di Sergio Garufi
Qualche riflessione estemporanea e peristaltica a margine del bel pezzo di Nicola Lagioia. Ho l’impressione che molte recenti aberrazioni critico-letterarie, non solo le “cantonate” di Cordelli e Di Mauro riguardanti Troppi paradisi di Walter Siti, derivino dal rifiuto del diktat proustiano di Contre Sainte-Beuve. Come mai si nega così pervicacemente che vi sia una sostanziale separazione fra l’io artistico e l’io mondano, arrivando perfino a identificare l’autore con il protagonista? Perché in questo modo si possono applicare al testo categorie etiche che prima erano state escluse o tenute ai margini. L’unità uomo-opera da un lato ripristina l’auraticità perduta (in seguito alla c.d. morte dell’autore), riassegnando all’autore la funzione di garante del senso, e dall’altro lo sottopone a un continuo esame di coerenza, restituendo così credito al peggior biografismo e psicologismo.

di Matteo Di Gesù
Fernando Pessoa, Il caso Vargas, edizioni “il Filo”, 2006, cura e traduzione di Simone Celani.
