di Herbert Achternbusch
(Qui di seguito le prime pagine del romanzo, tradotto da Werner Waas.)
“L’ora della morte” è il resoconto di un sopravissuto. Ho scritto questo libro e ora mi sento piuttosto bene. Dopo la lettura neanche Lei si sentirà diversamente. Io non volevo scrivere questo libro ma poi mi è venuta una polmonite e tutto quello che mi stavo trascinando dietro ha avuto il sopravvento e ho rischiato di soccombere. Ho approfittato di questo stato di debolezza per interpretare la mia vita in modo nuovo e più coerente di quanto abbia fatto finora. Non ho inventato niente, e tutto corrisponde ai miei pensieri. Semplicemente non mi sono curato della linea di confine fra la mia vita e la vita in generale.


Confutazione di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick
Jugoslavia: la condanna della memoria. Dell’inutilità e del danno della storia.
Ho tempo. Ho tutto il tempo che voglio. Sono tornato disoccupato. E domani ho un colloquio di lavoro. Staremo a vedere. Mettiamo sempre le mani avanti…Per farla breve io e il tipo ci siamo mandati reciprocamente affanculo stamattina, e tu hai trentatreanni sei vecchio (veeecchio, veeecchio) e qui bisogna trottare e quello che mi produci tu in due giorni io lo faccio in un’ora e qui c’è gente che bussa alla mia porta – E accogli chi vuoi, – gli dico, – chiama chi ti pare, l’importante è che sei contento.
Perché permettiamo al mondo di andare come va
[Giorgio Falco ha pubblicato nel 2004 


Note sui recensori di romanzi
Su “Stilos” dell’8 febbraio Gianni Bonina esordisce così: “Vizinczey osserva che la maggior parte delle persone non può vedere meriti artistici in romanzi che contraddicano le loro opinioni”. E più avanti, rifacendosi ancora a Vizinczey supportato nientemeno che da Unamuno, arriva a dire chiaro e tondo che il romanzo deve consolarci e non inquietarci, e ci piace di più se ci conferma nelle nostre opinioni.