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Non si puo’ correre il rischio che scoppi una rivoluzione

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di Nicolò La Rocca 

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Sciascia è stato forse l’intellettuale più osteggiato della nostra storia, con lui per qualche decennio il potere (sia quello cattolico, sia quello comunista) ha dimenticato quella sentenza per la quale se vuoi uccidere un libro basta che non ne parli, né bene né male, e questa distrazione il potere l’ha pagato a caro prezzo, perché questo intellettuale non l’ha lasciato in pace (cioè nel suo disordine controllato, la pace della nostra cinica e ipocrita società occidentale) mai, impegnandosi in ogni libro, giallo o pamphlet che fosse, nell’esibirlo al lettore, senza dare spettacolo, senza metterlo in mostra, senza sentimentalismi, ma sezionandolo con la competenza del medico legale e restituendo al lettore la fredda disamina di un mondo dove la ragione può solo morire.

Anteprima Sud 7 /Pasquale Panella e Lucio Saviani

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lucio_pasquale_01.jpgfoto di Silvano Forte
Il testo di Lucio Saviani precede le prime pagine dell’opera di Pasquale Panella. Il dialogo sarà pubblicato sul prossimo numero di Sud (ottobre)interamente dedicato al tema della musica e dei resti. Cosa resta della canzone italiana dopo Pasquale Panella?
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Dialogo presentato in occasione del Festival della Filosofia, Instability, a cura dell’Associazione culturale Multiversum e dalla rivista Micromega, svoltosi a Roma all’Auditorium Parco della Musica dall’11 al 14 maggio 2006

Resti e Musica
di
Lucio Saviani

Il dialogo di oggi seguirà delle modalità, dei tempi, diversi da quelli che l’hanno preceduto. Questo, probabilmente per la natura stessa del tema che ha per oggetto. Ed è una natura doppia. E’ un dialogo doppio. Doppio è anche l’ospite, doppia l’altra voce di questo dialogo.
Il dialogo è con Pasquale Panella, che fa parlare Riccardo III.
Come dice Panella, è un Riccardo III da Shakespeare e da se stesso; in uno strano dialogo, oggi, come può accadere in certi lavori di Beckett.
Pasquale Panella: una delle voci più eversive della poesia italiana contemporanea. Panella fa brillare le parole, ma come fa un artificiere; le parole le fa brillare nella loro miniera.

La cinquina del Premio Campiello 2006

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niffoi-campiello.jpgdi Matteo Di Gesù 

C’è poco da fare: viene proprio da chiederselo. Banale e ovvio, inutile ed esornativo per quanto sia, il rovello s’insinua già mentre occhieggi, maneggi e annusi i libri che ti hanno spedito, e che dovrai leggere perché – che ci vuoi fare? – quelli sono, e tu, recensore, non hai che da metterti lì e masticarteli uno dopo l’altro. Ma del resto cominciare una recensione sulla cinquina finalista al premio Campiello (o meglio, sui cinque romanzi già vincitori del cosiddetto “premio selezione campiello”, tra i quali la giuria dei trecento lettori sceglierà quello a cui assegnare il cosiddetto “supercampiello”) ponendosi l’oziosa domanda: «a che servono i premi letterari?» è evidentemente inopportuno, se non rischiosamente fuorviante. L’unica è apparecchiarsi all’impronta una risposta sufficientemente valida (che non sia, dunque: “a far sì che gli editori sistemino sulla copertina la fascetta che recita:”Premio Campiello. Selezione Giuria dei Letterati”), farsela bastare e ripetersi la formula rituale: è uno sporco lavoro ma qualcuno doveva pur farlo.

L’elettrica solitudine di Voce

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di Aldo Nove

Il Cristo elettrico di Lello Voce è il libro che sigilla il ricordo di una generazione fiorita negli anni Ottanta e in quegli anni dispersa, magistralmente raccontata da uno dei più grandi poeti italiani. E’ un romanzo aspro, refrattario a ogni possibile forma di occhieggiamento a un pubblico che non si dà a priori, dando così espressione (a partire dall’introduzione, scritta su calco manzoniano, rivolta ai 25 lettori a cui ironicamente parlava il grande Lombardo) a un pessimismo che sfiora l’autoreferenzialità per mera conseguenza storica: quella di un isolamento assoluto dell’individuo di fronte all’avvenuto crollo di ogni illusione di collettività fattiva.

Casuali somiglianze volute

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di Franz Krauspenhaar

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“Le solite cose: com’è ovvio tutti i luoghi, le persone e gli avvenimenti sono liberamente inventati. Casuali somiglianze sono volute”. Questa è la nota dell’autore che appare alla fine di Quasi un’ infanzia di Hans-Georg Behr, (Einaudi pagg.324   euro 18,50). Una nota che dovrebbe sgombrare il campo da equivoci sulla quantità di autobiografia contenuta nel testo, se non fosse che, a leggerla e a rileggerla, questa nota a me è parsa sottilmente ironica soprattutto nel finale, quando si indicano “causali somiglianze volute”.

Il doping negli sport professionistici

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di Bruce Schneier, traduzione di Communcation Valley

La grossa novità nel ciclismo professionistico è che è stato annullato il titolo di vincitore del Tour de France a Floyd Landis perché il ciclista è risultato positivo al test antidoping, che ha rivelato l’uso di una droga per aumentare le prestazioni. Lasciando da parte per un momento l’intera questione sul permettere ad atleti professionisti l’uso di droghe per l’aumento di prestazioni, sulla pericolosità di tali droghe, e su cosa sia anzitutto una droga per l’aumento di prestazioni, vorrei parlare della sicurezza e delle questioni economiche legate alla problematica del doping negli sport professionistici.

un sorriso di buddha dormiente

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buddha    di Margherita Carbonaro

Con forza inspira qualche volta e si mette a sedere su una panchina. Le cicale stridono come impazzite. Non devono saper nulla del proprio chiasso, pensa fra sé e sé la ragazza, e probabilmente è così. Non sanno nulla del furore di cui stanno saturando l’aria. È un suono che cresce accumulandosi e poi si distende e cala. Come il meccanismo di un giocattolo, fai più giri con la chiave fino in fondo e poi la carica si svoltola a poco a poco. Ora lo stridio di milioni di cicale si addensa furibondo, si svoltola, si esaurisce, stordisce.

Il caso Vargas

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 di Gianni Biondillo 

pessoa.gif  Fernando Pessoa, Il caso Vargas, edizioni “il Filo”, 2006, cura e traduzione di Simone Celani.

Fa specie vedere come ancora oggi, residuo di un pregiudizio critico assolutamente novecentesco, molta della critica parruccona guardi con disprezzo tutto ciò che è “genere” – e quindi, nella loro schematica divisione del mondo, non appartenente di diritto alla Letteratura con la L maiuscola – mentre proprio in quegli anni del secolo passato, quando la cultura veniva fatta da grandi e più liberi intellettuali, quest’ultimi non avevano  nei confronti del “genere” pregiudizio alcuno:

Et dimitte nobis debita nostra

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Tra quest’immagine e l’autore del post non esiste alcuna relazione di fatto. Nomen Omen.
Questo post deve il suo slancio ai recenti interventi di Sergio prima ed Helena poi.

Inventario del gesto

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immagine-002.jpgdi Andrea Inglese

(io fungo, agendo così e così, in un quadro
più vasto, in cui servo e non servo, calzo
per oggi guanti gialli, spingo precise leve,
maniglie, mani, tastini, bottoni, mi adopro
nel tratto designato, fingo – tutto vestito –
di fare una cifra neutra, che passa liscia,
mi usate anche a torto, di traverso, bene,
faccio numero, mettetemi in fondo, io passo
le braccia conserte come gli altri, lo stesso
moto assorto di quello che serve e non serve)

Langewiesche, scrittore d’aria, di terra e di mare

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di Roberto Saviano

William Langewiesche è uno scrittore capace di mettere le mani nel budello della realtà. Polpastrelli nel sangue dei fatti, dita nella vescica del vero. Il primo libro pubblicato in Italia uscì per Arcana Lo schianto dell’EgyptAir 990 nel 2002 tradotto da Stefania Cherchi. Non ebbe grande successo, eppure è un lavoro fondamentale. Il racconto dell’inabissamento nell’ottobre del 1999 di un aereo decollato dall’aeroporto Kennedy di New York e diretto al Cairo in Egitto con 217 persone a bordo. Langewiesche, ex pilota professionista, indaga, raccoglie, ascolta le voci, le indagini, le carte meccaniche dei periti, per comprendere come quell’EgiptAir sia potuto inabissarsi d’improvviso.

Lo specifico filmico

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di Simone Ciaruffoli
 

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“Lei non sa chi sono io, mi faccia passare!”. Disse così Natalia Aspesi qualche anno fa sul limitare di una sala veneziana. Io ero presente.

Non la volevano fare passare, forse la sua frangetta costituiva un problema per chi pensa che un taglio fatto in quel modo sia impudico per una settantenne. O forse, più semplicemente, quelli non sapevano davvero chi era lei: Natalia Aspesi.

La casa di Ernesto

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di Mario Bianco 

L’Ernesto quando ereditò la casa dello zio Erasmo fu contento assaissimo ché pensava: che così la vendo e finalmente tiro il fiato dopo tutti ‘sti mesi passati ad assisterlo che sarà stato anche bravo ma scassava pure parecchio e ancora un po’ mi veniva l’esaurimento.
Poi aggiungeva dentro di sé: meno male che ho fatto venire il notaio in tempo se no zio mio manco mi lasciava tutto, finiva che dovevamo dividere tra quella puttana della Pina, l’Adriano che non l’ha mai degnato di attenzione o cosa, Emilio è stronzo si sa pure egoista e i Tempestini stanno già troppo bene del loro in Brasile, ecco.

Statistiche estive

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I dati del traffico sulle pagine web di Nazione Indiana, aggiornati ad agosto 2006. Tutti i dati sono ottenuti con Google Analytics, alla cui documentazione rimando per ogni approfondimento.

Da “Cassavetes”

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di Alessandro del Moro

Arrivarono le pulci.
Mio padre non guardava, non guardava nessuno e nonostante il caldo chiudeva i finestrini della macchina, fino al punto in cui, sforzando la manovella, il vetro sembrava sotto pressione, un altro scatto e sarebbe finito, meravigliosamente, in frantumi.
Io dormivo perfettamente bene: l’aria di giugno massaggiava la pelle, e io mi sentivo, io ero, parte integrante del processo naturale delle cose, l’esatto speculare della fotosintesi. Respirare, produrre anidride, ingurgitare tutta l’aria che avevo a portata di bocca. Alle volte se avevo bevuto la sera prima, mi svegliavo ansimando in cerca d’acqua. Ma la maggior parte delle mattine, prima di mettere a fuoco i pensieri, anche prima di aprire gli occhi, credevo di aver trovato finalmente qualcosa che mi potesse guidare.

Addio Facchetti

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di Franz Krauspenhaar

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il tuo viso serio//noi piccoli a sentire//rauche radiocronache// la tua figura lunga come di fantasma di carne a statua che stringe//il pallone a scacchi bianchi e neri//torneremo là, noi idioti//nel catino di fiati//là dove vuole il gioco//gesù è vivo anche lì, tra gli sbandati ebbri//frustrati estasiati ad alternanze ridicole//torneremo là//là dove il gioco vuole ricominciare//noi bambini del calcio//quando vedevi che ti guardavamo ammirati//sorridevi appena//presidente d’un club//tanto vecchio, tanto ricco, tanto perso//signori s’è nati//ora non so più//sono triste come una minestra davanti a una finestra fredda//tutto qui//gol//laggiù. 

Una notte molto movimentata

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disegno di Riccardo Saviola
racconto di Mauro Baldrati – disegno di Riccardo Raviola

Antonio Rabbi, titolare dell’edicola notturna del quartiere Pilastro, si sentiva stanco. Molto stanco, ed erano appena le due. Quella era una stanchezza da quattro del mattino, quando anche il cuore sembrava oppresso, e batteva a fatica. La sentiva sempre, la stanchezza delle quattro, anche se faceva quel lavoro da quindici anni, anche se durante il giorno aveva dormito più delle quattro-cinque ore solite. La stanchezza delle quattro era fisiologica, la risposta di un organismo che non accettava fino in fondo la riconversione della vita lavorativa notturna e del riposo diurno. Antonio si era ormai convinto che l’uomo era sostanzialmente un essere solare; molto versatile, come aveva letto in varie ricerche scientifiche pubblicate sui settimanali e sui mensili illustrati che leggeva ogni notte, in grado di adattarsi a qualunque clima, a qualunque orario, ma restava un mammifero diurno. Lui, almeno, Antonio Rabbi, si sentiva tale. Buffo, pensò, più andava avanti col lavoro notturno più si sentiva una creature diurna.
Comunque non era una bella storia sentire la stanchezza delle quattro alle due. Significava che alle quattro sarebbe stato più o meno in coma. E non poteva certo addormentarsi. C’erano i tipi dei porno che si infilavano nel cubicolo con la tenda, andavano tenuti d’occhio, perché era un attimo intascare un DVD, con quello che costavano.

In margine al film Time di Kim Ki Duk

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kim_ki-duk_0.jpgdi Marco Rovelli
Time non è uno dei film migliori di Kim-Ki Duk. Non ho visto Ferro Tre, ma mi si dice che aveva un impatto visivo ed emozionale assai più forte.
Time non scuote particolarmente, è vero. Lascia più freddi. Ma fa pensare. Il suo impianto narrativo pone questioni, apre sentieri di pensiero. Magari al di là di se stesso, ma fa pensare. E questo è un merito innegabile.

Psalm/Salmo x3

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di Paul Celan

Psalm
 

Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
niemand bespricht unsern Staub.
Niemand.
 

Gelobt seist du, Niemand.
Dir zulieb wollen
wir blühn.
Dir
entgegen.
 

Ein Nichts
waren wir, sind wir, werden
wir bleiben, blühend:
die Nichts-, die
Niemandsrose.
 

Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn.

Bacheca di settembre 2006

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Se vuoi, puoi usare i commenti qui sotto come spazio per segnalazioni e discussioni a tema libero durante il mese.

Patrizia 2.0

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(ho postato una prima versione di questa poesia qualche giorno fa e ho ricevuto molti commenti che sono qui in calce, anche critici e molto critici – alcuni mi sono stati utili e quindi ho rimesso le mani sul testo)

di Christian Raimo

Parliamo del novantasei, ero uno studente
fuoricorso di pedagogia, e alle mattine mentre i miei
si dissolvevano nel mondo del lavoro,
mia sorella una bimba che va a scuola
(a scrivere “chiuso per furie” sulla porta della classe
e poi sbraitare in coro), – solo in casa – mi svegliava
una voce del telefono, pedagogia anche lei,
che mi pregava di sottopormi un questionario.