di Giovanni Maderna
Due scrittori, due grandi scrittori in bilico, sempre sul punto di essere travolti da sé stessi, dall’idealismo o dal nichilismo, e anche da tante altre cose, e che anzi probabilmente lo furono, travolti, a dimostrazione dell’autenticità del rischio, ma che forse proprio per questo appaiono spesso e volentieri sublimi, hanno scritto cose che a mio parere hanno a che fare con la “restaurazione” e con gli ambigui “Vomitoria”, con marginalità e radicalità, aggressività e censura, verità e ipocrisia…
Musil è il primo:
“Si ribatterà che questa è un’utopia. Sì, certo, lo è. Utopia ha press’a poco lo stesso significato di possibilità; il fatto che una possibilità non è una realtà vuol dire semplicemente che le circostanze alle quali essa è attualmente legata non glielo permettono, altrimenti sarebbe invece una impossibilità; se la sciogliamo dai suoi legami e lasciamo che si sviluppi, ecco che nasce l’utopia.

Ecco: parte una canzone degli Aerosmith (magari quella usata in Armageddon), oppure, che ne so, Tiziano Ferro, una qualsiasi hit del momento, o roba un po’ più sofisticata, insomma qualunque stronzata ritenuta capace di far salire la temperatura emotiva del pubblico.
Cari amici,
di Gianni Biondillo e Loredana Lipperini