di giuliomozzi
Andrea Inglese, rivolgendosi a me e a Helena Janeczek nei commenti al mio intervento Preterizione (che è una reazione all’indiscutibile profezia di Antonio Moresco La restaurazione), scrive:
Helena e Giulio, è una domanda senza ironia e sincera che vi faccio; e non dovete per forza rispondermi subito, o qui; siete nell’editoria, siete in qualche modo quei personaggi “ibridi” di cui parlavo (di cui si parla); ovviamente non so se abbiate mai ammazzato dei capolavori; ma credete, voi, dal di dentro, eppur ancora marginali rispetto al funzionamento della macchina, ma certo molto meno marginali di me, ebbene… Credete che vi sia un nemico della letteratura radicale (della grande letteratura, come diavolo vogliamo chiamarla…)? C’è o non c’è? Avete almeno dei sospetti? Oppure c’è, ma non è identificabile? O è una somma di gesti o dimenticanze, che migrano da uno all’altro, o ancora, come direbbe Musil, è il risultato globale nefando di tanto individuale e volonteroso agire? Davvero, fino in fondo senza ironia. Secondo voi c’è un nemico? Mi interessa il vostro personale parere.
Dall’intervento di Andrea Inglese Lettera a Carla sul combattimento e sul sogno:
Ma il peggior nemico di tutti, è quell’essere ibrido, a cavallo tra cultura e azienda, tra scrittura e management, tra cattedra universitaria e consulenza editoriale, che decide della pubblicazione e della non pubblicazione. Che decide, insomma, di cosa entrerà a far parte dell’universo letterario, e di cosa ne resterà fuori, ai margini, nel limbo. (È chiaro che il nemico, in questo senso, è colui che svolge questo suo ruolo contro la letteratura radicale).
Sono d’accordo: il peggior nemico è quell’essere ibrido; e, come ho già detto in Preterizione, quell’essere ibrido sono io. Il peggior nemico sono io.