Ida Vallerugo (poeti friulani # 2.2)

testi di Ida Vallerugo e fotografie di Danilo De Marco

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Côru mut

 Si tu vedés indurmindìda rôsa

ce mout che al mont a si davierç la rôsa

 

Si tu vedés ce mout c’a s’impîinin

a una a una li bieli nêstri citâs.

 

Oh si tu sintés ce câlmu mâr

che four tal scûr a s’ingruma

ce ondi lisêri c’a sflorin li paréis

 

e a prèmin, discreti mans.

 

Oh si tu la sintés il côru mut

dai muars cencja vous dal mont

 

che par te di four, tal scûr, a cjantin, Onda.

 

Coro muto / Se vedessi addormentata rosa/come al mondo si apre la rosa./ Se vedessi come si accendono/ a una a una le belle nostre città./ Oh se tu sentissi che calmo mare/ fuori nel buio si raddensa/ che onde leggere sfiorano le pareti/ e premono./ Oh se tu sentissi il coro muto/ dei senza voce del mondo/che per te nel buio cantano, Onda.

 

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Imperfession

 

Plèta i ti vêt sôra una cuiêra scûra

come ch’i tu fasêvi simpri uchì

cuan che Proserpina a torna su la cjera

 

e cuiêra, cuiêra, cuiêra i mi dîs, cuiêra

 

e i tu s’incjanti a la rôsa

e i tu vuârdi s’al é intant il radìc

i tu contrôli se il farc a n’al à tirât sot

una sola planta e in scûri galerîis a la consuma.

 

A na ti spoventava uchì chel Ade

il stes c’a sglonfia li siminci

e a davierç la rôsa.

 

Po i tu si drèci su chê cuiêra scûra

e i tu si vôltri a dimi cun câlma meravea

 

“Ma in Australia a na son i leons”.

 

Imperfezione / China ti vedo sopra una terra scura/ come sempre facevi qui/ quando Proserpina ritorna sulla terra/ e terra, terra, terra mi dico, terra/ e ti incanti alla rosa/ e guardi se è intatto il radicchio/ scruti se la talpa non abbia portato con sè/ una sola pianta e in oscure gallerie la consuma./ Non ti spaventava qui quell’Ade/ lo stesso che gonfia i semi/ e apre la rosa. Poi ti sollevi su quella terra scura/ e ti giri a dirmi con calma meraviglia/ “Ma in Australia non ci son i leoni”

 

 

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Il sum

 

Forç four la neif à già sipilît la cjêra

borc sutûrnu di Hiroshima.

Forç a é già stâda l’esplosion

e nô i sin la memoria di nô,

l’ultima sparìnt.

E tu, lotadôra indurmindida, i tu sumiêi.

 

Sul punt di Sydney il vint

a ti âlcia i cjavéi nêris scjampâs ai fèrmos.

Onda! a ti clama lui.

Màri a ti clàmin i fìs soravissûs.

A pàssin lens i bastimìns, sunant

a cjàpin il larc, a son belgjà sparìs.

A passa ta l’âlga fonda tô mâri pensierosa.

“Mâri, unmò viva a mi àn mitût fra i muars!”

Ridìnt i tu segni lajù fra li cjasi dal puart

la fignêstra di cjasa vissìn al Macel Comunâl

dulà che i becjêrs a regàlin retàis di cjar

ai canàis taliâns, grecos, spagnôi.

Da chê fignêstra il punt al é un svuàl.

 

La buêra a na ti svêa. Denant di te

mê Rigina a fêrma la sô corsa. A Cola.

 

Il sogno/ Forse fuori la neve ha già sepolto la terra/ sperduto sobborgo di Hiroshima./ Forse c’è già stata l’esplosione/ e noi siamo la nostra memoria/ l’ultima sparendo./ E tu, lottatrice addormentata, sogni./

Sul ponte di Sydney il vento/ ti solleva i capelli neri sfuggiti alle forcine./ Onda! ti chiama lui./ Madre ti chiamano i figli sopravvissuti. Passano lente le navi, suonando/ prendendo il largo, e sono già sparite./ Passa nell’acqua fonda tua madre pensierosa./ “Madre, ancora viva mi hanno messa fra i morti!”/ Ridendo indichi laggiù fra le case del porto/ la finestra di casa vicino al Macello Comunale/ dove i macellai regalano ritagli di carne/ ai bambini italiani, greci, spagnoli./ Da quella finestra il ponte è un volo./

Il vento non ti svegli. Davanti a te/ mia Regina ferma la sua corsa. Cade./

 

 

Nota: questi testi sono tratti da “Maa Onda”, di Ida Vallerugo e Andreina Nicoloso Ciceri, edizioni del Circolo culturale Menocchio, 1997, Pordenone (testo non più disponibile).

Dalla presentazione di Andreina Nicoloso Ciceri:

“Ho condotto la mia lettura esclusivamente sui testi in friulano, godendo moltissimo, anche sul piano fonetico, la variante di Meduno. Il lessico di Ida Vallerugo è chiaro, elegante, e senza ricorsi ad arcaismi o, peggio, a neologismi urtanti. Ma – sappiamo bene – la lingua del poeta non è né quella della linguistica né quella della comunicazione e pertanto divarica da quella d’uso comune.

Nonostante l’umile medium linguistico, il tono generale di questa scrittura è alto e nobile, anche perché la Vallerugo “s’affranca senza lotta dai ritmi canonici delle abitudini paesane…”

[ È il trauma, la morte della Maa, la nonna Regina Cilia, per cui iniziò a scrivere in friulano. Par te i tôrni a scrivi … Il dolore di quella morte produce effetto sepoltura ‘couche’, cioé desiderio di autosepoltura, con conseguenze anche sulla lingua e nel lessico.

Maa, nella sua trasfigurazione come Terra Madre, ripete il mito, mistero di Discesa/Ressurezione…]”

 

Chi fosse interessato può vedere anche la presentazione e i versi su Samgha,  e il documentario “I lucs de poesie – Ida Vallerugo” dove la poetessa legge i propri testi.

 

Questa è la seconda e ultima parte (la prima è qui) della seconda tappa di un itinerario ideato da Danilo De Marco riguardante alcuni poeti friulani attuali non conosciuti dal grande pubblico, e cominciato con il grande Federico Tavan. Con il suo consueto modo di operare/fotografare, e di concepire la fotografia, De Marco ha ritratto questi autori, non tutti facili da avvicinare, solo dopo averne una conoscenza intima, e con una grande empatia, seppure non priva forse di qualche venatura ironica. GS

 

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3 Commenti

  1. bellissimo questo verso: “Da chê fignêstra il punt al é un svuàl”, che mi sembra restituisca l’inquietudine viva ma lieve della poesia, la volontà di far volare la parola pur avvincendola al ruolo di collegamento tra l’intento di chi scrive e la suggestione di chi legge. La musicalità della lingua friulana poi non fa che arricchire il testo.
    Grazie per questa lettura,
    mdp

  2. non solo musicalità…non a caso fu la sconosciuto poeta in friulano, Pasolini, ad attrarre l’attenzione di Contini, ovvero ‘dentro’ il friulano vi è…qualcosa di più…Chissà se NI potrà occuparsi di un altro poeta (friulano) Beno Fignon, grande amico oltrechè poeta bravo.

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giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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