di Giorgio Vasta
Pubblico a seguire la trascrizione di una lettera di implorazione di una donna sordomuta, tre volte recidiva per furto, vissuta presumibilmente nella Torino del secondo Ottocento. Questa lettera, insieme ad altri materiali analoghi, è contenuta nel volume Palimsesti del carcere. Storie, messaggi, iscrizioni, graffiti dei detenuti delle carceri alla fine dell’Ottocento, di Cesare Lombroso (Ponte alle Grazie, 1996). Si tratta di una lettera secondo me straordinaria, una sequenza di parole nella quale la sintassi non è altro che una eco sempre più sfumata, un miraggio, un presentimento, un incubo, un abbaglio, un fil di ferro annodato in grumi e poi riallungato in filamenti di lingua. Principalmente, è un testo che usa le parole come se fossero utensili. Il sottinteso è: il cucchiaio serve a mangiare la minestra, il martello e i chiodi a fare dei buchi nel muro, e le parole a parlare, semplicemente a parlare, a dire, a implorare di andare via, al limite di andare in “altra carcere”, che è pur sempre un andare.
Cercherò nel tempo di pubblicare altre zone di linguaggio analoghe, zone che mi sembrano esserci definitivamente precluse.