L’abbecedario in gola (2018)

di Marina Pizzi

1.
Ingrigisce la rosa purpurea
Prende vigore la paura
L’insania balorda della lurida
Sconfitta d’indirizzo.
A me non resta che il panico gemello
L’ilarità contesa da ladroni
Sirenetti di spiagge senza dune di giglio.
Gerundio epocale perdere gli anni
Le elemosine perpetue dell’attesa
Quando si muore lentamente singoli.
Vetuste entità quest’avvenire
Liso. Panico strenuo nudo attendere
L’arringa della difesa
Ma ormai è tardissimo.
Festività conserte l’esercito in morte.

2.
Ho perso il viaggio strette ore
Tremendi astucci tutte le tane
Crepuscolari. Scolari solari
Le ali degli stinchi quando
Brevettano giochi fasti poveri
Con giocattoli casalinghi la vita
Ai rottami. Avevo gli orizzonti
Sulla nuca alberghiera per l’uso
Della calca di gioia e la bufera nulla.
Al vento ho certo lo pseudonimo
Tanto per il valore cortese
Di sillabare la notte lunga già lunga
Grafico d’inedia sopportare il giorno.
Ho ottenuto un permesso da apolide
Per rinfrescare la luna cadente
E la fantesca credula di dio.

3.
Al termine il giramondo
Si girò sul fianco
E tracannò di rantoli.

4.
Periferia dello sguardo
Terminano gli anni
Il letto la bara di ogni notte
Nel baratro del pendolo che oscilla
Quale dirupo apprendere di assioma.
Compleanno anziano ogni poeta
Zattera il rimedio di andarsene
Curvi viali le rendite di zero.
I tulipani lirici battezzano
Le cornucopie pallide e malate
Letargiche nutrici oasi del nulla.
Gimcane di amanti perdere l’amore
Oasi di sale chiudersi blasfemi
Dentro le rotte frigide del pane
Azzimo.

5.
La noia trilla come un lucchetto
Stringe il collo nel capestro, strozza
Attonita la veglia di deglutire
Sembianze occidue.

6.
Vivo in borgata oasi di zero
Con la grata alla vista, nel sudario
Delle resine bambine i denti guasti
Le cime delle rondini girotondi
Aurorali. Con il picchetto d’onore
Vive la mia morte ripetuta sconosciuta.
Già se volli fu lontanando
Dalla madre abusiva che non volli
Liberare la prigione apolide del fiato.
Meringhe di Giano quando l’infanzia
Giocava canzoni la penna d’oca
Di poeti in tasca. Balbuzie avvennero
Le enfasi di baci fanciulleschi
Le chele di sospiri, le ricette d’estro.

7.
Finita in una cinta di cardi
Dolorosi, fingo la spada che mi
Trattiene, stanza zagara amara.

8.
Storia egemone la nascita,
La scissa scia di prendere
Memoria così d’occaso
Alla morìa. Giochi fasulli
Commozione vera il tic
Di cercarti isola deserta.
Sulla soglia il gemito
Mito di dio non averti.

9.
Silente abaco l’attesa
Della morte. Ricuso il coma
Che mi brama. Siedo in panico
La cosca d’aria che mi dà
Respiro appena. A cascata
L’ansia mi fa prigioniera.
Appena un eremo mi distingue
Preda da prendere. Addio a scapito
Del sangue fonico, urlo del corpo
Che nel sudario ad inciampo corre.

10.
Con le spalle al muro
Un altro giorno nomina
Sull’attenti le elemosine
Votive. Qui inciampo e ciondolo
Il mio canestro chiuso.
So atavica la ronda che mi aspetta
Dentro le viscere di altri perdenti.
Musica di me la pietà
Quando verrò falciata
Sotto l’arco di trionfo sbriciolato.
Morìa di me sia la rotta unica.

11.
Sono morta nel bavero scosceso
Delle serre marcescenti.
Scienza proletaria lutto di restare
Stazza di vento casa d’uragano.
Al timone delle rondinelle
Nascono ancora scuole di scolari.

12.
Unghia di fossa resistere
Tradita. Invece la genia
Egemone infossa le grida
Pasquali degli angeli
Impotenti. Le crescenze neonate
Non possono scegliere.
Rosse al crepuscolo le soglie
Gemmano il sonno dopo la noia
Delinquenziale e sola.
Il patema di questo petto
È starsene nel sesto dito di una mano
E piangere a singulto. La fame
Rintana i randagi le afasie ginniche
Di rantoli millenari.

13.
Il cemento ferente sul prato
Dà ordini nazi al papavero
Solissimo status di senza colonia.
Case silenti ferite dal vento
Hanno il compleanno ennesimo
Sotto il plettro stonato.
È meraviglia comprendere il non
Pianto, l’aureola stinta dal sisma
Al crematorio. Gesù è solo gesso
Dentro la canonica. La gita estiva
Si fa bestemmia straziante le vane
Colonie di busti il Gianicolo.
Il lattosio delle ombre sulle orme
Dà la latente favola del gioco
D’azzardo.

14.
Col ghetto in gola il mio abbecedario
Cede le ceneri vive
L’asinello dato in pasto vivo alla tigre.
Il tunnel della fungaia
Scoppietta di risa infelici.
Le stantucce dei santi dimorano
Nei vetri crepati sigilli.
Io addietro per sempre addietro,
Si scompaginano le rotte dei vincenti,
Sotto l’argine delle stelle vuote.
Pace estiva non è possibile dacché
La polvere titanica scompiglia preghiere
Gli assolati venusti superstiti.
Le pagliuzze del tragico
Serrano le bare e la morgue sillabica
Gli apici pungenti dei raggi giganti.

15.
È nota l’apocalisse dell’insonnia
La nenia inutile di starsene esenti
Presso la rocca che briciola ansante
Le meraviglie acidule del vero.
Patrizia solo per morire
La stoffa di broccato che fa da palla
Ai principini del lugubre cortile.
Avvenga per annegare l’icona gravida
Quando la madre pareva santissima
Valenza di condono. Ora il dono
Frattura le rocce nel grido di dominio
Faccendiere di demonio. Era che spezza
L’illusione cedua di combinarsi sposi.

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1 commento

  1. La silloge s’inerpica in crescendo verso una sempre maggiore chiarità testuale, vestendo una complessità diagonale che incide il reale, manifestato in verticale come una compresenza di diverse età, ma di medesime sensazioni. la voce addensante scuce e ricuce, rammenda fori anche troppo ampi, senza annullare la sofferenza, la sincerità disarmata dell’io riflessivo. Personalmente, ho trovato soprattutto negli ultimi tre testi la compiutezza di questo lacerante lavorio.

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daniele ventre
Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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