Pillole di filosofia carvalhiana

A quarant’anni dalla pubblicazione di Yo maté a Kennedy, primo giallo della serie Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán

di Alberto Giorgio Cassani

 «La polizia garantisce l’ordine. Io mi limito a scoprire il disordine»

Quintetto di Buenos Aires, 1999

Tutti i lettori di romanzi gialli, ma non solo quelli, sanno che José Carvalho Lario, meglio conosciuto come Pepe Carvalho, è il detective più famoso di Spagna. Questa la sua biografia in breve, tratteggiata magistralmente, in pochi tratti, da lui stesso: «La verità è questa. Ho un’anima marginale. La mia fidanzata era una puttana da telefono, una squillo. Il mio consulente tecnico, cameriere, cuoco e segretario, era un ladruncolo di macchine che si chiama Biscuter. Il mio confidente spirituale e gastronomico è un vicino di casa, Fuster che è anche il mio amministratore. Amministratore di quel poco che mi può amministrare. Mi piacciono le famiglie impossibili. Detesto quelle possibili. […] Detesto le famiglie possibili vive. Le famiglie morte, quelle le adoro» [Quintetto di Buenos Aires].

Meno noto è il fatto che Pepe è anche un non trascurabile filosofo. Un filosofo, però, non nel senso ironico-dispregiativo con cui lo stesso Carvalho apostrofa Carles Besté de Linyola – uno degli antagonisti de Il centravanti verrà assassinato verso sera – bensì un filosofo all’antica, un filosofo “delle origini”. Di quale corrente filosofica? Sicuramente di una setta cinico-scettica del XX secolo, come risulta evidente anche dal ritratto che si fa di lui nel romanzo Il premio: un uomo «tra il severo congenito e il disincantato storico» (anche se, bisogna dirlo, in Quintetto di Buenos Aires, Pepe si definisce un “marxista” della corrente «gastronomica»). Ma ciò che lo rende un filosofo a tutti gli effetti sono senz’altro le sue “sentenze”; infatti, la forma letteraria preferita da Carvalho è quella utilizzata dai suoi colleghi più antichi: la brevitas dei dicta.

Ecco alcuni dei tanti esempi che si potrebbero fare, suddivisi per grandi temi filosofico-antropologici. Sulle cose “più serie”: «Il sesso e la gastronomia sono le cose più serie che esistano» (Tatuaggio); su cui, anche: «Avrebbe barattato l’opera completa di Rembrandt per un bel culo di donna o un piatto di spaghetti alla carbonara» (Tatuaggio); e, infine: «Bisogna sempre desiderare le donne ed i piatti altrui» [Assassinio al Comitato Centrale]; nonché, in sequenza, a postilla, sul cibo: «Si beve per ricordare, si mangia per dimenticare» [Quintetto di Buenos Aires]; «In realtà nessun essere umano indifferente al cibo è degno di fiducia» (Tatuaggio); «Non si può mangiare con prudenza. Non si deve mangiare con prudenza. Se non si può mangiare non si mangia e basta» [Il premio]; «Per me non c’è poetica al di fuori di quella del palato» [Il premio]; «O penso o mangio» [Assassinio al Comitato Centrale]; «Mi sento sicuro solo al ristorante» [Quintetto di Buenos Aires]; sulla vita: «È il ciclo della vita. Le colombe mangiano vermi, noi mangiamo le colombe e i vermi mangiano noi» [Quintetto di Buenos Aires]; sulla vita terrena: «Non c’è nulla su questa terra che non sia drammatico in prima istanza e tragico in ultima. Il riso è sempre il camuffamento di un teschio […]» [Pablo e Virginia, in Storie di fantasmi]; sul mondo: «Tutto il mondo è una stazione termale, con limitate e onorate eccezioni, come il Libano o El Salvador» [La rosa di Alessandria] o anche: «Tutto il mondo è Disneyland o Disneyland è ormai tutto il mondo» [La rosa di Alessandria]; su uomini e donne: Un uomo guarda una donna e la donna dice sì o no. E alla rovescia. Tutto il resto è cultura» [Tatuaggio]; sull’amore: «Chi non teme di perdere quello che non ama?» [Quintetto di Buenos Aires]; sulle parole: «Le parole hanno un padrone» [Per una malafemmina, in Il fratellino] e: «Le parole dette non bisogna bruciarle. Si bruciano da sole» [Il centravanti verrà assassinato verso sera]; sui libri, veri luoghi comuni della riflessione filosofica carvalhiana: «i libri non hanno ossa, né muscoli, né cervello, né fegato, né cuore, sono un prodotto da imbalsamatore, veri morti stecchiti» [La rosa di Alessandria] e: «[i libri] non mi hanno insegnato né a vivere né a invecchiare. Come non mi salveranno né dalla decadenza né dalla morte» [Puzzles 1, in Il fratellino]; sugli intellettuali: «Gli intellettuali sono più svergognati delle svergognate e soprattutto godono di maggiore impunità» [Il collezionista, in Il fratellino]; sui critici: «I critici sono ancora più parassiti degli stessi scrittori. A un lavoro improduttivo aggiungono una riflessione improduttiva» [Pablo e Virginia, in Storie di fantasmi]; sulle conferenze: «gli esseri umani si dividono in due grandi categorie: quelli che danno conferenze e quelli che le subiscono» [Il centravanti verrà assassinato verso sera]; sulla storia: «La Storia la vincono soltanto quelli che detengono il potere, qualunque sia» [Il fratellino]; sulla politica: «La politica è sicura solo quando smette di essere politica e si trasforma in boxe» [Quintetto di Buenos Aires]; sui popoli: «Un popolo che non beve il suo vino e non mangia i suoi formaggi ha un grave problema di identità» [La nave fantasma, in Storie di fantasmi]; su vincitori e vinti: «Alcuni nascono per fare la storia e altri per subirla. Alcuni danno, altri prendono» [Tatuaggio] e: «I vincitori opprimono la memoria dei vinti, e quando i vinti riescono a recuperarla, la memoria non è più quel che era» [Quintetto di Buenos Aires]; sulle dittature: «Il franchismo cominciò a crollare il giorno in cui Franco si mise a dire: “…Non che io…”. Un dittatore non può mai iniziare un discorso con una negazione che lo riguardi» [I mari del Sud]; sulla “coscienza di classe”: «materia dello spirito tanto delicata da volatilizzarsi come i gas più leggeri» [Come eravamo, in Il fratellino]; sui ricordi: «I miei ricordi non mi sopravviveranno» [Il labirinto greco]; sul futuro: «Il solo ad anticipare gli eventi è l’assassino» [La rosa di Alessandria]; sul vedere: «Dalla mia casa di Vallvidrera mi trattengo a volte a guardare le stelle. Se le vedo bene vuol dire che sono sobrio, se le vedo male sono ubriaco» [Quintetto di Buenos Aires]; sul “silenzio pitagorico”: «Non dissero una sola parola, il che non era prova di intelligenza, in quei due ceffi tanto accigliati e massicci. Erano la chiara conferma che quando uno non parla è perché non ha niente da dire» [Il fratellino]; sulla povertà: «È preferibile la povertà sordida a quella mediocre» [I mari del Sud]; sull’arte: «Finché ci saranno puttane giovani, ci sarà arte contemporanea» [Il centravanti verrà assassinato verso sera]; sui poliziotti: «Un poliziotto non è una faccia. È uno stato dello spirito» [Quintetto di Buenos Aires]; sui detective: «La polizia garantisce l’ordine. Io mi limito a scoprire il disordine» [Quintetto di Buenos Aires]; sulla città: «Tutte le città contaminano il passato e l’avvenire» [Quintetto di Buenos Aires] e: «le città nuove promettono l’avventura» [Assassinio al Comitato Centrale].

Impossibile trovare un filo conduttore in queste “pillole” di filosofia carvalhiana. Del resto l’autore stesso non vorrebbe che vi perdessimo un secondo del nostro tempo. Carvalho reagisce al mondo che lo circonda in una maniera ironico-cinica che nasconde, però, il suo carattere sentimentale. Proprio quel sentimento che, raramente, riesce a rompere la scorza da duro che Pepe ha voluto indossare e che si traduce, a volte, in pianti liberatori. Carvalho, come detective, scopre l’inutilità delle indagini: alla fine delle sue inchieste, il mondo non recupera mai l’armonia infranta dal delitto. Al contrario: quasi sempre gli assassinati non trovano giustizia e i mandanti, i veri colpevoli, rimangono impuniti. Il mondo, dopo la risoluzione del caso, non celebra l’ordine ricostituito e il motto «giustizia è fatta» non risuona nell’aria tersa di Barcellona. Il mondo non ritorna migliore, anzi, conferma ancora di più la sua spietata sordidezza. La soddisfazione, tutta intellettuale, per la scoperta dell’intreccio e del movente, si stempera e scompare completamente nell’amaro che rimane in bocca per l’inutile sforzo di Sisifo del detective. Il cinismo di Carvalho è il cinismo del tempo in cui egli si trova a vivere. In cui ci troviamo tutti a vivere. Una disillusione che scompare solo di fronte ad alcune bottiglie di Chablis o di Pardas Aspriu bianco e ad un piatto di escudella i carn d’olla (minestra e bollito catalani) o di botifarra amb mongetes (salsiccia con fagioli bianchi).

Le indagini di Carvalho, però, sono spesso anche un pretesto per descrivere i cambiamenti subiti dalla sua città, Barcellona. «Le città si accettano perché sono un rifugio, come le patrie o i ricordi», sentenzia Pepe in Assassinio al Comitato Centrale. Ma la Barcellona “città dell’infanzia” e “paesaggio della sua memoria” è inesorabilmente mutata davanti ai suoi occhi a causa delle speculazioni olimpiche e post-olimpiche. Una volta avviato, il volano della “distruzione ricostruttiva” non si ferma più (salvo che per le periodiche e sempre più ravvicinate crisi del sistema capitalistico). Barcellona, grazie ad uno scientifico processo di “pastorizzazione”, ha eliminato tutti i germi che la caratterizzavano come città portuale mediterranea, per diventare una vetrina olimpica al servizio del turismo di massa, nonché un «campionario architettonico di valore universale», come profetizzato da Montalbán in Il centravanti verrà assassinato verso sera. Non c’è architetto contemporaneo che non abbia lasciato il suo segno – positivo o negativo resta da vedere – a Barcellona. Perché, oltre all’intreccio della trama, propria del genere, i romanzi “gialli” di Carvalho sono molto di più: appartengono al tentativo di «trasformare il romanzo in mezzo di conoscenza sociale o psicologica, alla maniera di Sánchez Bolín o di Patricia Highsmith, per esempio», per usare in positivo le parole messe in bocca da Montalbán a due giallisti comprimari de Il premio.

Le sentenze carvalhiane, naturalmente, non possono nulla contro questo destino di Barcellona. Come un Diogene moderno, Carvalho si rintana sempre più nella sua “botte” di Vallvidrera, una villa moderatamente modern style, sempre più in decadenza e in balia dell’azione del tempo. Fino a finire i suoi giorni in una botte ancora più piccola: la cella della prigione del carcere Modelo, dove Pepe viene rinchiuso – per la seconda volta, dopo una prima detenzione durante la dittatura franchista – per l’omicidio, sul finale de L’uomo della mia vita, dell’odioso sociologo Jordi Anfrúns (i filosofi non hanno mai amato molto questi ultimi). Carvalho accetta di buon grado, verrebbe da dire come un Socrate catalano, la sentenza dei giudici, al punto da dichiarare che da quella prigione non sarebbe mai dovuto uscire.

A noi piace pensare che, pur dentro quella prigione, Carvalho continui a rimanere l’“anima critica” di Barcellona, lasciando al commissario Lifante il compito «di mantenere il disordine» di un mondo diviso «in vittime e carnefici, talvolta chiamati detenuti e carcerieri, bombardati e bombardatori, globalizzati e globalizzatori» [Millennio: 2. Pepe Carvalho, l’addio].

Grazie di essere esistito, Manolo. Grazie di continuare ad esistere, Pepe Carvalho.

 

Bibliografia

Romanzi citati:

Assassinio al Comitato Centrale, Palermo, Sellerio, 1984

Il centravanti è stato assassinato verso sera, Milano, Feltrinelli, 1991

Tatuaggio, Milano, Feltrinelli, 1991

Il labirinto greco, Milano, Feltrinelli, 1992

I mari del Sud, Milano, Feltrinelli, 1994

La Rosa di Alessandria, Milano, Feltrinelli, 1995

Il fratellino, Milano, Feltrinelli, 1997

Il premio, Milano, Feltrinelli, 1998

Quintetto di Buenos Aires, Milano, Feltrinelli, 1999

Storie di fantasmi, Milano, Feltrinelli, 1999

L’uomo della mia vita, Milano, Feltrinelli, 2000

Millennio: 2. Pepe Carvalho, l’addio, Milano, Feltrinelli, 2005

(tutte le traduzioni dallo spagnolo, ad eccezione di quella di Assassinio al Comitato Centrale, che è di Lucrezia Panunzio Cipriani, sono di Hado Lyria)

Testi critici:

Quim Aranda, Piacere, Pepe Carvalho: Biografia autorizzata dell’investigatore più famoso di Spagna, Milano, Feltrinelli, 1997

Alberto Giorgio Cassani, Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho, Presentazione di Manuel Vázquez Montalbán, Milano, Edizioni Unicopli, 2000 (2011, nuova edizione ampliata dal titolo: Barcellona: Sulle tracce perdute di Pepe Carvalho).

(tratto da GialloLuna NeroNotte, Catalogo del festival, Ravenna, 21-30 settembre 2012, Ravenna, PA•GI•NE Associazione Culturale, 2012, pp. 21-26)

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5 Commenti

  1. «Il sesso e la gastronomia sono le cose più serie che esistano» Also Sprach Pepe Carvalho
    thanx
    effeffe

  2. “Non mi piacciono le immoralità di gruppo. Le orge vanno bene solo nei film di Fellini. Il rapporto tra cucina e sesso esige che non si superi il numero di tre. Quattro equivale a propiziare due coppie. E cinque è già una massa” (M.V.M.)

  3. Secondo il mio modesto parere ultimamente in Italia si parla troppo di gialli e poco di letteratura e bello scrivere. E’ una moda che ha preso il posto del filone pulp (che in fondo ci saremmo potuti risparmiare) ma in definitiva si tratta di un sottogenere e quindi di un sottoprodotto.
    Non so voi cosa ne pensate.

  4. non sono sicuro che m. v. m. abbia mai scritto gialli.Labirinti greci,al limite:

    “nessuno riuscirà a catturarmi per farmi diventare adulto”,aveva detto Peter Pan nel momento in cui aveva rinunciato definitivamente a crescere.Ormai in casa,cercò il libro di J. M. Barrie per bruciarlo e non lo trovò.Poi,progressivamente,ricordò la circostanza personale in cui l’aveva bruciato.Era stato dieci o undici anni prima,dopo una sbronza,quando ritrovò l’indignazione infantile provata perchè Wendy non può volare e pertanto non spartirà mai il destino di Peter Pan.”

    http://www.pixieradio.com/pxp/qlx5cbn/dust/17-career%20opportunities.mp3

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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