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Chi respira muore

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di Alessandro Iacuelli

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Basta leggere i giornali, spesso senza bisogno di andare all’indietro nel tempo, per leggere degli illeciti riguardanti i rifiuti in Campania. E non sempre si parla di Rifiuti Solidi Urbani (RSU). La continua emergenza nel settore dei rifiuti, che tiene stretta la Campania nella morsa di un dannoso commissariato straordinario da 13 anni, ci ha fatto in qualche modo abituare ai rifiuti per strada, a non far caso ai cumuli di scorie abbandonati lungo le provinciali, lungo l’asse mediano, nelle campagne appena al di fuori della città.
Tanti i casi “famosi”, dalla discarica di Pianura, alla discarica Tre Ponti di Giugliano, dal ritrovamento di una mega discarica (abusiva) nel nolano, piena di rifiuti altamente tossici, ai 120 fusti aperti pieni di materiale chimico a Santa Maria La Fossa (Ce), l’etichetta sui fusti era scritta in tedesco. Questo per citare solo i casi più eclatanti.
Oggi, secondo quanto emerge dalle numerose indagini delle Procure di Nola, Napoli e Santa Maria Capua Vetere, venire a smaltire in Campania è conveniente.

La democrazia della paura (2)

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immagine-093.jpgimmagine-093.jpg di Nicola Fanizza

(La prima parte di questo intervento si trova qui)

IL PASSAGGIO DI MASSA ALL’AUTONOMIA
Nel famoso scritto Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo, che Kant pubblicò nel 1784, è possibile cogliere il senso di una svolta epocale. L’Illuminismo è definito come «l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare solo a sé stesso». Si tratta di un interrogarsi sul presente, di una definizione dall’interno della propria epoca vista nella sua differenza, nella sua discontinuità nei confronti del passato. È come dire, da adesso in poi il mondo non è più come prima, usciamo dal vecchio mondo e ce lo mettiamo alle spalle.

Da: Impronte sull’acqua #1

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di Francesco Marotta 

*

riesce più il sale a

dire la verità del

la luce, quando il suo

nome è un’eco, un’

impronta su

un foglio di via, come

avviene tra il fuoco e

una vela

arenata in onde di brace

o allevando porfidi d’acqua

per la sete di

segni

illeggibili, cresciuti

in punta di dita,  anche ieri

fa giorno da un

grumo di secoli, sottrae

domande ai ricordi e

si pensa, già in odore

di sabbie, risalire i tuoi

occhi fino all’aria

che brucia, ora

tace, l’inverno è

un pantano di fumo, tu

comincia a guardare il

rivo di pioggia

che ti esce sangue dai

pori

 

 

Gli scacchi del dottor Kuz’menko

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di Franco Damico

“Il dottor Kuz’menko rovesciò i pezzi sul tavolo”.

Siamo in uno degli ultimi Racconti di Kolyma di Varlam Šalamov.
E questi sono piccoli scacchi di pasta di pane, ispirati all’Epoca dei Torbidi. La fattura finissima non tradisce che furono intagliati con mezzi di fortuna e in circostanze sciagurate dallo scultore Kulagin, prigione delle Butyrki, 1937.
“Tutti i detenuti della sua cella hanno masticato per ore e ore il pane che gli serviva. La cosa fondamentale qui era cogliere il momento esatto in cui la saliva e il pane masticato arrivavano a una specie di punto di fusione irripetibile. Solo il maestro stesso poteva decidere e aveva fortuna se riusciva a far uscire dalla bocca una pasta adatta ad assumere qualsiasi forma sotto le sue dita e poi indurire per l’eternità, come il cemento delle piramidi egizie”.

 

Questi scacchi hanno seguito Kulagin in tutti i suoi trasferimenti, sono sopravvissuti alle disinfestazioni, alla rapacità dei malavitosi, ai rovesci del caso.

Napoli. Tra movimento e stasi.

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di Luigi Pingitore

Se al termine di ogni ricognizione sulla città la domanda che emerge è sempre la stessa, “c’è ancora per speranza per Napoli?”, vuol dire che in realtà la speranza già non c’è più. Che questo nominarla altro non è che una forma di evocazione. Che siamo lontani e condannati, abbastanza da dover ricorrere ad una domanda che vive di se stessa, e che non ha mai risposta, ma si moltiplica all’infinito rimbalzando da un giornale all’altro, da una cronaca all’altra.
Per chi abita ogni giorno questa città però, la questione non è così semplice. Non si tratta di una domanda che può essere facilmente elusa, tra il caffé del mattino ed il lavoro. Perché è su questo punto che si gioca l’identità della città, e quindi la nostra; è qui che scopriamo l’ago che baricentra la nostra vita: divisi tra un fujtevenne di edoardiana memoria e un appello alla resistenza, tra una percezione della realtà che sconvolge e talvolta taglia il fiato, e un bisogno morale di non rendere i nostri giorni un semplice trascinarsi di ore su altre ore.

La democrazia della paura (1)

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immagine-025.jpg di Nicola Fanizza

IL LUNGO CAMMINO DELLA DEMOCRAZIA
La democrazia è forse l’idea più potente di questo inizio del terzo millennio. Dopo aver imposto, negli ultimi due secoli, spesso con la forza, all’intero pianeta la libertà della merce, l’Occidente, oggi, fa della democrazia un valore sacro e sempre con la forza la esporta insieme al libero mercato. Eppure, in Occidente la democrazia si è pienamente sviluppata solo nel XX secolo. Prima della Grande guerra, i regimi democratici erano davvero pochi; erano presenti per lo più nell’Europa occidentale, in America settentrionale e nell’Oceania; potevano votare solo gli uomini, mentre le donne avevano il diritto di voto soltanto in quattro Paesi – Nuova Zelanda, Norvegia, Australia e Finlandia; in Italia l’hanno ottenuto nel 1946 e in Svizzera solo nel 1974.

Andante crociera

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di Marino Magliani

In quel periodo, con un paio di amici argentini vivevamo a Gulpen, una cittadina olandese, nella regione del Limburg. Per gli olandesi il Limburg è una regione molto collinare, per noi un posto appena più mosso di un mare. Poi, come sempre, non durò a lungo neanche a Gulpen, e un giorno comprammo tre biglietti, destinazione Stavanger, Norvegia. Il traghetto salpava da Amsterdam e infilava il Nord Zee Kanaal sbucando sulla spiaggia di Zeewijk. Sull’argine destro vedevo la grande acciaieria dai fumi bianchi, e sull’altro la cittadina di IJmuiden, con le case di mattoni e i bunker, il porto affollato di pescherecci e gru, e sullo sfondo le dune soffiate dalla tempesta. Avevo solo sentito qualche leggenda sul grande nord, sapevo che era terra mai ferma, landa di sabbia continuamente scavata e spostata, e posto abitato da vagabondi stanchi di rincorrere.

Furlen vs Palasciano e viceversa

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Prove tecniche di romanzo storico, di Marco Palasciano (Lavieri Editore 2006) pubblicata su Stilos in isti juorni.

Una vera follia da parte dell’autore, quella di ambientare il proprio discorso a Napoli in un periodo che parte dalla Repubblica Partenopea, continua con Murat re di Napoli e si conclude con la Restaurazione. Quando grazie anche ai diversi anniversari tutto è stato detto. Si scrive di fatti storici quando non tutto è stato detto, e solo a condizione di avere studiato, elaborato ogni cosa che sia stata scritta. Il libello, ma forse varrebbe la pena definirla “Operetta” – si impone dal principio il programma di essere tutt’al più quasi finale, all’incirca finale, semifinale. E prima che gli storici distruggano le sue congetture Palasciano chiude:

«Non altrimenti è da intendere Prove tecniche di romanzo storico che come un carnevale (e «Un carnevale» ne è per fatalità il primo sintagma) dove villani, pastorelle, vecchie acquaiole e figli di fornai si travestono da re, da regine, da príncipi e generali; e i veri re, le vere regine, i veri príncipi e generali, da dietro l’infrangibile cristallo delle loro finestre, osservano la festa senza offendersi punto se un trovatore ne fa grassa satira.»

Mancano all’appello cento milioni (di donne)

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La tecnologia come agente sociale

di Giuseppe A. Veltri

Fiumi d’inchiostro e tantissimi libri sono stati scritti sul rapporto tra tecnologia e società, di come e quanto la tecnologia stia cambiando il nostro modo di vivere, di comunicare, di organizzare il nostro tempo e di disporre d’informazioni. Spesso, vengono coniati neologismi di ogni sorta e inventate tortuose definizioni su quello che può essere riassunto nel grande tema degli effetti ed impatti sociali delle tecnologie sulle società umane.

Ma questo complesso rapporto viene meglio compreso attraverso esempi e soprattutto esempi su larga scala. Il problema e’ che questi macro-eventi sono difficili da identificare mentre si verificano, lo si può fare solitamente post-hoc, visto che hanno luogo durante archi temporali non brevi.

Tuttavia, qualche eccezione esiste ed e’ particolarmente interessante.

Siete voi che non vedete

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di Walter Siti

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A Franco Cordelli e a Enzo Di Mauro ripugna essere apparentati al protagonista del mio libro; niente di più legittimo. Sotto le categorie negative di “narcisismo, esibizionismo, autoelezione e prepotenza” raccolgono una pattuglia eterogenea di scrittori che va da me ad Antonio Moresco, a Tiziano Scarpa, a Michel Houellebecq e a Bret Easton Ellis, fino al pochissimo autobiografico Alessandro Baricco. E aggiungono che quelle categorie negative “nei termini della vecchia politica sarebbero considerate di destra”.

Vive male la sua vita, ma lo fa con grande amore

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di Franz Krauspenhaar 

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Caro Piero Ciampi, ti conosco da non molto, tanto tempo è passato da quando te ne sei andato per quel cancro in gola (e che? tu pensavi di morire di cirrosi, vero? e invece tac, il cancro alla gola; e già, la sorte è originale…)e io di te, allora, 1980, non ne sapevo niente, tu avevi 46 anni, io ne avevo diciannove, ascoltavo il rock, quello progressivo, bum bum, e i Led Zeppelin, doppio bum bum, e qualche volta il cool jazz, – Lee Konitz, Lennie Tristano, patam patam.

Caro Piero Ciampi, ascolto tutte le tue canzoni, ora che di tacche di vissuto ne ho 45 come un calibro d’arma da fuoco; e si, quelle tue canzoni che non ebbero alcun successo mi tengono la compagnia di un’alchimia negativa; non m’interessa, io ho una corazza ben dura, anzi le cose troppo leggere cominciano davvero a infastidirmi, mi piace la durezza di parole acuminate e trapananti, e le canzoni che aumentano la mia nostalgia (e non ne avrei il bisogno, a dire il vero, ché di nostalgia ne sono pieno, ne sono assediato addirittura); e dunque, forse, ascoltarti è rischioso,  perché l’arte può far male, certa arte (certa, certissima) può anche ammazzare, pian piano, sofficemente, un giorno dopo l’altro, io credo, però si, comunque ammazza; anche se la corazza tiene, si, questa mia corazza è solida, è temprata, ha resistito, in passato, a colpi micidiali.

I giacobini delle lettere

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di Sergio Garufi

silvana-giacobini.jpgQualche riflessione estemporanea e peristaltica a margine del bel pezzo di Nicola Lagioia. Ho l’impressione che molte recenti aberrazioni critico-letterarie, non solo le “cantonate” di Cordelli e Di Mauro riguardanti Troppi paradisi di Walter Siti, derivino dal rifiuto del diktat proustiano di Contre Sainte-Beuve. Come mai si nega così pervicacemente che vi sia una sostanziale separazione fra l’io artistico e l’io mondano, arrivando perfino a identificare l’autore con il protagonista? Perché in questo modo si possono applicare al testo categorie etiche che prima erano state escluse o tenute ai margini. L’unità uomo-opera da un lato ripristina l’auraticità perduta (in seguito alla c.d. morte dell’autore), riassegnando all’autore la funzione di garante del senso, e dall’altro lo sottopone a un continuo esame di coerenza, restituendo così credito al peggior biografismo e psicologismo.

Su Cordelli e Di Mauro su Siti

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di Nicola Lagioia

La grazia con cui qualche critico casca stagionalmente nelle botole spalancate dagli scrittori attraverso la crudele buona fede dell’innovazione letteraria è spesso il certificato (superfluo) della qualità di quest’ultima. Se però il tonfo è fragoroso come quello di cui si sono resi protagonisti Franco Cordelli e Enzo Di Mauro dalle pagine dello scorso «Alias» in relazione a Troppi paradisi di Walter Siti, la faccenda inizia a farsi preoccupante se non dolorosa. Perché Cordelli e Di Mauro sono tutt’altro che sprovveduti, hanno una storia importante alle spalle – e invece, con una naiveté spericolatamente affine a quella di chi non riesce proprio a parlare di un libro se non trova l’aggancio “giornalistico” o “di costume”, commettono il peggior errore in cui possa incorrere chiunque voglia provare a occuparsi di letteratura: confondere lo scrittore con un suo personaggio.

Il surf è come la letteratura, più parlato che praticato

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di Francesco Longo

Da che parte stanno i surfisti? Partirono per il Vietnam o sfilarono per la pace? Come si è formata la cultura surf? Tutti hanno ascoltato almeno una volta Surfin’ USA dei Beach Boys e molti hanno visto Un mercoledì da leoni, o almeno ne hanno sentito parlare. Ma sapere cos’è un leash e chi è Greg Noll, è l’accesso verso un mondo arcano. Una grotta in cui oggi si respira una forma di epica.

Gli irriverenti

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di  Mia Hoffmann

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Ho il vizio del cecchino. Li spio dalla mia vecchia postazione mobile pedalando a rilento, simulando dietro a un paio di lenti il mirino. 

Non si puo’ correre il rischio che scoppi una rivoluzione

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di Nicolò La Rocca 

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Sciascia è stato forse l’intellettuale più osteggiato della nostra storia, con lui per qualche decennio il potere (sia quello cattolico, sia quello comunista) ha dimenticato quella sentenza per la quale se vuoi uccidere un libro basta che non ne parli, né bene né male, e questa distrazione il potere l’ha pagato a caro prezzo, perché questo intellettuale non l’ha lasciato in pace (cioè nel suo disordine controllato, la pace della nostra cinica e ipocrita società occidentale) mai, impegnandosi in ogni libro, giallo o pamphlet che fosse, nell’esibirlo al lettore, senza dare spettacolo, senza metterlo in mostra, senza sentimentalismi, ma sezionandolo con la competenza del medico legale e restituendo al lettore la fredda disamina di un mondo dove la ragione può solo morire.

Anteprima Sud 7 /Pasquale Panella e Lucio Saviani

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lucio_pasquale_01.jpgfoto di Silvano Forte
Il testo di Lucio Saviani precede le prime pagine dell’opera di Pasquale Panella. Il dialogo sarà pubblicato sul prossimo numero di Sud (ottobre)interamente dedicato al tema della musica e dei resti. Cosa resta della canzone italiana dopo Pasquale Panella?
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ps
Dialogo presentato in occasione del Festival della Filosofia, Instability, a cura dell’Associazione culturale Multiversum e dalla rivista Micromega, svoltosi a Roma all’Auditorium Parco della Musica dall’11 al 14 maggio 2006

Resti e Musica
di
Lucio Saviani

Il dialogo di oggi seguirà delle modalità, dei tempi, diversi da quelli che l’hanno preceduto. Questo, probabilmente per la natura stessa del tema che ha per oggetto. Ed è una natura doppia. E’ un dialogo doppio. Doppio è anche l’ospite, doppia l’altra voce di questo dialogo.
Il dialogo è con Pasquale Panella, che fa parlare Riccardo III.
Come dice Panella, è un Riccardo III da Shakespeare e da se stesso; in uno strano dialogo, oggi, come può accadere in certi lavori di Beckett.
Pasquale Panella: una delle voci più eversive della poesia italiana contemporanea. Panella fa brillare le parole, ma come fa un artificiere; le parole le fa brillare nella loro miniera.

La cinquina del Premio Campiello 2006

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niffoi-campiello.jpgdi Matteo Di Gesù 

C’è poco da fare: viene proprio da chiederselo. Banale e ovvio, inutile ed esornativo per quanto sia, il rovello s’insinua già mentre occhieggi, maneggi e annusi i libri che ti hanno spedito, e che dovrai leggere perché – che ci vuoi fare? – quelli sono, e tu, recensore, non hai che da metterti lì e masticarteli uno dopo l’altro. Ma del resto cominciare una recensione sulla cinquina finalista al premio Campiello (o meglio, sui cinque romanzi già vincitori del cosiddetto “premio selezione campiello”, tra i quali la giuria dei trecento lettori sceglierà quello a cui assegnare il cosiddetto “supercampiello”) ponendosi l’oziosa domanda: «a che servono i premi letterari?» è evidentemente inopportuno, se non rischiosamente fuorviante. L’unica è apparecchiarsi all’impronta una risposta sufficientemente valida (che non sia, dunque: “a far sì che gli editori sistemino sulla copertina la fascetta che recita:”Premio Campiello. Selezione Giuria dei Letterati”), farsela bastare e ripetersi la formula rituale: è uno sporco lavoro ma qualcuno doveva pur farlo.

L’elettrica solitudine di Voce

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di Aldo Nove

Il Cristo elettrico di Lello Voce è il libro che sigilla il ricordo di una generazione fiorita negli anni Ottanta e in quegli anni dispersa, magistralmente raccontata da uno dei più grandi poeti italiani. E’ un romanzo aspro, refrattario a ogni possibile forma di occhieggiamento a un pubblico che non si dà a priori, dando così espressione (a partire dall’introduzione, scritta su calco manzoniano, rivolta ai 25 lettori a cui ironicamente parlava il grande Lombardo) a un pessimismo che sfiora l’autoreferenzialità per mera conseguenza storica: quella di un isolamento assoluto dell’individuo di fronte all’avvenuto crollo di ogni illusione di collettività fattiva.

Casuali somiglianze volute

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di Franz Krauspenhaar

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“Le solite cose: com’è ovvio tutti i luoghi, le persone e gli avvenimenti sono liberamente inventati. Casuali somiglianze sono volute”. Questa è la nota dell’autore che appare alla fine di Quasi un’ infanzia di Hans-Georg Behr, (Einaudi pagg.324   euro 18,50). Una nota che dovrebbe sgombrare il campo da equivoci sulla quantità di autobiografia contenuta nel testo, se non fosse che, a leggerla e a rileggerla, questa nota a me è parsa sottilmente ironica soprattutto nel finale, quando si indicano “causali somiglianze volute”.

Il doping negli sport professionistici

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di Bruce Schneier, traduzione di Communcation Valley

La grossa novità nel ciclismo professionistico è che è stato annullato il titolo di vincitore del Tour de France a Floyd Landis perché il ciclista è risultato positivo al test antidoping, che ha rivelato l’uso di una droga per aumentare le prestazioni. Lasciando da parte per un momento l’intera questione sul permettere ad atleti professionisti l’uso di droghe per l’aumento di prestazioni, sulla pericolosità di tali droghe, e su cosa sia anzitutto una droga per l’aumento di prestazioni, vorrei parlare della sicurezza e delle questioni economiche legate alla problematica del doping negli sport professionistici.