlo Siani, il suo percorso umano e la sua professione innescata dalla passione del vero.
Sabato e domenica voteremo per eleggere il parlamento europeo, e per alcune amministrazioni locali.
Ritorno a Buenos Aires.
Perugi artecontemporanea, via Giordano Bruno 24 b, Padova.
Partenza per Montevideo con Giovanni. Fermiamo un taxi. Ma l’uomo che lo guida è strano. Scuro, coi calzoni rotti, sembra stordito. È domenica mattina, qui al sabato stanno svegli tutta la notte, forse è solo per quello che sembra così sballato. Guida pianissimo il suo taxi scassato e dai sedili sfondati, nelle stradine piene di buche, con una lentezza incredibile, esasperante. Non si capisce bene che strade fa. Finalmente imbocca una strada più grande che ci sembra di riconoscere. Ma nella direzione opposta, ci pare. Giovanni glielo dice, alzando la voce: «Il porto è dall’altra parte!» L’uomo si gira appena, rotea un po’ gli occhi, emette una specie di verso, rimane per qualche istante indeciso, emette un sospiro, poi inverte la direzione di marcia. Dove ci stava portando? Non si riesce a capire se voleva attirarci chissà dove o se è solo cotto marcio.
Laura racconta, mentre facciamo colazione a casa sua, la mattina dopo, che a Santiago del Cile, ci sono delle figure che vengono chiamate «i rospi».
Laura e Nic partono per Buenos Aires, io e Giovanni per Còrdoba. All’arrivo, ci viene a prendere all’aeroporto Esteban Nicotra. È una persona dolce. Ci porta a casa sua. Dopo un po’ arriva Silvia, sua moglie, che era andata a comperare delle bottiglie di cerveza ed era passata alla posta. Parliamo un po’. Lei ci mostra con desolazione la busta appena ritirata, lacerata in modo plateale da parte a parte, senza neanche salvare le apparenze. Esteban ci racconta di un suo lontano viaggio in Italia, dove ha vissuto di espedienti e ha fatto anche il bancarellaio. Era partito con un volo dell’Aeroflot russa, la compagnia meno cara. L’aereo aveva fatto scalo in moltissimi posti, per tirare su passeggeri, fermandosi, anche a lungo, in Brasile, nordamerica, Europa, forse anche Africa… Prima di atterrare in Italia si era fermato a Mosca. Esteban aveva addosso un numero incredibile di strati di vestiti, perché il bagaglio non doveva superare un certo peso. Così vestito, era costretto a scendere dall’aereo anche in posti dove si moriva dal caldo, fradicio di sudore e tutto infagottato come per una spedizione polare.
