
di Andrea Raos
Avvertenza : non ho internet a casa, quindi scrivo senza avere sott’occhio i commenti; se dimentico qualcuno, se dico cose già dette… scusate.
Gli anni seguenti, però, quando mi tornò più appieno l’entusiasmo, cedetti alla mia naturale inclinazione verso la vita solitaria. A quel tempo, dopo aver preso l’oppio, m’immergevo spesso in tali fantasticherie; e molte volte m’accadde, durante una notte estiva – seduto presso una finestra aperta, da cui potevo scorgere sotto, a un miglio di distanza, il mare, e al tempo stesso dominar la scena d’una vasta città che si stendeva su un raggio diverso, ma quasi alla stessa distanza – di restar là ore e ore, dal tramonto all’alba, immoto quasi fossi indurito dal gelo, incosciente di me e divenuto quasi un oggetto qualunque della multiforme scena che contemplavo dall’alto. Tale spettacolo, in tutti i suoi elementi, contemplavo spesso dalla dolce collina di Everton. Alla sinistra si stendeva la città di Liverpool dalle mille lingue, alla destra il mare multiforme; era una scena che mi colpiva come una rappresentazione tipica di quanto passava nelle mie fantasticherie. La città di Liverpool rappresentava la terra, coi suoi dolori e le sue tombe, remoti da me, ma tuttavia non invisibili, né del tutto dimenticati. Nel suo moto, eterno ma dolce, l’oceano, sul quale covava una calma angelica, rappresentava in certo modo il mio spirito e i pensieri che allora lo cullavano languidamente. Mi sentivo, come per la prima- volta, lontano, estraneo ai tumulti della vita:
Di
Di che parla questo testo del poeta afro-americano Amiri
(All thinking people
oppose terrorism
both domestic
& international…
But one should not
be used
To cover the other)

di Helena Janeczek
Questo testo è (dovrebbe essere) il capitolo di un libro al quale sto lavorando. Vale a dire: gli appunti escono dalla penna- e dalla testa- di un personaggio fittizio, il professor Alberto Ferrazzi, teologo e studioso delle religioni, nonché zio di una delle protagoniste, che da anni studia il messianesimo in tutte le sue forme e manifestazioni. Pubblicarlo qui vuole anche essere un ringraziamento al portatore del nick “wovoka” che mi ha messo sulle tracce del personaggio storico.
di Gianluca Gigliozzi
LETTERA SUGLI IDIOTI A USO DI QUELLI CHE CAPISCONO 1749
O voi che vedete, trovo molta difficoltà a scrivere una lettera sugli idioti a gente la cui intelligenza non soverchia quella di molti onorevoli mentecatti, santificati da Dio, dalla società e dai codici attuali—d’altronde siete voi che vedete, no?—e poi non c’è rischio che possiate accanirvi ancora contro di me, dal momento che in prigione mi ci avete già messo—è evidente che la mia “LETTERA SUI CIECHI AD USO DI QUELLI CHE VEDONO” ha smosso qualcosa di voi che vedete—comunque vi scrivo per dirvi che starmene rinchiuso qui a Vincennes non basterà a fermarmi—può darsi che sia IO il cieco, può darsi che sia IO a non vedere—e forse gli idioti designati nella lettera presente sono quelli come me—

di Jean Claude Michea
traduzione di Francesco Forlani e Alessandra Mosca
Un difetto classico di certe analisi radicali è quello di considerare ogni decisione presa da un governo avvezzo alle idee capitalistiche (il che dei nostri giorni è un pleonasma) come se fosse dettata dalla sola preoccupazione di accrescere il margine di profitto delle società o delle istituzioni che di solito le finanziano.
Bertrand Russell, Elogio dell’ozio
Come molti uomini della mia generazione, fui allevato secondo i precetti del proverbio che dice
« l’ozio è il padre di tutti i vizi ».
Poiché ero un ragazzino assai virtuoso, credevo a tutto ciò che mi dicevano e fu così che la mia coscienza prese l’abitudine di costringermi a lavorare sodo fino ad oggi. Ma sebbene la mia coscienza abbia controllato le mie azioni, le mie opinioni subirono un processo rivoluzionario. lo penso che in questo mondo si lavori troppo, e che mali incalcolabili siano derivati dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa; insomma, nei moderni paesi industriali bisogna predicare in modo ben diverso da come si è predicato sinora. Tutti conoscono la storiella di quel turista che a Napoli vide dodici mendicanti sdraiati al sole (ciò accadeva prima che Mussolini andasse al potere) e disse che avrebbe dato una lira al più pigro di loro. Undici balzarono in piedi vantando la loro pigrizia a gran voce, e naturalmente il turista diede la lira al dodicesimo, giacché il turista era un uomo che sapeva il fatto suo. Nei paesi che non godono del clima mediterraneo, tuttavia, oziare è una cosa molto più difficile e bisognerebbe iniziare a tale scopo una vasta campagna di propaganda. Spero che, dopo aver letto queste pagine, la YMCA si proponga di insegnare ai giovanotti a non fare nulla. Se ciò accadesse davvero, non sarei vissuto invano.
di Nicolas Bourriaud
a cura di Alessandro Broggi
[…] Gli artisti della post-produzione operano un editing delle narrative storiche e ideologiche, inserendo gli elementi che le compongono in scenari alternativi. La nostra società è strutturata da narrative, scenari immateriali, che sono più o meno rivendicati come tali e tradotti da stili di vita, riferimenti al lavoro o ai divertimenti, istituzioni e ideologie.
Di Mark Strand
Traduzione di Damiano Abeni
1
Qualche mese fa, mio figlio di quattro anni mi sorprese. Era tutto curvo a lucidarmi le scarpe quando alzò lo sguardo e mi disse, “Le mie traduzioni da Palazzeschi vanno male”.
Ritrassi immediatamente il piede. “Le tue traduzioni? Non sapevo che fossi in grado di tradurre”.
di Nicolas Bourriaud
a cura di Alessandro Broggi
“Ogni elemento, non importa la provenienza, può servire a creare nuove combinazioni. […] Tutto può servire. Non c’è bisogno di dire che si può non soltanto correggere un’opera o integrare frammenti diversi di vecchie opere in una nuova; si può anche alterare il senso di questi frammenti e modificare a piacimento ciò che gli imbecilli si ostinano a definire citazioni”.
G. Debord
“Il consumo è allo stesso modo, immediatamente, produzione. […] Durante la nutrizione, che è una forma di consumo, l’uomo produce il proprio corpo”.
K. Marx
“Denunciare, criticare il mondo? Ma non si denuncia nulla dall’esterno, bisogna prima abitare la forma che si vuole amare o criticare. L’imitazione può risultare sovversiva, molto più di tanti discorsi frontali che gesticolano la sovversione”.
N. Bourriaud
In questa luce diffusa, nella quale non v’era né muro né albero né bestia né uomo che gettasse ombra, perfino il selciato sotto i piedi del signor Verloc si tingeva d’oro vecchio. Proprio così, il signor Verloc camminava verso occidente in una città senz’ombre, in un’atmosfera d’oro vecchio spruzzato. Luci rossorame si accendevano sui tetti delle case, sugli angoli dei muri, sui vetri delle carrozze, sulle stesse gualdrappe dei cavalli, e, infine, sulle spalle larghe del soprabito del signor Verloc, dove creavano riflessi smorzati, color ruggine. Ma il signor Verloc non aveva affatto l’impressione d’essersi arrugginito. Ammirava con sguardi di approvazione, di là dai cancelli del parco, quelle prove dell’opulenza e del lusso cittadini. Tutta quella gente chiedeva d’essere protetta. La protezione è la necessità prima dell’opulenza e del lusso. Chiedeva d’essere protetta, quella gente; e protezione invocavano i suoi cavalli, le sue carrozze, le case, i servi; protezione, le fonti della sua ricchezza nel cuore della città e nel cuore del paese; protezione contro la torbida invidia di un lavoro antigienico, l’intero ordine sociale propizio ai suoi igienici svaghi. Gli ozi del signor Verloc,
Spazio per le lettere a Nazione Indiana, segnalazioni e richieste.
di Gabriella Fuschini
E fu così che ci ritrovammo a osservare il dolore emergere,
tangibile quasi solido, tale da poterlo toccare fino a sentire
male nelle ossa e nel cuore, per quella strana forma nota
a noi sofferenti che affondiamo mani nel pantano della vita
cercando una spiegazione sufficientemente soddisfacente
al senso del nostro stare, come prestigiatori inesperti sul filo.
Scrive il domenicano lionese Guglielmo Peraldo, vissuto intorno alla metà del XIII secolo e autore di uno dei più diffusi manuali medievali di vizi e virtù (Summa virtutum ac vitiorum), che un grande esempio di operosità è dato innanzitutto dall’universo intero: il Sole ogni giorno viaggia da Oriente a Occidente, e ogni notte torna indietro, non concedendosi mai un momento di riposo né in estate né in inverno, senza peraltro aspettarsi alcuna remunerazione per il suo lavoro. Un simile esempio deve indurre – secondo Peraldo – a rendere il vizio dell’accidia sommamente esecrabile.
di Emilio Villa (1914-2003)
Però tornare a casa soltanto per pietà,
andare e ritornare per civile sollecitudine,
quasi per sola cortesia, e riudire in strada
la giovinezza, o nella mente, che esclama
«dammi una libertà, dammi anche tu
la pace, dammi la pace che non posso»
di Gianni D’Elia
[il libro di D’Elia di cui riporto un brano verrà presentato dall’autore alla Festa de l’Unità di Milano il 27 agosto, alle 18, con Gianni Barbacetto (“Diario”) e Franco Buffoni. a.r.]
Se ci si chiede quale sia la vera novità della poesia di Pasolini, si può rispondere che l’autore de Le ceneri di Gramsci porta nella poesia italiana lo sguardo del cinema e del viaggio. Tutte le sue poesie sono lunghe carrellate visive e meditative, all’aria aperta e dentro i margini delle città, dei paesaggi. Si cammina e si pensa, si va in macchina e in treno, il corpo vivo abita la scena, descritta in presenza nei versi, con attacchi proustiani, sempre legati alle sensazioni (per lo più olfattive, auditive) della memoria. L’altra novità è metrica. Pasolini ha dato (vale ripeterlo) al marxismo eretico una metrica dell’ossimoro, della contraddizione, dell’apertura: «la sua natura, non la sua / coscienza; è la forza originaria». La sintassi ci dice che la forza originaria è la natura del popolo; ma il verso isolato recita che la «coscienza è la forza originaria». E tutti e due i sensi valgono, compresenti, picchi di aporia metrico-filosofica. Dunque, l’attenzione va spostata sullo spasmo narrativo, e sul modo particolare di funzionamento della musica semantica: dalle forme chiuse della quartina friulana e delle terzine degli anni Cinquanta si passerà a una scrittura più sfrangiata, libera, che però non perderà mai la qualità del canto concettuale, della necessità prosodica. Insomma, se la tradizione è attraversata, lo è per aderenza al vero, che parla da quella spaccatura: corpo/storia, sintassi/metro, senso/rima. Pasolini è soprattutto un poeta, lo straordinario poeta di un corpo metrico inaudito, da scoprire.
1
caldo di mani e freddo di capa
potresti fare un taglia-taglia
di fili snicchi e pupazzi snacchi
se ci mettessi un po’ di penna
in questa storia di scrittura
ma camminando-camminando
te la vai toccando
e non sai più qual è l’occhio che ride
2
e di te diranno
è morto e va cantando
3
il forno roventa
la pizza s’avvampa
la pizia non c’è più
ricacciata dai forconi
e allora sgrisola sega sbrega
e poi dimmi chi si storce e dà gomitate
1
mastra
di trame e telai
non potrò mai intramare
e tessere il tuo cuore
ma quale cuore
sampirota disonorata faccia di bronzo
2
venni per accattare vita
come m’ha fottuto
il banditore
3
finta che non mi vede
bastò un rovescio di mano
e addio pane e piacere
lo stretto necessario
per campare
4
réstati qua
attaccata sulla pelle
più forte di vogliadesìo
galante vita
con la tua voglia ricca
a ogni santo arriva
la sua festa
^
nottetempo trafughiamo il carrozzone
delle illusioni
ma presto anche sotto il sole
tanto siamo sfacciati
^
rosicchia-rosicchia
qualche osso resterà
Jolanda Insana
sempre da Sciarra amara.
1
non dovea pigliare latte
ma restare con la bocca secca
avvoltolata in spine santare
2
m’avventai con la zapponella
per farti glinglòn
ma eri della cosca
e io finii coglibosca
3
nericata e smorfiosa
rùmmicarùmmica
continua camorrìa
sarà un modo nuovo di fare
poesia
4
malanova pigli e quagli il sangue
all’orba d’una minchiona
che chiamata in aiuto
apri gli occhi e m’atterri
5
culoperciato
ho la legna a malo
passo
e il fiato grosso
6
per non dare sazio a quella rompina
rompigliona rompiculo d’una morte
la vita se ne va
con gli occhi aperti
7
che scanto
quando la minchiababba e babbannacchia
ci prende per stanchezza con il fiato di fuori
8
faccia di sticchiozuccheràto
non aspettarti gioie
da minchiapassoluta
Jolanda Insana
[in Sciarra amara, da antologia di poeti Guanda 1977]
di Franco Arminio
1.
scrivo a oltranza da circa trent’anni. scrivo perché devo morire e nell’epoca in cui mi è capitato di vivere non so trovare altri modi di dare intensità alla mia esistenza. l’intensità, quando arriva, è un ulteriore inganno perché mi fa sentire ancora di più la prospettiva della morte. per darvi un’idea di come mi sento immaginate che un medico vi abbia dato un’ora di vita. in quest’ora proverete ad abbracciare qualcuno, proverete magari a fissare una volta per sempre i vostri pensieri, di sicuro non comincerete a scrivere un romanzo.
di Liliane Giraudon, traduzione di Andrea Raos
si potrebbe immaginare una lettera sarebbe una lettera a una giovane poetessa
ma in realtà quella a cui scrivo non è ciò che si
potrebbe dire una bambina piuttosto è la sua lingua che è così
fresca nel carro dei rifiuti – pentecoste “lingue” sezione della poesia
somma di anne senza soluzione colloidale – anne è fresca – la sua
lingua somatropa anne non è suzanne è verde ma non
è vero ho visto un giorno vi assicuro una bambina che
si metteva delle matite nelle mutande diceva le ascolto mi si
parla sono un ragazzo né una ragazza mi parlano ogni giorno
sento la loro voce è un segreto una grande distanza nello
spazio – non un lavandino – una distanza nello spazio non un lavandino