di Lea Melandri
Quando la tifoseria si carica di valenze e simboli politici e la politica assomiglia sempre più a una partita di calcio, e quando entrambe vanno a perdersi in una interminabile messa solenne, officiata indifferentemente da cardinali, conduttori televisivi, attrici, giornalisti non sospetti di tanta devozione, cosa succede a tutti quelli che non riescono a pensarsi né come “fedeli”, né come “tifosi”, né come “militanti” di un partito o di un altro, ma che neppure sanno stare nella posizione comoda e mortificante di semplici spettatori? Che ne è del cittadino che non riesce a farsi coinvolgere facilmente nella passione agonistica e neppure nell’infervoramento religioso, che rifugge dalla “condivisione di intimità”, divenuta ormai la molla principale dei fenomeni di massa, che si tratti di principesse o di Papi? Che cosa può pensare una donna, consapevole della sorte toccata storicamente a un sesso e all’altro, quando sulla scena pubblica, amplificata e servita alle ore dei pasti in ogni famiglia italiana, dove bene o male convivono ancora madri e padri, figlie e figli, passano quasi esclusivamente corpi maschili, idee e linguaggi maschili, anche se mascherati dietro una neutralità che ha ancora tanto fascino per entrambi i sessi?







Ecco: parte una canzone degli Aerosmith (magari quella usata in Armageddon), oppure, che ne so, Tiziano Ferro, una qualsiasi hit del momento, o roba un po’ più sofisticata, insomma qualunque stronzata ritenuta capace di far salire la temperatura emotiva del pubblico.