Del significato per il futuro delle risoluzioni parlamentari sul passato

di Giorgio Mascitelli

La risoluzione votata dal parlamento europeo il 19 settembre scorso ‘sull’importanza della memoria storica per il futuro d’Europa’ ha prodotto numerose discussioni e un dibattito, anche se, come hanno notato alcuni osservatori evidentemente preoccupati del provincialismo del paese, quasi solo in Italia. Bisognerebbe ricordare ai cosmopoliti che è naturale che sia così, visto che l’Italia è stato l’unico paese alleato della Germania nazista nella seconda guerra mondiale ad avere avuto un significativo movimento di resistenza ed è l’unico paese, con la Spagna, ad avere una destra che si relaziona in maniera ambigua all’esperienza fascista: va anche aggiunto che caratteristico dell’Italia, acconto a un antifascismo politicamente fondato, una certa retorica mediatica dell’antifascismo, che rischia spesso di essere perniciosa per la sua stessa causa. Resta comunque il fatto che la mozione del parlamento europeo crea un potenziale conflitto tra un’identità democratica italiana fedele ai valori della Costituzione e l’identità europeista espressa da questo tipo di memoria.

Sul piano storico, purtroppo, il principio di non contraddizione non vale e il fatto che sotto Stalin l’Unione Sovietica  sia stata un paese totalitario con i suoi abitanti e imperialista con i suoi vicini è tanto vero quanto il fatto che senza l’Unione Sovietica Hitler avrebbe vinto la guerra. La storia ha una dimensione tragica e non logica della verità e dunque un’istituzione rappresentativa avrebbe dovuto adottare una saggia prudenza nell’esprimere deliberazioni che si basano su situazioni storiche complesse e contraddittorie, ma pretendere una consapevolezza del genere dal personale politico che siede al Parlamento Europeo sarebbe chiedere troppo al generoso sentimento di fiducia nel genere umano che ogni sincero cittadino europeo dovrebbe provare quando pensa ai suoi rappresentanti. Questa risoluzione, peraltro, rivela una natura composita e talvolta contraddittoria, segno di un lungo lavoro di limatura e mediazione, basti pensare che il comma 7 esprime la condanna per ogni forma di revisionismo storico e che l’impianto di questo documento sarebbe impensabile senza l’opera di Ernst Nolte e del revisionismo tedesco degli anni ottanta, oppure all’oscillazione nella terminologia tra comunismo e stalinismo; insomma la risoluzione che dovrebbe favorire una memoria condivisa europea rivela nella sua stessa struttura le profonde divergenze di memoria tra vari paesi e all’interno degli stessi.

Peraltro l’impostazione di fondo della mozione, che mi sembra provenire da un connubio tra conservatori tedeschi e polacchi e forse ungheresi, è interessante perché sembra essere rivelatrice dei fondamenti ideologici di quella che si potrebbe definire la costituzione materiale europea come si è formata, a dispetto dei fallimenti dei tentativi ufficiali, in questi anni. La nuova Europa ha dunque la sua radice fondante nel 1989, che illumina retrospettivamente anche il 1945, non è più socialdemocratica, ma liberista nella concezione dei rapporti sociali e trova un suo fondamento morale nella condanna del debito pubblico come forma di degenerazione della vita individuale e collettiva, pur mantenendo come elemento di continuità con la vecchia l’atlantismo in politica estera.

Non è un caso allora che il vero atto costituente di questa nuova Europa sia stato il trattamento del dossier sul debito greco, con il quale si è rivelato chi è il sovrano che fa la legge e sta fuori di essa, le norme, le punizioni per le infrazioni delle medesime, i veri valori fondanti aldilà delle elencazioni ufficiali, i rapporti di forza e quelli fiduciari per il riposizionamento nella gerarchia dei singoli paesi. E’ chiaro allora che la risoluzione rifletta innanzi tutto il punto di vista della Germania e dei paesi dell’Est europeo, ma non va dimenticato che essa si inserisce in un panorama generale in cui già sei anni fa un documento della banca d’affari statunitense JP Morgan definiva un rischio per la tenuta della UE le costituzioni dell’Europa del Sud nate dall’antifascismo. Allora in questo quadro che coniuga forme di revanscismo dissimulato, difesa delle istituzioni finanziarie private responsabili della crisi e nuovi assetti della governance europea diventa possibile una convergenza tra partito popolare e sovranismi di destra, specie dopo l’annunciato ritiro di Angela Merkel. Vi è anzi il rischio che la fine del cancellierato della Merkel segni il tramonto del katechon, il potere che trattiene dalla dissoluzione, per usare un’espressione biblica in voga nel dibattito politico-filosofico italiano ( senza per questo dimenticare che il cancellierato Merkel ha programmaticamente sottovalutato i rischi di questa convergenza).

In questa senso la vicenda ucraina prefigura già questa convergenza con la sua prevedibile propensione alle avventure: il fatto che Germania e Francia si trovino ora nella necessità di trattare con la Russia per evitare che l’Ucraina diventi una sorta di Bosnia all’ennesima potenza ossia un paese paralizzato in una sorta di tregua perenne con una scia di odi etnici mai sopiti che impedisce qualsiasi tipo di ripresa economica e stabilità politica è la prova eloquente degli esiti di questa propensione. Eppure ciò che è accaduto non produce una riflessione autocritica. Puntualmente infatti troviamo ai commi 15 e 16 della risoluzione l’indicazione della Russia putiniana come continuatrice dell’Unione Sovietica e come paese criptocomunista, quando i riferimenti storici ideali di Putin della sua politica di potenza vanno piuttosto verso un generico nazionalismo e semmai verso lo zarismo ( basterà pensare che il grande kolossal patriottico dell’era putiniana è dedicato alla nascita della dinastia Romanov e non a Stalingrado, che le critiche al liberalismo occidentale rientrano in una tradizione slavofila e non certo comunista, oltre a echeggiare temi cari a tutti i populisti di destra, e che sotto Putin è stata introdotta nelle scuole russe la lettura di Solženicyn). L’indicazione della Russia di Putin quale erede del totalitarismo di Stalin è tuttavia funzionale alla creazione di un sottofondo anticomunista, che è l’unico terreno politico sul quale può avere luogo questa convergenza senza che ne appaiano tutte le ambiguità storiche e politiche.

 

 

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4 Commenti

  1. Forse troppe cose in troppo poco spazio generandosi, suo malgrado, un pensiero confuso. I temi: importanza della memoria vs revisionimo destroso, Putin, slavofilia, i Romanov, vicenda Ukraina, Putin/Stalin etc. Troppo troppo..

  2. Grazie, Giorgio, per questo pezzo. Io credo che la confusione, e una certa rozzezza, siano proprio nel testo della risoluzione, come già spiegato da molti. Quel comma 7 a rigor di logica avrebbe dovuto condannare il negazionismo, non il revisionismo storico, che è abbastanza chiaramente, con la sua linea comparativa tra totalitarismi, fonte di ispirazione della risoluzione stessa. Che dire. Probabilmente la politica della memoria è arrivata al suo limite, e adesso dovrebbe fermarsi. Tutti questi “mai più” sacrosanti occupano il nostro intero sentimento di lutto in relazione alla storia, inducendoci a identificarci quali eredi di vittime, e il nostro intero orizzonte di attesa rispetto al futuro, perché, dopo aver ripetuto all’infinito quel “mai più” (ripeto: sacrosanto), non ci resta però un filo di voce per dire che vorremmo anche un mondo diverso e migliore. Un tempo si chiamava utopia: chissà perché nella politica della memoria delle istituzioni europee non viene mai citata, eppure senza utopia non sarebbe stata fondata la comunità europea stessa. Aggiungerei: senza utopia socialista. Ma vallo a spiegare al blocco dell’Est…

    • Hai ragione Davide: la politica della memoria è probabilmente giunta al capolinea. D’altro canto anche Claudio Vercelli sul Manifesto qualche giorno fa affermava che siamo diventati una società di prefiche per via di questa ossessione del “mai più”. Anche sull’utopia concordo, anche se questo mi sembra che vada aldilà dell’Unione europea e riguardi il mondo

  3. Nel merito. Non ho aderito all’appello dell’intelligenza comunista residuale contro la risoluzione del parlamento europeo, pur essendo stato in gioventù un cane sciolto dell’area dei gruppi e, quindi, un comunista.
    Le rivoluzioni comuniste sono state cariche di aspettative e di desideri, ma sono volte nel loro contrario. E non sono io a dirlo, ma la Storia.
    La risoluzione del parlamento europeo è una evidente strumentalizzazione neoliberista.
    Tutti i regimi sono criminali, nessuno escluso. Criminali e violenti.
    La storia del genere umano non è che un enorme e mai risolto scandalo, ai danni dei poveri, dei miti, degli onesti. “Uno scandalo che dura da diecimila anni”, come Elsa Morante sottotitolava il suo romanzo forse più famoso. E non se ne vede via d’uscita.
    Ovunque io vada, c’è sempre chi domina e chi è dominato.

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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