Intervista a Domenico Starnone di Linnio Accorroni
In una pagina del suo diario, Flaubert , ad indicare la forza seduttiva della bêtise, racconta questo episodio: di notte, in un battello,è irresistibilmente ammaliato dalla conversazione futile e sciocca di due cacciatori: quelle chiacchiere, invece di respingerlo, lo attraggono, tanto da affiancarsi a loro, “in virtù di quell’istinto depravato che ci fa talvolta mettere il naso sotto le coperte per sentire l’odore di un peto”.
Qualcosa di simile è avvenuto in occasione dell’uscita di Labilità, l’ultimo libro di Domenico Starnone: mossi dallo stesso ‘istinto depravato’ di cui parla Flaubert, molti hanno ‘voluttosamente aspirato’ l’odore massmediatico, di chiara derivazione gossipara, scaturito dalla presunta sovrapposizione identitaria tra Elena Ferrante e Domenico Starnone; il subitaneo compattarsi di ranghi, soi- disant, intellettuali in questa pseudo querelle, con toni queruli e voyeuristici da talkshow televisivo di metà pomeriggio, appare illuminante, puntuale paradigma di quella ‘inerzia della critica’ di cui si è discusso in questi giorni, anche su Nazione indiana.




È uscito il quinto numero di Vertigine, il periodico di scrittura e critica letteraria curato da Rossano Astremo
Sono uno scrittore di secondo grado. Intendo dire che la scrittura, per me, sta in secondo piano. “Mi occupo d’altro, io” scriveva Hemingway in Verdi colline d’Africa. “Le assicuro che faccio una gran bella vita” diceva all’interlocutore, e alla domanda scettica “Cacciando kudù?” rispondeva “Certo, cacciando kudù e facendo un sacco di altre cose”.
Me ne andai a Londra quasi di brutto, scappai di corsa, vent’anni fa, perché non ne potevo più di famiglia, di esigenze paterne, di protezioni e sgonfiamenti materni, di cretinerie sororali e della mia facoltà. Non ne potevo più anche di me stesso, a pensarci bene, perché dentro mi si aggiravano delle cose oscure che allora non potevo né vedere né definire, preferivo ignorare, ma le ombre viscerali pungevano e chiedevano voce, volevano essere partorite ed urlare alla luce del giorno.
“Se la guardi da qui può sembrare vagamente un sesso maschile. Vedi?”
E’ uscito il semestrale cartaceo di “Re:”, dal titolo
Di Andrea Inglese
4.
Bene, eccoci al termine della scimmiata. Ringrazio tutti quelli che mi hanno sopportato, quelli che non mi hanno sopportato e quelli che hanno apprezzato le scimmie. Dedico alla Fuschini quest’ultima puntata, che la vede in presenza di una scimmia vera – non come l’Angelini – qui a sinistra. La scena catanese con cui le scimmie finiscono è idealmente indirizzata al mio amico Liotro. Saluti a tutti voi, amici de’ me’ coglioni. D.V.