di Dario Voltolini
2. Storie di classe
di Antonio Sparzani
Seconda storia.
L’insegnante della stessa classe, nella scuola Euclide, prima di disegnare il triangolo sulla lavagna, chiede a tutti gli allievi se vedono bene la lavagna. E tutti – se non ci sono particolari problemi di disposizione dei banchi, rispondono di sì. Nessuno ha dubbi su cosa l’insegnante intenda con quella parola lavagna, tanto più che l’insegnante accompagna la domanda con un gesto del braccio, puntato verso una certa tavola nera (supponiamo che si tratti ancora di una sana lastra di ardesia, e non di uno di quegli orrori di plastica bianca, dove si scrive con un triste pennarello nero che ti sporca tutte le mani) sospesa ad un ligneo telaio.
La menzogna di Manganelli
di Giuseppe Montesano
Diamo, per cominciare, la parola a lui, al maestro di cerimonia, l’uomo malinconicamente pingue e in bretelle di certe fotografie, l’ometto quasi chapliniano con i baffetti e lo sguardo appuntito dietro le lenti rotonde, l’autore di La letteratura come menzogna appena ristampato dall’Adelphi, e sentiamo cosa borbotta al nostro orecchio, ossessivo e categorico, lo scrittore Giorgio Manganelli: “Non v’è dubbio: la letteratura è cinica. Non v’è lascivia che non le si addica, non sentimento ignobile, odio, rancore, sadismo che non la rallegri…” Ma se è così, cosa se ne farà o ne penserà la gente normale? Ecco: “Assai antica è l’ira dei dabbene per la letteratura. Da secoli viene accusata di frode, di corruzione, di empietà. O è inutile o è velenosa…”
Storie di classe
di Antonio Sparzani
Prima storia.
Quando per la prima volta, nella terza classe della scuola elementare ‘Euclide’, l’insegnante mostra ‘ufficialmente’ un triangolo, lo disegna sulla lavagna e dice “questo è un triangolo”. Allora tutti gli allievi copiano il disegno sul loro quaderno e pensano di aver copiato lì, e quindi di avere sotto i propri occhi “il triangolo disegnato alla lavagna”. Non stanno certo a porsi il problema se sia ‘lo stesso triangolo’ in un qualche più sottile senso. Tutti e ventidue i bambini della classe fanno questo e si hanno così complessivamente ventitré triangoli disegnati nella classe.
Storie di ordinaria ipocrisia
di Lea Melandri
In vicinanza del Natale si va generalmente alla ricerca di storie edificanti, per potersi convincere, almeno in quella occasione, che la bontà esiste. Quest’anno tuttavia la cronaca non sembra offrire alcun appiglio: catastrofi naturali, da cui è sempre più difficile escludere responsabilità umane, morte e violenze di ogni specie. Ma dal vasto repertorio di mali che affliggono ormai in modo endemico la nostra civiltà, emergono con giusta, anche se spesso male interpretata rilevanza, episodi che, pur nella loro particolarità di “fatti di vita”, appaiono sintomatici di un decadimento profondo del senso di giustizia, amore, solidarietà, rispetto dell’altro. Mi riferisco a tre notizie che, proprio perché fortemente contrastanti con l’edulcorata atmosfera natalizia, sono arrivate nei giorni scorsi alle prime pagine dei giornali, e che provocatoriamente mi verrebbe da chiamare “storie di ordinaria ipocrisia”.
I nuovissimi mostri
di Franz Krauspenhaar
La televisione ci mostra sotto varie forme il mostrabile, l’indimostrabile, il mostruoso, il mostro. Non rinuncio alla mia quotidiana dose di televisione. Non rinuncio, con una certa dose di masochismo, alla replicata dimostrazione visibile che i mostri sono vicini, che spesso i mostri sono i nostri vicini di casa, che gli assassini sono nostri ospiti. Il mostro è un’ottima persona, spesso crede in Dio o in chi ne fa le veci (Buddha, il Milan- cito una squadra a caso -, la BMW, il viaggio alle Maldive…).
Condoleezza Rice
di Lea Melandri
Dietro la nomina di Condoleezza Rice a Segretario di Stato negli Usa, si è tentati di vedere il riscatto da una duplice o triplice emarginazione: Condoleezza è donna, è nera, e viene da una modesta classe sociale. Inoltre, è nata e cresciuta in quel “profondo Sud” dell’America, l’Alabama, che gli intellettuali, i liberal, hanno sempre snobbato e guardato con diffidenza. Nella sua parabola di “ragazza prodigio”, che passa dall’esperienza della segregazione razziale a una delle cariche di maggiore potere nel mondo, saranno in molti a trovare la conferma del sogno americano, l’opportunità concessa a tutti di arrivare con le proprie forze ai gradini più alti della scala sociale. Ma è proprio questo alone di favola, potenziato, dopo la rielezione di Bush, dal fanatismo messianico dei suoi sostenitori, che rischia di far passare in secondo piano, o di oscurare del tutto, gli aspetti più inquietanti di questa ascesa “eccezionale”.
Pandori e moda. La camorra spa.
di Roberto Saviano
Le merci imposte ai commercianti, con le minacce ma anche con gli sconti. Le fabbriche nascoste in periferia per produrre gli abiti delle grandi marche. Che poi vanno a finire nel mercato nero. Il sistema funziona, senza bisogno di pistolettate. E si espande anche in Cina.
Le scimmie… (69)
di Dario Voltolini
Il presepe in una cozza
di Aldo Nove
Non avevo mai riflettuto sul fatto che l’opposto di “consumatore” è “conservatore”, in uno psichedelico cozzo di campi semantici con conseguenti, oscene effrazioni ideologiche. Del resto, è anche un fatto d’identità: “La Coop sei tu: Chi può darti di più?”. Ma parlando di presepi, all’identità tutto sommato massificante delle statutette della Coop il mondo della Rete sa dispiegare tutto lo spettro che l’attuale ontologia dei consumi ci permette di godere e finalmente di essere.
Il Presepio di Manganelli
Nella città in cui vivo, anzi in tutte le città in cui potrei vivere, sta arrivando il Natale. Alcuni dicono, il Santo Natale. Sebbene la mia vita sia distratta e disorientata, da molti segni, come gli animali, mi accorgo dell’imminenza del Natale.
Ludùmse e ‘mbrudùmse per ‘na volta, Criste!
di Dario Voltolini

Ier sun andàit a vëdde ‘sta cosa che Scarpa l’è bütasse a fé ciamandla “Groppi d’amore nella scuraglia” ndrinta al teater i. Cume Nassiun ‘ndian-a mi duvrìa pa dì ‘n tübu d’niente. Suma disse për lungh e për largh d’nen parlesse adòss, sbrudulandse cume ‘d piciu banfùn, mach për fé pa cume tüti ìij autri. Bon! Mi, m’na fregu altamènt! A mi ‘st’affé sì d’ Scarpa a l’è piasüme talment tant che lu disu e lu ripetu m’na fregu e lu disu ‘mbellessì: Scarpa a l’è ‘n geniu.
Le scimmie… (67)
di Dario Voltolini
Il sesso nel romanzo
di Tiziano Scarpa
Noi parliamo una lingua sessuata. In italiano, anche gli oggetti inanimati hanno un’appendice genitale: il transatlantico è maschio, la ciminiera è femmina; il cielo è uomo, la nuvola è donna.
Io sola sempre in cella colla mia tristezza…
di Giorgio Vasta
Pubblico a seguire la trascrizione di una lettera di implorazione di una donna sordomuta, tre volte recidiva per furto, vissuta presumibilmente nella Torino del secondo Ottocento. Questa lettera, insieme ad altri materiali analoghi, è contenuta nel volume Palimsesti del carcere. Storie, messaggi, iscrizioni, graffiti dei detenuti delle carceri alla fine dell’Ottocento, di Cesare Lombroso (Ponte alle Grazie, 1996). Si tratta di una lettera secondo me straordinaria, una sequenza di parole nella quale la sintassi non è altro che una eco sempre più sfumata, un miraggio, un presentimento, un incubo, un abbaglio, un fil di ferro annodato in grumi e poi riallungato in filamenti di lingua. Principalmente, è un testo che usa le parole come se fossero utensili. Il sottinteso è: il cucchiaio serve a mangiare la minestra, il martello e i chiodi a fare dei buchi nel muro, e le parole a parlare, semplicemente a parlare, a dire, a implorare di andare via, al limite di andare in “altra carcere”, che è pur sempre un andare.
Cercherò nel tempo di pubblicare altre zone di linguaggio analoghe, zone che mi sembrano esserci definitivamente precluse.
Vibrisse in rete
Vibrisse è tornato. Il glorioso Bollettino di letture e scritture, curato da Giulio Mozzi e diffuso per posta elettronica fino a un anno fa (era arrivato a 109 numeri settimanali, con circa 2500 abbonati), esce ora in rete in forma di blog collettivo. Vi collaborano stabilmente Giovanni Choukhadarian, Fabio Fracas, Annamaria Manna, Mauro Mongarli e lo stesso Giulio Mozzi. Lo potete trovare qui.
Polar Express, destinazione: l’incubo.
di Evelina Santangelo
Non so quanti hanno visto, o hanno portato i loro figli al cinema a vedere Polar Express. Io l’ho fatto, e, devo dire, all’inizio, con molto entusiasmo.
“Un film sul mondo incantato dell’infanzia che oppone resistenza alla prosaica verità del mondo adulto, incapace di sognare, e ormai persino d’immaginare un mondo diverso, un’umanità diversa”. È stata con questa idea (sbagliata) che mi sono recata al cinema. E forse per questo la delusione è stata più acerba.
quattro terzi pigreco erre al cubo
di Manuela Ardingo
m’avvolgo intorno una grandezza a metro
spira su spira abbòzzolo lo spazio
s’umilia il tempo scivolando dietro
s’irradia il raggio srotolando sazio
Groppi d’amore al Teatro i
20 DICEMBRE 2004. Ore 21
Teatro i, via Gaudenzio Ferrari 11 – 20123 Milano
Primo appuntamento di Nazione Indiana a Teatro i
GROPPI D’AMORE NELLA SCURAGLIA
di Tiziano Scarpa
Lettura scenica dell’autore



