di Giovanni Choukadharian
Una roba curiosa di Antonio Franchini è che ha un agente letterario, o meglio si fa rappresentare da un’agenzia. Che bisogno può averne, un direttore di collana per Mondadori – cioè, della collana di narrativa più importante d’Italia – e uno scrittore di cui, in 15 anni quasi di produzione, nessuno ha mai scritto meno che benissimo? Questa domanda è buona per la prossima intervista. Intanto, senza nessun battage, privo di campagna preventiva à la George W. Bush, è uscito in settembre questo oggetto letterario non identificato. Romanzo o racconto non pare; somiglia a un reportage, ma per esserlo è troppo lungo; potrebbe passare per un illustrato, se le magnifiche foto di Pietro Pompili fossero un po di più e magari meglio stampate. In sostanza, con Franchini si pone sempre lo stesso problema: com’è che può piacere del materiale così inclassificabile? Forse questa è una delle ragioni. I libri di Franchini (in avanti, LdF) non somigliano a niente altro che circoli oggi da queste e altre parti. Un altro motivo buono è la forza della scrittura.









