Il trappolone

di Helena Janeczek

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C’è un arma usata a Parigi che si sta rivelando micidiale come un gas tossico: il passaporto che portava con sé uno degli attentatori, il primo e l’unico documento d’identità a essere stato ritrovato dagli inquirenti.
Benché un ufficiale dell’intelligence americana avesse tempestivamente espresso l’ipotesi d’un falso e anche la polizia francese abbia parlato di un documento contraffatto probabilmente acquistato in Turchia, l’altro ieri il nome di tal Ahmad Almohammad è stato diffuso in maniera ufficiale.
Le impronte digitali, s’è scritto, coinciderebbero con quelle prese sull’isola di Leros, dove l’uomo è stato registrato a ottobre prima di transitare per la Serbia.
Questa è esattamente la traccia che gli organizzatori degli attacchi parigini intendevano farci scoprire. Per la riuscita del loro piano era importante ci fosse un terrorista arrivato con i barconi, per dirla con Salvini. Ne bastava uno, uno solo. Gli altri quattro sinora identificati, il quinto in fuga e anche l’organizzatore, sono cittadini francesi e belgi. Ragazzi convertiti al jihadismo e radicalizzati da un soggiorno d’addestramento e indottrinamento in Siria; presenze interne alle nostre società, come gli attentatori di Charlie Hebdo, nemici che non potremo mai sconfiggere chiudendo le frontiere.
Il passaporto intonso trovato presso l’uomo che s’è fatto esplodere fuori dallo Stade de France (sebbene almeno uno degli attentatori abbia cercato di entrarci) rafforza la congettura che agli ideatori della strage di Parigi bastasse usare quel primo attacco come un grande fuoco inziale; efficace per attirare le telecamere in mondovisione, come diversivo per le mattanze affidate agli altri comandi, e infine forse persino come pretesto per far compiere una missione circoscritta. L’uomo con il passaporto siriano non doveva fare altro che ricordarsi di buttarlo via prima di azionare la cintura esplosiva.
È cruciale riconoscere che Daesh ha agito così in modo deliberato, con la piena consapevolezza di come funziona l’informazione, dove conta la notizia data a caldo. Una sua smentita o correzione a distanza non arriva più all’opinione pubblica, non ne cambia la visione formata nel momento di massimo sconvolgimento emotivo. Infatti, con il passare dei giorni, il giallo del passaporto s’infittisce anziché risolversi; a quanto pare l’identità sarebbe riconducibile a un soldato di Assad morto in battaglia, in Serbia hanno registrato diversi passaporti con lo stesso nome, e un giornalista inglese ne ha acquistato in Turchia uno esattamente identico. Soltanto ieri sera la polizia francese ha lanciato un “appello ai testimoni” per identificare “l’individuo deceduto”, usando la fototessera del documento greco come fotografia segnaletica. Il passaporto siriano con i suoi dati anagrafici è stato quindi ufficialmente riconosciuto come falso solo cinque giorni dopo il suo ritrovamento. Viene invece confermata l’identificazione dell’attentatore con l’uomo sbarcato a Leros basata sulla coincidenza delle impronte digitali, di cui tuttavia non è chiaro se riguardano soltanto quelle trovate sul documento falso o anche qualche traccia rilevata dai resti corporei. È presumibile che, prima di farsi esplodere, non abbia usato i guanti noti ai lettori di vecchi romanzi di detection, ma non bisogna sentirsi Agatha Christie per ritenere che siamo caduti in un tranello sempre più simile a una sanguinosa presa in giro, mentre non sappiamo assolutamente nulla sulla vera identità del uomo-bomba, e chissà mai se avremo modo di stabilirla.
L’unica certezza, oggi, è che la manipolazione rafforzativa del terrore è servita a ottenere uno scopo. Marine Le Pen ha chiesto la sospensione immediata dell’ammissione di rifugiati in Francia, seguita dalla dichiarazione dei governatori di ben venticinque o ventisei stati americani, preceduta dal no del nuovo governo polacco che aspettava giusto un segnale per sottrarsi agli accordi UE sottoscritti obtorto collo. Le destre occidentali, sempre più capaci di orientare il discorso in ambito tradizionalmente “moderato” verso i contenuti più estremi, si rivelano non solo oggettive alleate di Daesh, ma il docile strumento che risponde ai suoi progetti con l’affidabilità prevista. Un’Europa e un mondo occidentale che diventa roccaforte dei “crociati”, non più culla e custode d’idee universali espresse nelle carte dei diritti che abbracciano qualsiasi essere umano, assolve esattamente la funzione che gli viene assegnato dalla teleologica politica di Daesh.
Come scrive Alessandro Leogrande, i peggiori nemici di quel disegno sono coloro che costituiscono la zona grigia degli “apostati”. Tra questi, s’annoverano i gestori d’origine algerina del caffè “Le Carillon”, il ragazzo egiziano gravemente ferito davanti allo stadio, il cui passaporto è stato inizialmente attribuito a un terrorista; le sorelle tunisine ammazzate sulla terrazza di un bar popolare in Rue de Charonne dove festeggiavano il compleanno, la cugina del calciatore Lasanna Diarra che quella sera era in campo con la Nazionale, il violinista algerino che stava rientrando a casa, e tante vittime di nazionalità diverse, a cominciare da quella francese. Ma accanto a queste donne e questi uomini dediti al perverso stile di vita dei “crociati”, la colpa mortale dell’apostasia tocca anche gli uomini e le donne in fuga da Siria, Iraq, Libia, Somalia, Nigeria, Pakistan e così via. In breve, da ogni parte del mondo dove è in atto uno scontro che vede coinvolti eserciti brutali, da poco o da molto affiliati al vincente outsourcing di Daesh per la realizzazione di un dominio totalitario sulle terre dell’Islam. Quegli uomini e quelle donne rappresentano uno scandalo per il solo fatto di voler fuggire dalla società perfetta che li attende come sudditi devoti, e ancor più perché cercano riparo presso le terre degli infedeli. Vale a dire: l’Europa (e l’Occidente) che nella sua chiusura identitaria non è solo disposta a lasciarli morire sotto le bombe o marcire in condizioni disumane nei campi dei paesi arabi e africani, potrebbe in più rendersi complice di consegnarli alla vendetta punitiva dei tanto aborriti tagliagola. Viceversa l’Europa e l’Occidente che accoglie i rifugiati senza cadere nella trappola della paranoia, non dimostra soltanto di possedere dei “valori” fondativi e non solo difensivi, nonché una memoria storica che non si riduce a vuota retorica, ma esercita in aggiunta una politica immediatamente efficace per combattere l’estremismo islamista, invalidando con l’azione più concreta e pacifica la sua visione manichea. La posta in gioco è molto alta. Appare quasi matematico che se oggi respingiamo come “potenziali terroristi” persone che giungono alle nostre coste piene di disperazione e di speranza, sarà solo una questione di tempo che molti di costoro o i loro figli radicalizzati in un campo profughi, ci tornino indietro come un boomerang trasformati, stavolta sì, in jihadisti vendicativi.
Quindi anche l’argomento della sicurezza, l’argomento oggi brandito con successo dai portavoce della chiusura necessaria, conosce un’interpretazione esattamente opposta che non bisogna avere timidezza di sostenere neanche di fronte all’eventualità di un attentatore arrivato attraverso le rotte dei profughi. Questa visione non riguarda soltanto le prospettive preoccupanti per il futuro, ma può essere tradotta in proposte politiche e operative già avanzate e applicabili sin da adesso: non lasciare che i rifugiati cerchino di raggiungere clandestinamente l’Europa, alla mercé delle organizzazioni criminali – capaci anche di fornire false identità, come è stato dimostrato – e dei pericoli di morte in mare e in terra. Organizzare invece sin dalla Turchia, o in altre realtà accessibili, monitoraggi e registrazioni non emergenziali e infine trasbordi sicuri, gestiti e concertati tra gli Stati membri. Questa alternativa non sarebbe solo una scelta umanitaria o, peggio, un atto scriteriato di “buonismo”, bensì un’opzione razionale per tutelare quelle vite tanto quanto la nostra sicurezza. Basta capire che se un terrorista può arrivare con i barconi, questo accade perché di tutto ciò che succede con quei barconi, su quei barconi e prima e dopo che la gente vi s’imbarchi, la nostra politica così sensibile alle preoccupazioni popolari ha deciso, quanto meno, di lavarsi le mani.

ho deciso di non usare l’immagine del passaporto trovato a Parigi ma il montaggio satirico con cui dei siriani prendono di mira la conservazione di un documento “resistente all’acqua, al fuoco, alle esplosioni”.

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17 Commenti

  1. La tua tesi non mi è chiara. Capisco bene l’uso politico del passaporto fatto dalle destre, non capisco il vantaggio per l’Isis. Non è più probabile che l’Isis volesse soltanto depistare la ricerca dell’identità del kamikaze, che forse potrebbe portare la polizia ad altre piste? E il fatto che gli attentatori erano cittadini francesi, non è un argomento terribilmente forte per le destre (impossibilità dell’integrazione, rischio della presenza di musulmani, pericolo nella testa della gente ecc.?). Boh!

  2. Se cominciamo a regolamentare l’immigrazione come suggerisce quest’articolo la possibilità che un terrorista effettivamente si mescoli agli immigrati e raggiunga zone sensibili dell’occidente diventa più scarsa in quanto un processo regolamentato rende possibile dei controlli. Inoltre e più importante, strutture come quella dell’Isis hanno bisogno di persone povere, affamate, frustrate e arrabbiate per poterle portare nelle loro fila, una persona felice e con la pancia piena si farà esplodere, accetterà di combattere contro un nemico militarmente molto superiore o prenderà in ostaggio un teatro nel cuore di Parigi senza possibilità di fuga. Un campo di profughi bloccati tra Medio Oriente ed Europa affamati, sottoposti ad una vita di stenti, rifiutati dall’occidente in cui sognavano di ricostruire una vita è un serbatoio di reclutamento perfetto per un organizzazione come l’Isis. Senza realtà del genere a combattere per lo stato islamico rimarrebbero in quattro gatti e il movimento si sgonfierebbe immediatamente.

  3. Grazie per il bell’articolo Helena.
    Nel suo discorso solenne davanti all’Assemblea con governo e deputati riuniti di lunedi scorso, François Hollande ha espressamente toccato la questione dei rifugiati. Ecco il passaggio preciso:

    “L’Europe, elle ne peut pas vivre dans l’idée que les crises qui l’entourent n’ont pas d’effet sur elle. La question des réfugiés est directement liée à la guerre en Syrie et en Irak. Les habitants de ces pays-là, notamment ceux des territoires contrôlés par Daech sont martyrisés et fuient ; ils sont les victimes de ce même système terroriste.

    Voilà pourquoi il est vital que l’Europe accueille dans la dignité ceux qui relèvent du droit d’asile mais renvoie dans leurs pays ceux qui n’en relèvent pas, ce qui exige – ce qui n’est pas le cas encore aujourd’hui- une protection effective des frontières extérieures. La France y travaille, elle a été la première à mettre en garde, et la France avec l’Allemagne aujourd’hui fait en sorte que les pays qui sont confrontés à l’afflux des réfugiés puissent être aidés. Les premiers à devoir l’être sont les pays de la région : Turquie, Jordanie, Liban. Et si l’Europe ne contrôle pas ses frontières extérieures, alors – et nous le voyons aujourd’hui sous nos yeux – c’est le retour aux frontières nationales, quand ce ne sont pas les murs, les barbelés qui sont annoncés.

    Ce sera alors la déconstruction de l’Union européenne.”

    Anche se abbiamo qui a che fare con la solita “lingua politica”, che è una lingua-schermo sempre di più, una lingua dissociata dalla realtà e dagli atti, qualcosa emerge. Hollande in sostanza ribadisce l’impegno nei confronti dei rifugiati perché – come anche tu ricordi nel tuo pezzo – fuggono proprio dalla guerra e spesso dal fondamentalismo. Nello stesso tempo ribadisce l’importanza di una salvaguardia delle frontiere, perché – conclude alla fine – senza un equilibrio tra accoglimento e respingimento, si finisce coll’assumere le posizioni estreme dell’Ungheria, e questa sarebbe la FINE dell’Europa.

    Se uno guarda anche solo dall’osservatorio francese, ossia se ha seguito da un po’ di tempo la vicenda di Calais – che è la Lampedusa francese – si rende conto che la soglia critica quanto a politica nei confronti dei rifugiati è già stata varcata da tempo. Da tempo la politica francese gioca in modo assolutamente ipocrita, al tempo stesso cinico e irresponsabile, con la questione dei rifugiati. E davvero non si capisce come potrebbe peggiorare la politica attuale messa in atto a Calais, che tante ONG e associazioni presenti sul territorio definiscono di “abbandono organizzato”. L’Europa è già nel fallimento della questione migranti e rifugiati. Anche se, certo, potremmo assistere a una nuova fase, dove all’abbandono organizzato potrebbe sostituirsi una “persecuzione organizzata”. Si puo’ purtroppo sempre peggiorare.

    a Andrea
    In un pezzo che apparirà sul sito “alfabeta2” sono intervenuto sulla questione Calais, e la mia conclusione è che li, nonostante quanto si dica di solito, siamo confrontati con un’avanguardia della speranza, mentre quelli dello Stato Islamico sono – mi sembra – una perfetta avanguardia della disperazione. E questa disperazione, come molti ricordano, ha come sua prima palestra di formazione non la fuga dalle guerre, ma la vita in qualche cittadina europea, in quartieri più o meno popolari.

  4. @paolo l’Isis vede il mondo in bianco e nero, fedeli contro infedeli, mondo che dovrà giungere allo scontro finale. Per questo l’occidente che teme di più è quello che non si comporta secondo i suoi schemi, come nemico mortale dell’Islam, come lo intende. Per questo vuole alzare, come diceva il linguaggio del terrorismo nostrano, il livello dello scontro, a tutti i livelli. Vuole portarci in guerra per mostrare che ammazziamo civili con le bombe, che siamo vili e deboli, attaccati alla vita. Vuole che da noi prevalga la destra razzista e islamofobica, perché più i musulmani sono discriminati, più aderiranno alle sue formazioni e alla sua visione ideologica. Vuole la chiusura delle frontiere, sia per farci commettere un atto d’ingiustizia clamoroso, contrario ai nostri principi smascherabili come falsi e ipocriti. Ma vuole anche rendere la fuga impossibile alle persone schiacciate dalla violenza del Medio Oriente o del mondo islamico in generale, che considera suoi sudditi (tra l’altro l’Isis fa soldi con la tassazione di coloro che governa, quindi non si tratta solo di ideologia). Il fatto stesso che dai territori che già sono o che dovranno diventare di suo dominio, queste masse preferiscono scappare nella speranza di essere accolte in Occidente e trovando stati e società disposti a accogliere, per loro è pessima propaganda. In più considera questa scelta un vero e proprio tradimento, un’apostasia punibile persino con la morte, secondo la propria interpretazione politico-totalitaria dell’Islam.
    Spero che abbia risposto in maniera esaustiva alla tua domanda.

  5. scusate, forse è un po’ fuori tema, o insomma c’entra di striscio, perchè è pur sempre un elemento della questione, ma poco si parla di quello che dicono i demografi e gli economisti, che è spesso in contraddizione completa con quello che dicono i governanti, mettendo assieme destra e sinistra, e la EU, sulla immigrazione, e sul suo ruolo fondamentale per lo sviluppo sia del paese che li accoglie che di quello da cui provengono (qui naturalmente non si parla di Siria);
    se qualcuno avesse voglia di sentirsi questa cosa su France Culture, io ne ho sentito un pezzo e l’ho trovata molto bella: http://www.franceculture.fr/emission-planete-terre-les-migrations-en-mediterranee-un-atout-economique-et-demographique-pour-l-eu
    come dire, prima degli utilizzi politici, e sotto di essi, ci sono anche degli incontestabili dati di fatto …

    • Be’, queste sono le tesi portate avanti da economisti di stampo liberista, e dalla stampa che ne è campione, come The Economist, da almeno una ventina d’anni.

  6. molto interessante ma non concordo su una cosa, perchè si continua a dire che questi attentatori erano cittadini francesi o belgi? abbiamo visto le loro foto e sentito i loro nomi, le loro origini sono altre, non europee, non basta avere il passaporto francese per essere francese.

    • Ma lo sai che questo argomento è stato usato anche contro gli italiani? Che gli immigrati e i loro discendenti non erano veri francesi o americani, svizzeri o tedeschi? Che di volta in volta erano tutti potenziali criminali o elementi sovversivi (comunisti, anarchici)? E che la discriminazione è stato un regalo per la mafia statunitense, la quale s’è ridotta a poco quando gli italo-americani erano quasi tutti sufficientemente integrati e riconosciuti come cittadini alla pari da non volerci più avere nulla a che fare…

    • se uno ha un passaporto di un paese, e nella fattispecie francese o belga, è di quel paese, anche se magari la sua tinta non è perfettamente bianca, e un po’ diversa da quella che per te è tipica, fino a prova contraria, indipendentemente dalle “origini”; e tieni presente, non conosco in dettaglio la storia famigliare di questi ragazzi, che in genere si tratta della terza o quarta generazione;

      • Peraltro se si vogliono citare esempi di paesi in cui dei terroristi non hanno esitato ad ammazzare alla cieca dei loro connazionali, basterà ricordare l’Italia degli anni settanta: Piazza Fontana, piazza della Loggia e così via

  7. Sulla politica francese dei “rifugiati” prima degli attentati, ecco un piccolo punto sulla situazione di Calais.

    http://www.alfabeta2.it/2015/11/20/il-limbo-di-calais-e-la-politica-cinica-dello-scoraggiamento/?utm_source=notizie+da+alfabeta2+e+alfapi%C3%B9&utm_campaign=62303e9b06-RSS_EMAIL_CAMPAIGN&utm_medium=email&utm_term=0_7e21973c9b-62303e9b06-307867821

    … tutto il sistema d’accoglienza dei rifugiati, sia dal punto di vista della legislazione sia da quello delle risorse e delle strutture che ne devono rendere possibile le messa in opera, è basato sulla politica dello scoraggiamento: non è possibile sopprimere il diritto all’accoglienza, perché ciò vorrebbe dire rimettere in questione uno dei principi basilari delle istituzioni europee e internazionali, ma tutto dev’essere fatto per renderlo di difficilissimo godimento.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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