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da Marco Giovenale, “Il paziente crede di essere”

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[ Racconti, forme intermedie, prose (in prosa), inconvenienti, dissipazioni dopo ]

Marco Giovenale

Difesa

 

Difficile si possano contare. Poi sono migliaia, centinaia di migliaia. Una fascia sterminata: sono tantissimi. Braccia e gomiti legati a difendere. Sono tutti allacciati insieme.

Corpi vincolati come facendo una cortina continua di carne. Sono questo; e dunque darsi il compito di contarli è piuttosto puerile.

Proteggono quella cosa che sarebbe – in descrizioni favolose – l’entroterra. (Che loro non vedono). Difendono il perimetro, l’intorno, fanno insomma una cintura viva. Come le canzoni (melense). Si sporgono, a volta a volta sono schiodati via, singolarmente, uno o l’altro, chi perché indebolito, chi perché bruciato dal colorante di un succo di frutta che poi grazie a lui viene bandito, chi per fame, chi per prodotti scaduti che l’autorità rileva appunto grazie alla morte; chi semplicemente si abbatte e lascia perdere. (Perché dovrei difendere quello che non conosco? Sono usato).

Altre volte le stesse autorità fanno pulizia, perché molti defunti o colpiti e comatosi restano abbarbicati per inerzia, scrupoli, parenti, croste calcificate. Passano i tagliatori, allora, danno un colpo secco con la pala agli inguini, di taglio, come succede nei romanzi. Se il colpito è ancora vivo, si stacca da sé e viene via. Altrimenti c’è da iniziare il lavoro nei dettagli.

Le aggressioni esterne e gli imprevisti sono continui. I caduti sono rimpiazzati e c’è gioia in chi sta in prima fila o linea, nella cinta di difesa. La città così è protetta, e non completamente vuota, come sembrava

 

 

*

 

 

Descrizione di un luogo

 

Sono collocati nello stesso spazio. Da fermi, si spostano. A gambe ferme. Sono colorati, non sono pappagalli, è probabile. Non hanno nessun interesse a condividere alcunché, tantomeno un luogo, però lo condividono. Alzano la testa, la abbassano. È perfino scomodo. Alcuni si scambiano addirittura delle cortesie. O dei moderati insulti. O degli insulti non moderati, sempre semplici tuttavia. Per non sbagliare. Al primo posto viene sempre la comunicazione. Il numero totale è sempre variabile. Indossano dei cappotti, d’inverno. Sono immersi nell’incertezza, nell’imbarazzo, si fanno i fatti propri, cercano di non socializzare. Ritti o piegati. A volte telefonano, quasi sempre. Si annoiano pur di non socializzare. Alcuni socializzano, pur di non socializzare, si scambiano un numero di parole, si riannoiano. Portano delle borse, di cuoio, di plastica, trolley, sacche, zaini, marsupi. Alzano le mani se stanno in piedi. Si rannicchiano se seduti. Inveiscono ad alta voce o bassa, o mentalmente. Non si guardano in faccia. O sì, con indifferenza. Si mettono a spiare, sbirciano, non ci pensano, sono protervi, augurano il male a questo e quello. Se possono non parlano. Non è nemmeno così, come dire, pieno, al centro c’è ancora posto, al centro c’è posto.

 

*

 

 

trama

 

scappano dalla lucertola gigante in taxi, un taxi costoso molto malandato molto veloce. del resto la fuga è problematica al punto da causare severissimi danni e incidenti mortali che però importano chiaramente meno.

la lucertola minaccia con arroganza i tornado e la swat e, come tutte le lucertole alte cento/centocinquanta piani impegnate a devastare i centri abitati statunitensi, ha qualcosa di fascista.

abbandonato il taxi (una ruota a terra) e saldato conto e supplemento, inforcano un elicottero sportivo in cui lei armeggia con scioltezza.

l’elicottero li porta retoricamente all’aeroporto, dove si imbarcano per la russia: il quadro li mostra intenti a bere una quantità di liquore guardando l’ansia nel finestrino.

le unghie vengono tormentate. il pagamento con carta di credito ha facilitato l’imbarco in corsa, indispensabile se inseguiti da una lucertola fascista di centocinquanta piani.

all’arrivo a mosca, un’ingenuità che nessun ingenuo sospetta make them think di essere in salvo finché dalla finestra dell’albergo non occhieggia un’iride a palpebra verticale: è la pubblicità di una lingerie, che li ammazza di paura ma anche li eccita e fanno sesso da morti.

il mediometraggio è civile, italiano, ha buone chance nei premi e sul corriere. imbattibile in termini di diritti e difesa del liberalismo dalle lucertole.

 

 

*

 

 

Il paziente crede di essere (Gorilla Sapiens, Roma 2016)

http://www.gorillasapiensedizioni.com/libri/il-paziente-crede-di-essere

 

 

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renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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