Articolo precedente
Articolo successivo

Sguardo sottratto, dunque doppio

faccione2

di Marco Giovenale

La mostra Faccioni, di Eva Macali, installa e dispone a Roma, nelle stanze del Centro Luigi Di Sarro (dal 16 giugno, e ora fino al 22 luglio su appuntamento), e poi in autunno presso la Casa internazionale delle donne, un numero parco ma tutt’altro che avaro di opere: grandi sagome di visi di donne; figure per lo più sottratte alla cartellonistica pubblicitaria, icone dagli occhi sfuggiti-sfuggenti.

 

“Gli occhi, tradizionale sito semiotico dell’unicità, sono in parte tolti” (Jonathan Mullins, in un breve imprescindibile testo sulla mostra).

 

Il taglio del supporto di cartone o plastica, infatti, e dunque la sagomatura del volto femminile esposto, staccano-eludono-elidono gli occhi dalla nostra visione dell’immagine. Gli occhi, tolti o intaccati, vengono inoltre privati di un ulteriore ventaglio di materia, in modo che questa assenza di sguardi finisca per mimare in negativo il darsi di (quasi) fasci di luce irraggiati proprio dagli incavi orbitali.

 

Pudicizia post-pop o/e irraggiamenti anti-pop, suggerisce questo Fayyum accecato: comunque una raffica di laser mancanti. (La suggestione dei laser è evocata da Roberto Gramiccia).

 

Sguardi in meno, tracciati ed esaltati dal più di evidenza dato dalla sagomatura. Al punto da non offrire chiarezza sullo statuto di quell’osservare (il) (volto) femminile: c’è ironia su queste sottrazioni di sguardo (e materia)? Ironia sul guardare ed essere guardati? O frontalità e affermazione? “Messaggio”? (Qualcosa del genere: dopo esser state ‘salvate’ dalla pubblica anzi pubblicitaria impiccagione, le teste di veneri si vendicano negando la fascinazione degli occhi per sostituirla con un’assenza raggiante, quindi con una diversa modalità del positivo). (Che dialoga con lo spazio che le contiene e sostiene, cioè il muro, suggerisce Mullins). (E l’artista stessa precisa: “Restituisco lo sguardo a queste donne e quello che vedono è il mondo intero che abbraccia lo spettatore. In questo modo ribalto la relazione gerarchica tra chi guarda e chi è guardato”).

 

Non tutto, però, è detto, è dato, così. E negli spazi del non detto/dato sta una ulteriore parte – appunto ambigua polisemica sfuggente – del senso della mostra. Da rintracciare forse nel silenzio definitivo dei visi, definitivamente parlante, interrogativo.

 

Il senso e silenzio non afferrato si accresce forse – e si reimposta – in forma di prassi-performance suggerita da altri elementi aggiunti, non meramente accessori. Eva Macali ha infatti conservato le scocche degli sguardi, le sagome arcuate dei pannelli, dov’era ed è immaginabile il fascino-”fascio laser” originato dalle occhiate. E di queste ondulazioni ha fatto maschere, mascherine asimmetriche per coprirsi (occhi, viso) con non diversa …pudicizia di spettatori.

 

Oppure ha ricavato – dalle stesse scocche – delle lenze-macchine celibi, multimateriche, da azionare daccapo in guisa di (più articolate) maschere. Canne da pesca per acciuffare o celare o disturbare – oscillando – il gesto del vedere. Che, come si sa, sempre risponde ad altro sguardo: legge e scrive ciò da cui è letto e scritto.

 

faccione 3

 

Sul sito dell’autrice:

http://www.evamacali.info/index.php/faccioni

http://www.evamacali.info/index.php/faccioni/centro-di-sarro/

 

Album:

http://www.evamacali.info/index.php/faccioni/album/

 

Centro Luigi Di Sarro:

http://www.centroluigidisarro.it/eva-macali-faccioni-2/

 

 

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Memorie da Gaza #1

di Yousef Elqedra
Yousef Elqedra è un poeta palestinese oggi residente a Gaza. Pubblica queste pagine in arabo su Raseef22 e appare qui in italiano nella traduzione di Sana Darghmouni e Pina Piccolo . Il primo episodio del suo diario porta il titolo “Quella è mia sorella minore che riposa in una fossa comune”.

Nuovo inizio

di Gianluca D'Andrea
Nella capsula, l’aria viziata non era ancora stata incanalata nel tubo di espulsione. Guardavo in apprensione eppure con distacco l’acqua intoccabile dopo che l’ultimo strato si era dissolto. Fuori dalla piccola sfera non avrei sopportato l’aria se non per qualche ora.

Tre testi da Tande, di Rosaria Lo Russo, e una nota

di Renata Morresi
Leggo Tande e mi chiedo come accade. Come fa Lo Russo a raccontare senza racconto? A interrogare le dispotiche autorità del DNA e del caso, così ineluttabilmente alleate insieme, e a implicare – sin dall’inizio, “sulle note dell’inno nazionale” – mezzo secolo di costruzione (e crolli) della società italiana?

Poesia + malattia = una nota su La distinzione di Gilda Policastro

di Luca Rizzatello
Franz Kafka ha scritto "che cosa ti lega a questi corpi delimitati, parlanti, lampeggianti dagli occhi, più strettamente che a qualunque altra cosa, diciamo, al portapenne che hai in mano? Forse il fatto che sei della loro specie? Ma non sei della loro specie, perché appunto hai formulato questa domanda".

ESISTE LA RICERCA: 1-2-3 settembre, Milano, Teatro Litta

Di Marco Giovenale
Esiste la ricerca (giugno 2022, marzo 2023, settembre 2023) è un esperimento in più momenti, tentativi, occasioni, in cui ci si confronta, orizzontalmente e non accademicamente, sulle nuove o nuovissime scritture di ricerca. Non si tratta di un luogo di visibilità: all’allestimento degli spazi manca un palco, manca una cattedra. Non c’è una regia in senso stretto, né dei “panel” di discussione. La discussione si sviluppa sul momento. Dal 2023 non ci sono microfoni né registrazioni. Esiste la ricerca è in definitiva un contesto per raccogliere – misurando tempi e voce – le diverse percezioni che oggi si hanno delle scritture sperimentali, complesse e di ricerca [...]

“Filosofia della casa” pop-rock-punk: i Babilonia Teatri rileggono Emanuele Coccia

Di Silvia de March
Pietre nere è un’inesauribile ed inesausta sollecitazione, non solo intellettiva ma anche sensoriale - e per gli attori persino ginnica -, sul ruolo assunto dall’abitazione tanto nell’immaginario collettivo e merceologico, quanto nella nostra singolare identità: come un abito, come una pelle magari tatuata, la casa ci racconta, agli altri e a noi stessi. Cosa significa non averla? Cosa significa abbandonarla? E viceversa, cosa implica identificarsi eccessivamente o esclusivamente in essa?
renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: