VivaVoce#02: Ghérasim Luca [1913–1994]

[Cubomania di Ghérasim Luca]

Son corps léger… [letta dall’autore]

[dalla viva voce dell’autore – quel suo astratto francese dal marcato accento rumeno quasi straniato – didascalico – brechtiano – così esule di luoghi e sentimenti – così esule di un mondo in cui non c’è più posto per i poeti – a 81 anni un salto nella Senna e via – e la sua glace – quasi intraducibile in un solo modo – a volte scivola come ghiaccio fra le labbra – altre pare trasparente ed aguzza come vetro – forse riflettente a specchio – prismatica di cristallo – stella di fiocco di neve – chicco di grandine di tempesta – persino dolcezza di glassa – o tutte le cose insieme]

Son corps léger
 
est-il la fin du monde?
 
c’est une erreur
 
c’est un délice glissant
 
entre mes lèvres
 
près de la glace
 
mais l’autre pensait:
 
ce n’est qu’une colombe qui respire
 
quoi qu’il en soit
 
là où je suis
 
il se passe quelque chose
 
dans une position délimitée par l’orage
 
 
Près de la glace c’est une erreur
 
là où je suis ce n’est qu’une colombe
 
mais l’autre pensait:
 
il se passe quelque chose
 
dans une position délimitée
 
glissant entre mes lèvres
 
est-ce la fin du monde?
 
C’est un délice quoi qu’il en soit
 
son corps léger respire par l’orage
 
 
Dans une position délimitée
 
près de la glace qui respire
 
son corps léger glissant entre mes lèvres
 
est-ce la fin du monde?
 
mais l’autre pensait: c’est un délice
 
il se passe quelque chose quoi qu’il en soit
 
par l’orage ce n’est qu’une colombe
 
là où je suis c’est une erreur
 
 
Est-ce la fin du monde qui respire
 
son corps léger? mais l’autre pensait:
 
là où je suis près de la glace
 
c’est un délice dans une position délimitée
 
quoi qu’il en soit c’est une erreur
 
il se passe quelque chose par l’orage
 
ce n’est qu’une colombe
 
glissant entre mes lèvres
 
 
Ce n’est qu’une colombe
 
dans une position délimitée
 
là où je suis par l’orage
 
mais l’autre pensait:
 
qui respire près de la glace?
 
est-ce la fin du monde?
 
quoi qu’il en soit c’est un délice
 
il se passe quelque chose
 
c’est une erreur
 
glissant entre mes lèvres
 
son corps léger

Il suo corpo leggero
 
è la fine del mondo?
 
è un errore
 
è una delizia che scivola
 
tra le mie labbra
 
vicino al ghiaccio
 
ma l’altro pensava:
 
non è che una colomba che respira
 
comunque sia
 
là dove io sono
 
avviene qualcosa
 
in una posizione delimitata dalla tempesta
 
 
Vicino al ghiaccio è un errore
 
là dove io sono non è che una colomba
 
ma l’altro pensava:
 
avviene qualcosa
 
in una posizione delimitata
 
scivolando tra le mie labbra
 
è la fine del mondo?
 
È una delizia comunque sia
 
il suo corpo leggero respira con la tempesta
 
 
In una posizione delimitata
 
vicino al ghiaccio che respira
 
il suo corpo leggero che scivola tra le mie labbra
 
è la fine del mondo?
 
ma l’altro pensava: è una delizia
 
avviene qualcosa comunque sia
 
per la tempesta è soltanto una colomba
 
là dove io sono è un errore
 
 
È la fine del mondo che respira
 
il suo corpo leggero? ma l’altro pensava:
 
là dove io sono vicino al ghiaccio
 
è una delizia in una posizione delimitata
 
comunque sia è un errore
 
avviene qualcosa per la tempesta
 
non è che una colomba
 
che scivola fra le mie labbra
 
 
Non è che una colomba
 
in una posizione delimitata
 
là dove io sono con la tempesta
 
ma l’altro pensava:
 
chi respira vicino al ghiaccio?
 
è la fine del mondo?
 
comunque sia è una delizia
 
avviene qualcosa
 
è un errore
 
che scivola fra le mie labbra
 
il suo corpo leggero

 
 
da La Fin Du Monde, in Paralipomènes, Paris, 1969

[traduzione di orsola puecher]

file audio da ubu.com

Su Nazione Indiana
di Ghérasim Luca
Prendere corpo
tradotta da Andrea Raos

 

VivaVoce#01: Thomas Stearns Eliot [1888–1965]
VivaVoce#02: Ghérasim Luca [1913–1994]
VivaVoce#03: Sylvia Plath [1932–1963]

 

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15 Commenti

  1. molto intensa questa ‘leggerezza del corpo’…questa dualità che abita l’uomo, la bellezza del volo e la pesantezza dell’esistenza…

  2. Sconvolgente. Il rantolo meccanico della voce, le tonalità inerti, l’incastro sintattico, il metallo delle ricomposizioni… Mostruoso, mostruosamente freddo e dolente, un nastro dedito a ripetersi eternamente dal fondo di un abisso. E a fare male. E a fare bene. E a ricreare il silenzio.

  3. il fruscio è assolutamente oltre l’opera-nella-sua-riproducibilità-tecnica. antico, inquieto, senza misericordia e senza tristezza. solo scansione e scomposizione, “una delizia in una posizione delimitata”. bellissimo.

  4. [grazie]

    [appena tradotto]

    da L’Humanité
    Articolo apparso
    il 15 marzo 1994

    Il poeta Gherasim Luca ha scelto la morte

    di JEAN-JACQUES VITON

    E’ appena stato ritrovato il poeta Gherasim Luca, scomparso da più di un mese. Ossessionato dall’aumento della violenza e della xenofobia, Gherasim Luca ha scelto la morte, spinto dall’intransigenza del nostro mondo nel quale “i poeti non hanno più posto.”

    Viveva in Francia dal 1952, a Parigi. Veniva dalla Romania, dove era nato, a Bucarest, nel 1913. Gherasim Luca era il poeta preciso dell’articolazione, della pronuncia delle parole e dei loro giochi infiniti. Assistere, o piuttosto partecipare – tanto l’attenzione mobilitata era estrema – ad una lettura, ad un recital di questo poeta era una cosa che sconvolgeva sempre. Non posso dimenticare questa scenografia: lo stretto praticabile e l’alto microfono e la presenza di quest’uomo di quasi ottanta anni, non molto alto, diritto e solido, vestito di nero o di bianco, il cui sguardo intenso blu chiaro sembrava attraversare il pubblico per aprirsi un passaggio d’ascolto. C’era soprattutto la posizione di questo corpo che legge, l’aggrapparsi di sbieco al microfono, i gomiti un po’aperti e le mani sollevate a tenere il libro aperto. C’era quest’angolo particolare dei piedi al suolo, che nell’insieme dava a Luca una stabilità singolare, un esserci ancorato in maniera stupefacente.

    E c’era anche, certamente, la voce stessa, profonda, mobile, scandita, vero motore per proiettare effetti di senso, abbagliamenti di collages di senso, in tutte le direzioni. Riconoscere a Gherasim Luca che di lui era inizialmente quest’esattezza, quest’armonia fisica che colpiva istantaneamente, lo riempiva di gioia calma. Sì. Un’impressione splendida quella che si diffonde in un recital di questo poeta. La catena costante delle associazioni fonetiche e semantiche delle poesie lette metteva l’ascoltatore-spettatore in una situazione particolare di disponibilità e d’apertura. Oltre ai giochi delle parole, c’era in più un esercizio di fraseggio sovrapposto, di progressione lenta esplorativa nella lingua, che rendeva partecipi, poiché questa dinamica si manifestava in modo così intenso, così mobilitante che, in un certo modo, il livello d’attenzione d’ascolto si trasformava in una creazione d’ascolto. Questo per dire il potere che questo poeta possedeva durante la lettura.

    Ho visto e sentito Gherasim Luca in occasione di un festival di poesia nel 1985, a Cogolin. L’entusiasmo del pubblico mi aveva coinvolto, poiché è raro vedere il pubblico alzarsi in piedi per applaudire un poeta… Gherasim Luca si limitava a sorridere, come un po’ stupito da ciò che aveva appena suscitato. Tre anni fa, a Marsiglia (alla CIPM, organizzatore di un recital e di una bellissima esposizione “Disegni e Cubomanies”), egli rispondeva con lo stesso sorriso a quelli che, ancora in piedi, lo applaudivano con entusiasmo.
    Leggere ed ascoltare leggere Gherasim Luca, erano viaggiare con lui all’interno di una “morfologia della metamorfosi”.
    Leggiamo, provando ad ascoltarlo, quest’estratto da “Un quarto d’ora di cultura metafisica”:

    prolungata sul vuoto
    ben spianata sulla morte
    idee tese
    la morte tesa sopra la testa
    la vita tenuta da due mani
    (…)
    spirare inspirando
    inspirare spirando

    Ora, per un’ultima volta, applaudiamolo in piedi, nell’assordante silenzio che la sua scomparsa ci ha appena imposto.

    Vedere in “Sud” (n. 63, 1986) uno studio eccellente di Pierre Dhainaut, ed in José Corti Editore: « Héros-Limite », « Le chant de la carpe », « Paralipomènes », « Théâtre de bouche », « La proie s’ombre ».

    ,\\’

  5. La danza rediviva dei vers: la colomba e la tempesta viaggiano nello spazio/ corpo leggero;
    e’ la danza assillante del desiderio;
    Ghérasim Luca ha scritto in francese, nel ghiaccio puro della lingua;
    ha rinunciato all’emozione della lingua madre, quasta danza assillante del corpo materno.
    Scrivere in altra lingua allontana l’acqua scura dell’infanzia o il mare luminoso della prima parole, rompe la servitù della lingua natale.
    Il corpo del poeta suicido è entrato nel fiume straniero, una morte perfetta, nella crudeltà ghiacciata dell’acqua.

    Grazia a Orslo per il pezzo e l’articolo.

  6. Grazie anche a te Véronique.

    La forza della poesie di Luca nasce proprio dallo scrivere in una lingua “nemica”.
    Ripenso a Kafka, a Celan, che gli era amico, ad Agota Kristof de l’Analfabeta, altra esule di lingua natale oltre che di luogo, altra che fa delle parole un bisturi spietato ed esatto.
    Il francese inoltre sa essere molto nemico se vuoi scriverlo e pronunciarlo correttamente.
    E’ come se il dire si spogliasse da ogni compiacimento formale, dal melodramma facile, dalla complicità con la parola, per arrivare al nocciolo delle cose.
    Poesia che nasce anche dalla sottrazione.

    ,\\’

  7. La risposta è sublime, Orsola.
    Per me, la lingua francese raggiunge una purezza nella scrittura, tutta classica. Amo la danza giusta della musica, la limpidità dello stile.
    La lingua italiana mi sembra più libera, sensuale;
    Ho una preferenza per la lingua francese scritta; invece sono incatata dalla lingua italiana parlata, sempre come un onda luminosa, una dolcezza.
    Per me la lingua italiana è come la voce di una seconda madre che rassicura e culla.
    E’ strano quando parli in un altra lingua, la tua mente cambia.
    Ho sentito, quando sono tornata dall’Italia, la tristezza cadere sulle spalle.

  8. grazie di questa cosa, orsola (bellissima la tua traduzione), e anche dell’articolo del buon vecchio jean-jacques, uno dei tanti – ne parlavo prima con un amico – che ancora oggi, a parlare di gherasim, letteralmente si illuminano.

  9. Grazie Veronique, a me capita lo stesso con il francese, la sua dolcezza mi avvolge sempre, leggendo ed ascoltando, con un brivido in più: quando ero bambina, i miei genitori, di una generazione a cui non si insegnava affatto l’inglese come seconda lingua, per non farsi capire da me, parlavano in francese sottovoce fitto fitto. Sentivo questo “la petite” qui, “la petite” là, e credo di averlo imparato quasi senza accorgermene, per capire che cose dicesse di me “il nemico”….

    Andrea, grazie.
    Credo che fra Gherasim e me non finirà qui!
    Ascoltare la voce dei poeti è così importante, potendo.
    Anche tradurre è diverso.
    L’articolo di Viton luccica di quell’illuminazione.

  10. Allora il francese è per te il linguaggio segreto.
    Il francese dolce? non provo più la sua dolcezza musicale.
    Ma una bella pagina di scrittura classica mi incanta sempre.
    Vivo all’ora italiana: musica italiana la mattina prima di partire alla scuola, lettura della Repubblica quando ho il tempo, lettura di romanzi: sto leggendo un libro di Oggero: in questo momento il giallo mi diverte abbastanza. Sono in manca di Italia. Una vera “drogata”.

  11. Grazie Orsola, mi aggiungo alle vostre voci di ritorno dalla Toscana dove ero in questi giorni senza potervi leggere.

  12. LA FIN DU MONDE

    prendre corps
    ….

    je te tremblante
    tu me séduis tu m’absorbes
    je te dispute
    je te risque je te grimpe
    tu me frôles
    je te nage
    mais toi tu me tourbillonnes
    tu m’effleures tu me cernes
    tu me chair cuir peau et morsure
    tu me slip noir
    tu me ballerines rouges
    et quand tu ne haut-talon pas mes sens
    tu les crocodiles
    tu les phoques tu les fascines
    tu me couvres
    je te découvre je t’invente
    parfois tu te livres
    ….

    ***

    prendere corpo
    ….

    io tu tremante
    mi seduci mi assorbi
    ti contendo
    ti rischio ti scalo
    mi sfiori
    ti navigo
    ma tu mi agiti
    mi sfiori mi racchiudi
    tu io carne cuoio pelle e morso
    tu io slip nero
    tu io ballerine rosse
    e quando tu niente tacchi alti sui miei sensi
    tu i coccodrilli
    tu le foche tu le affascini
    mi copri
    ti scopro t’invento
    talvolta ti abbandoni

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orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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