Le BLOG est mort, vive le BLOB?!


The Blob [1958] “Non riusciremo a fermarla!”

di Orsola Puecher

La data simbolica di nascita dei blog [web+log *diario in pubblico] è il 18 luglio 1997, con lo sviluppo da parte dello statunitense ⇨ Dave Winer di un software che permetteva la pubblicazione in rete di contenuti. Il primo blog in assoluto è il famoso ⇨ RobotWisdom di ⇨ Jorn Barger, 2Jonr_Barger l’inventore della definizione web-log, un commerciante con molte passioni, fra cui caccia e pesca, che decide di aprire una sua pagina per condividere i risultati delle sue ricerche sul web, in pratica una serie di link, dato che ancora non esistevano i motori di ricerca. Ad abbreviare in blog, si narra, fu Peter Merholz nel 1999 per il suo sito Peterme.com.
Insomma blog era sinonimo di liste di link.
Nel corso degli anni, dal 2001 circa in Italia, i blog con la nascita delle varie piattaforme gratuite Blogger, WordPress, Splinder ecc. cominciano a diffondersi e, subendo varie trasformazioni ed evoluzioni, diventano sinonimo di scrittura per tutti, condivisibile da tutti. In sintesi quello che negli anni di maggior fulgore era una specie di diario di bordo e si esprimeva in torrenziali 14000 parole e più, oggi è giunto a condensarsi nei 140 caratteri emotivi del micro-blogging e nei piccoli post di facebook, che, non a caso, si chiamano stato [d’animo] e chiedono che cosa fai in questo momento? I commenti sono brevi, costellati di emoticon, si preferiscono i profluvi di sbrigativi pollici alzati del MI PIACE e si torna così al punto di partenza, condividendo in prevalenza link come al tempo dei pionieri del web-logging. Facebook ha un’interfaccia semplice, post corti, senza fronzoli e molta pubblicità; opzione inderogabile di sospendere gli account che la direzione giudica inopportuni; non è permesso l’uso dei tag html, neppure quelli elementari corsivo e grassetto; non è permessa la correzione degli errori e l’editing una volta pubblicato il post; impossibili formattazioni speciali e l’inserimento di oggetti multimediali propri, persino le innocue gif animate vengono masticate e trasformate in contenuti statici a bassa risoluzione.
Un perfetto inquadramento aziendale.
Dai nickname, simpaticamente e orgogliosamente anonimi, sintesi senza volto di un proprio essere virtuale animico, che contiene un compendio istantaneo, una specie di dichiarazione programmatica di intenti, condensata in un nome di fantasia, si è arrivati al libro delle facce, e dei nomi, quelli veri, con l’esposizione delle proprie fotografie, di quelle dei propri figli, cani, gatti e canarini, delle proprie torte, per cui gli “amici” si sperticano in complimenti.
La vera funzione utile di servizio va dalla diffusione di iniziative, di avvenimenti anche culturali, a una specie di Chi l’ha visto e al Carramba che sopresa per il ritrovamento di dispersi di varia natura.
Il navigatore solitario non vuole più fieramente essere solo e anonimo, ma cerca affetto e compiacenza.
I blog letterari subiscono molto dallo spostamento in massa nei social del loro pubblico e sono ormai una specie di sacca di resistenza dei contenuti culturali strutturati rispetto all’istante emotivo, soprattutto quelli che si ostinano a tenere aperti i commenti ai post, ancora convinti, con lodevole e faticosa pervicacia, della funzione del dibattito costruttivo in rete, del valore alternativo dei loro temi rispetto alle scelte dell’industria culturale ed editoriale, della possibilità di rendere disponibili inediti, che altrimenti non troverebbero altro modo di essere diffusi e che spesso diventano anche un pungolo per le scelte editoriali, svolgendo quella funzione di scouting virtuoso di talenti, la cui mancanza si rimprovera alla grande editoria.
A mio parere oggi il focus del destino dei blog letterari potrebbe situarsi in una crescita della comunicazione nella forma elettiva del web, cioè il mezzo multimediale, con le possibilità enormi che offre, e mi interessa come questo cambierebbe o dovrebbe cambiare il modo di scrivere.<

 

aa bb
cc dd

Beware The Blob [1958]
di Burt Bacharach and Mack David
The Five Blobs


Beware of the blob, it creeps
And leaps and glides and slides
Across the floor
Right through the door
And all around the wall
A splotch, a blotch
Be careful of the blob
1

Fin dal primo post questo è ⇨ il mio tentativo, la mia animula al blog, che in realtà per me è davvero più un blob, nel suo senso di massa mutevole, priva di forma e di consistenza precostituita, che ingloba la contemporanea convivenza di contenuti di diversa natura, audio, video, immagine e testo, che si completano e si richiamano, scivolando uno nell’altro in una diversa forma di scrittura, che può essere letta e usufruita solo sul mezzo per cui è stata concepita. Una sorta di ⇨ verticalismi e traversalismi, di remix di contenuti in quello che banalmente si direbbe ipertesto e che presuppone un’alfabetizzazione informatica minima per accedere alle varie tecniche.
In questo epigonato dello stato dell’arte, siamo ormai tutti epigoni di qualcosa o di qualcuno in questo terzo millennio, il digitalmente digiuno mondo delle lettere, ancora molto legato a ideali romantici e ideologici di creatività demiurgica solitaria, potrebbe trovare nuova linfa nel confronto con la dimensione multimediale: mettere in scena scrivendo dinamiche di sogno per meglio combattere il declino dell’interesse ai contenuti.
 

Frammentazioni, montaggi, confusioni, spostamenti. Le scene dei nostri sogni non si accontentano di lasciarci soli, orfani, ma la loro stessa moltitudine sembra dar vita soltanto a una folla – un formicaio – d’immagini assolutamente orfane, solitarie le une rispetto alle altre. Eppure non è niente. Perché quelle immagini formano davvero una comunità, ma caotica, privata, una comunità il cui senso è quello di ogni caos e di tutto ciò di cui la vita ci priva.
 

Georges Didi-Huberman
La conoscenza accidentale
apparizione e sparizione delle immagini
Bollati Boringhieri [2011]
Cap. 3 La solitudine a due
Parte prima Somigliare

 

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NOTE
  1. Attenti al blob, striscia
    E sguscia e scivola e sdrucciola
    Sul pavimento
    Proprio sotto la porta
    E tutto intorno ai muri
    Una chiazza, una macchia
    Attenti al blob!

7 Commenti

  1. Oltre a condividere quello che dici e la possibilità che ancora la rete offre nonostante il rischio “scivoloso” del grande blob che non esenta nessun fruitore, riprendo un complimento che mi restò impresso e che credo ti venne fatto tempo addietro o da Sparzani o da Biondillo su queste pagine e che più o meno diceva che *mentre gli altri scrivono, Orsola crea*, e te lo rigiro.
    Grazie a questo tuo bell’excursus sulla rete e il valore e la funzione che il weblog prima, e blog e social a seguire, svolgono sul piano delle possibilità di arricchire o impoverire la scrittura offrendole comunque nuove limitazioni di stato, ma anche nuove strade ad esempio – come ben tu ci insegni – ipertestuali, ho avuto modo seguendo i rilanci (link) all’interno del tuo pezzo di rivedere quanto (ma quanto!?!) lavoro hai svolto qui su e per NI: un lavoro di bellezza sulla bellezza senza pari.
    Le tue “visioni in tralice” sono piccoli capolavori… e, ti dirò, in questo gli status emotivi dei social sono positivi: ora prendo e ne rilancio i link per quanti se le fossero perdute (le visioni, intendo).
    un abbraccio, ciao
    nc

  2. [ si approfitti – si segnali – si linchi – licet ]

    *correre il rischio “scivoloso” del grande blob inteso come scivolamento fra i generi, fra i loro contorni indefiniti, l’amorfo, l’arbitrario


     


     
    [ porterei in volo dalle sue acque oceaniche profonde il mite ⇨ blobfish – minacciato dalla reti a strascico – con la delicata massa gelatinosa senza scheletro del suo corpo grigio a piccole macchie rosate dalla densità minore di quella dell’acqua – che con le sue trasparenze – l’espressione quieta – scivola sui fondali intercettando il plancton che passa ]

    ,\\’

  3. Durante la proliferazione dei blog e dei social network precedenti alla creazione di Facebook i creatori di spazi virtuali erano riconosciuti tramite nickname che fornivano un nome, e alle volte un volto, a chi pubblicava i contenuti. Questa forma di semi-anonimato pubblico rendeva l’utente più incline a esprimere le proprie emozioni e gli stati d’animo più profondi e reali. La piattaforma di Zuckerberg cambia l’ordine delle cose, riduce lo spazio di scrittura che gli iscritti possono utilizzare per la pubblicazione dei contenuti e introduce l’inserimento del nominativo riconoscibile. Identificato dalle stesse persone che ha conosciuto e che conosce nella vita reale, l’utente tende a far trasparire, attraverso la pagina degli interessi, aspetti di se stesso non propriamente reali ma più socialmente attraenti. (Arianna Fabbro “cos’è la netnografia”)

  4. Buongiorno a tutti!
    Grazie per il post e per tutte le informazioni e problematiche che contiene.
    Apprezzo sempre chi redige un post, cioè un articolo in rete e tante volte ho trovato spunti per riflettere e studiare.
    Non sono iscritto a face-book e, quando ho messo naso in qualche blog letterario, mi sono sempre autenticamente firmato lasciando inizialmente tutti i miei esatti connotati.
    Mi sembra giusto che chi gestisce un blog possa escludere commenti a suo piacimento e penso, con tutte le difficoltà del caso, che la poesia, in particolar modo, oggi venga letta e studiata soprattutto per i testi pubblicati nei blog letterari.
    Ancora grazie di cuore all’autrice, Gaetano Calabrese dall’Irpinia =
    Post scriptum = Per chi volesse leggere qualcosina di mio, vada nel blog “la dimora del tempo sospeso” e, a dx, sotto ‘pagine’, categoria ‘ospiti’ trovi Calabrese Gaetano e scarichi ‘Testi…’ in pdf; ovviamente sarò lieto, se saranno giudicati meritevoli anche dalla Redazione di Nazione Indiana e di vederli qui pubblicati, cioè offerti alla lettura, etc.
    Saluti garbati a tutti, Gaetano Calabrese.

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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