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L’Anno del Fuoco Segreto: Foresta d’Ali

L’Anno del Fuoco Segreto

di Edoardo Rialti e Dario Valentini

Suonando invisibile per il giovane Ferdinando che si aggira sulla spiaggia del naufragio, lo spirito Ariel canta che il padre del ragazzo giace a più di cinque braccia e le sue ossa sono adesso di corallo, perle quanto erano i suoi occhi e che tutto ciò che in lui è soggetto a mutamento il mare adesso lo trasforma in qualcosa di ricco e strano.
Qualcosa di ricco e strano. È questo che compiono le storie fantastiche, ampliano i confini, affondano nel terreno scuro e confuso da cui sorgiamo, palesano quanto sia vasta e inquietante l’esistenza di tutti i giorni nei suoi nodi, riti e passaggi, dalle mutazioni del corpo alle incerte letture delle trame belle e terribili che ci pare di scorgere al mondo: le torsioni oscure del sesso, le parole mai chiare del corteggiamento, le isole di comunione e le invisibili prigioni d’aria dell’isolamento, le mutilazioni e le cicatrici che si accompagnano ad ogni crescita, doni che diventano maledizioni.
Le fiabe hanno sempre raccontato e dispiegato questo “catalogo dei destini possibili” come scriveva Calvino. Quelle più grandi, figlie del mito, non annacquate dal moralismo facile che le ha spesso smussate e cambia colore a seconda di quanto risulta più addomesticato e condiviso nel nostro immaginario, hanno il sentore inesorabile e solido della realtà, sanno essere dure, affilate e inconsolabili, condurci con forza e velocità condensata a quei crocevia, dove ogni volto, compreso il nostro, è una mappa. “Dalla vita in giù, forse tu attorci/ un unico viluppo labirintico/per radicarti a fondo tra falangi, tibie/ teschi. Imperscrutabile,/ non una volta visto sotto le spalle/da uomo che abbia serbato la ragione,/sei impervio a ogni domanda/ sfidi ogni altro divino.” (S. Plath)
Questa raccolta è nata perché desideravamo scrivere e leggere storie così. Quanto era nato anzitutto come un progetto editoriale si è poi evoluto in una antologia online nella quale coinvolgere scrittori e scrittrici che stimavamo e per i quali, da prospettive diverse, questo orizzonte fosse a sua volta importante. Siamo felici e onorati che abbiano accettato, così come ringraziamo Nazione Indiana per averci accolto a bordo del loro galeone.
Si parla molto di Weird, di sconfinamento dei generi, del nuovo peso riconosciuto al fantastico anche in Italia. Talvolta un eccesso di definizioni a sua volta recinta e annacqua quello che dovrebbe restare aguzzo e fecondo. A volte, provare a spiegare qualcosa significa perderla. Che colore ha “Il Colore Venuto Dallo Spazio”? Non avevamo alcuna cornice programmatica, semmai una serie di immagini, quelle dei possibili titoli da dare alla raccolta stessa e che incarnavano più di qualunque commento ne sapremmo trarne. “La lunga fedeltà dei folli” (Cristina Campo). “Albero di sangue irriga il mattino” (Federico García Lorca) alla fine, con tenue omaggio a Tolkien, abbiamo scelto “L’Anno del Fuoco Segreto”. Agli autori e autrici coinvolti, abbiamo solo chiesto di immaginare delle fiabe “adulte, strane, senza compromessi.” Indicazioni piuttosto vaghe, che volevano essenzialmente accennare a un’atmosfera, un accordo musicale e poco altro. Potevano rielaborare trame antiche e celebri o crearne di nuove.
Per quanto ci riguarda, sapevamo solo di volerci spingere in luoghi e apprendere sortilegi che ci costassero sempre una libbra di carne, come le eroine e gli stregoni che barattano occhi e arti per trasformarsi in pesci o danzare a pieni nudi sul ponte della spada. Speriamo che ciascuna delle soglie che vi proporremo possa costarvi altrettanto, se mai lo vorrete, man mano che vi addentrate in questo paesaggio con i mostri.

Le copertine che accompagnano la raccolta sono state realizzate da Francesco D’Isa.

Foresta d’Ali

di Francesca Matteoni

Non è poi così difficile essere morti.
Io ero morta da tre giorni: ogni giorno un secolo senza luna nel cielo.
Ogni giorno il rovo cresceva, distruggeva le mura della casa sostituendo i tralci alla calce e ai mobili, alle eredità familiari accumulate nei cassetti, alle lenzuola sul mio corpo e infine si insinuava nella pelle, entrava, ricopriva i miei organi e il sonno. Il rovo diveniva la mia mente. Si stava bene lì dentro: le braccia conserte sul petto fiorivano di more grandi come occhi. Nessuno poteva raggiungermi e i miei sogni erano viaggi in solitaria verso l’oceano, senza turbamento. Sognavo una costa a nord di nebbie e odore d’alghe fino a stordire: saltavo fra gli scogli in cerca di cibo, perdevo la posizione eretta per le quattro zampe e una pelliccia da cui cadevano le spine. Mi erano compagni i lupi che si erano adattati dalla selva all’oceano e le lontre marine. Poi, dall’alto, arrivavano le grida degli uccelli e io sentivo uno strano prurito per la schiena: mi sentivo un guscio, un uovo d’ossa e filamenti da cui un’altra vita doveva sortire, una vita aerea e lucente, che appena intravedevo prima di risvegliarmi alla morte nel bosco. Non avevo mai fame. La pianta che prendeva il posto della mia casa mi dissetava con la sua linfa.

Si diceva nelle fole e nei libri addirittura, dove la mia immagine (o l’immagine di colei che pensavano io fossi), giaceva addormentata con la bocca in un mezzo sorriso, si diceva che fossi stata maledetta da una fata invidiosa e in un certo giorno nella mia adolescenza mi fossi recata su, fino alle soffitte del palazzo reale che era la mia dimora, per trovare la fata travestita da vecchia comare davanti a un fuso, pungermi con l’ago e trasformarmi in una non-morta, incorruttibile nella carne, sospesa nello spirito e negli anni fino a che un altro non fosse giunto a separarmi da quello stato di perfezione.  O, come sospiravano i più romantici, a condurmi nel mondo del desiderio, dei per sempre che durano un’ora o decenni e nessuno dei due sa più cosa sia il tempo. Ma in realtà tutto questo mi era ignoto. Non ero figlia di re e regine, non abitavo un palazzo, abitavo una casa modesta in un paese fra colline qualunque, dove chiunque sapeva che mia madre era quella stessa fata che mi avrebbe ucciso. O protetto. Ecco, mia madre era esperta di magia e fin da quando ero molto piccola veniva raccontandomi una storia di fuga e liberazione.

“Per sopravvivere, a volte, bisogna morire,” cominciava, “o almeno far credere a tutti di esserlo. O almeno farlo credere al corpo finché non prende una direzione diversa e gli crescono le ali”.
“Le ali?”, chiedevo io, seduta nel prato dietro la casa, dove lei lasciava crescere frutti ed erbe selvatiche a nasconderci dai vicini.
“Le ali. Non penserai mica che tutti gli umani siano simili, per sorte e vocazione? Questo è quello che ci fa il mondo. Farci credere che dobbiamo piegarci, azzittirci, fino a che saremo uguali, tutti ugualmente smarriti. Ma alcuni di noi hanno coraggio. Alcuni di noi erano angeli, prima”.
“Io, mamma, ho paura di tutto”, rispondevo.
“Hai paura del mondo e fai bene. Non è un posto per te. Ti attrae e ti promette, ti seduce nella forma di un altro essere umano, ti chiede devozione. Ti succhia via il colore dal volto, ti torce gli occhi nella sua miseria che è fatta di quieta indifferenza. Le sue parole sono Inganno, Tradimento, Abbandono, Dolore. Ma io ho trovato una via per te”.
“Dove?”
“Qui, in questa casa. La nostra casa al margine del bosco. Un giorno questa casa sarà vinta dai rovi e i rovi cercheranno il tuo corpo. Lo culleranno, lo proteggeranno e quando arriveranno al cuore ritorneranno le tue ali, quelle che senti a volte pungere nelle scapole, quelle che fremono come piume nel respiro quando qualcuno ti ferisce e vorresti scappare, ma resti incollata al suolo”.
“Vorrei tanto volare, mamma. Voleremo insieme?”
“Oh, questo non è possibile. Ma tu non dartene pensiero: gli angeli non hanno memoria delle esistenze terrene, ricordano la luce e l’aria che li sospinge in una danza, lassù”.
“E dove sarai tu?”
“Io sarò il rovo”.

Così accadde. Un giorno mi svegliai e la casa era vuota: non c’era traccia di mia madre né dei suoi abiti o dei suoi incantesimi. Era scomparso perfino il suo odore dalle stanze. La chiamai inutilmente, piansi, temetti di averla persa e non sapevo che avrei fatto da sola – non conoscevo nessuno davvero. Uscii nel prato, seguendo il fruscio dell’erba: eppure l’aria era immota. Faceva caldo, doveva essere il pieno dell’estate, gli insetti erano spariti come mia madre, dalle case vicine non arrivavano suoni, frammenti di dialogo, rumori di automobili – nulla. Solo il frusciare sempre più denso e presente, saliva dalle piante di more, avanzava fino ai miei piedi. I rovi erano vivi. Lo erano sempre stati nel loro silenzio. Ora però parlavano e io impazzivo. Parlavano aspri, con voce fragile di foglia e il timbro severo di mia madre che si schiariva in loro.
“Dormi, lasciati andare”, ondeggiavano fra il bosco e le mura. “Dormi, lasciati andare”.
Mi allacciarono le caviglie sulla soglia della cucina, gridai senza opporre resistenza. Mi strinsero nelle loro minuscole spade forti. Sembravano carezze che mi estraniavano dalla mia grande paura.

Dormi, lasciati andare.
Sopra di me scese il tempo oscuro, nessun uccello rapace venne a lamentarsi. Le spine sostituirono le stelle e vidi la luna, che allora era piena, ammutolire fino a un punto di nero nel nero: ogni cosa fu ferma nel fruscio. E le ali da qualche parte frinivano, mentre sognavo la mia morte oltre il mondo, la mia vita a venire.

Inganno, Tradimento, Abbandono, Dolore.
Dormi. Lasciati andare.

Ma poi la luna sorse.
Un taglio pallido nella tela del cielo.
Il fruscio si interruppe a un passo di rovo dal cuore. Qualcosa mancava in me, qualcuno stava arrivando, perché la terra risuonava in un battito, un rullo tenue di tamburo, il cammino di un altro vivente ed estraneo. La mia mente fu richiamata dalla riva del mare dove cacciava nella sua forma di lupo, dove ululava a una luna irreale. Perché tra le rovine della casa e del bosco il mio spirito era fuggito. Non gli avevo prestato attenzione fino ad allora. Ero convinta che sedesse nel cuore in attesa di essere sé stesso, fulgido e angelico, perché cosa può mai volere uno spirito se non tornare alla sua eternità?  Forse lo aveva divorato la luna, con la sua infida falce e ora ci correva dentro, dimentico di me e del futuro. Non potevo muovermi. Il dolore risaliva dalle gambe e dalle dita, come una radice che si rompe e nel rompersi il calore riprende a scorrere bruciando. Era la luna al centro della sua notte, era il mio sangue che scava le ossa sulla sponda del sogno.  Era un sogno diverso che veniva a tormentarmi? A scuotermi di dosso il fogliame, lo sporco del sottosuolo e volgere tutte le spine al contrario, puntandomele contro? Aprii la bocca per respirare e ali minuscole vi frullarono dentro, sbattendo nella gola, facendomi tossire. Ali frullarono ovunque, intorno, là fuori. Il rumore era così forte che mi portai le mani alle orecchie. Aprii gli occhi. Davanti a me c’era un uomo sconosciuto, dall’aria arruffata di chi non ha dormito, i capelli troppo lunghi sul viso – mi guardava. E nei suoi occhi mi vidi: un animale con la pelle incrostata di terra ed erba, gli abiti strappati dal rovo, i tralci avvolti ai polsi e al ventre.

“Chi sei, cosa fai qui?”, volevo dire, ma invece sputai, vomitai terriccio, foglioline, semi in una poltiglia verdastra. Vomitai un volgolo di pelo e acqua del mare.  Il vomito mi soffocava e l’uomo mi raggiunse, sollevandomi la testa. Poggiai i piedi al suolo – con un coltello recise le piante che mi legavano le gambe. Le sue braccia soccorsero la mia schiena e tremai. Mi sostenne conducendomi via da quello che restava della casa – pareti a pezzi, infissi scardinati. C’era poco lontano un rigagnolo di fiume che non ricordavo. L’uomo mi lavò il viso e le braccia, tolse dai miei capelli nodi di rami. Mi fece bere.
Non riuscivo a smettere di guardarlo, ogni volta che distoglievo gli occhi mi accorgevo di una mancanza senza nome in me, proprio dove quelle ali erano andate a ripararsi per non uscirne più. Terrore. Oppure Desiderio, pensai. L’uomo spinse la sua mano su fra le mie cosce, tolse i brandelli d’abito insieme alle foglie. Non scappai, non potevo. Lui non era buono. Non era nemmeno cattivo.
“Io ero un angelo, prima”, disse l’uomo, mentre le sue mani salivano ai seni e poi alla bocca, infilando le dita dentro le labbra.
“Sono venuto qui, inseguendo le mie ali, quelle che avevo perso da così tanti anni da immaginare di non averle mai avute”, continuò, slacciandosi la cintura. Mi prese le mani perché lo toccassi, gli accarezzassi il volto e la persona.  Tenerezza.
“Sono stato intrappolato per ore dai rovi, mentre le ali rimpicciolivano, sembravano svanire. Sono stato per ore senza sonno a tagliare la boscaglia. E poi ho trovato te. Le mie ali sono dentro di te”, concluse, tenendomi sull’erba, denudandosi sopra di me. Le spine mi fecero gridare, colpendomi ovunque, graffiando le ali che si dibattevano, ma l’uomo era più forte. Premeva come un sigillo sul cuore. Accoglienza. Lo lasciai entrare.
È così che si perde ogni intenzione, che si diviene umani? Ero morta o inizio ora a morire?, pensai. L’uomo era le mie braccia, il mio ventre, il gemito condiviso, era l’acqua che libera gli occhi, il sale, il seme che costringe la mente al sangue, la fa sbocciare dove s’impara a muoversi nell’ombra di un altro, dove lo spirito danza la sua gioia tenace e  mortale. È così che dimentico mia madre? Inganno, Tradimento, Abbandono, Dolore. Ma sotto, cacciando le mani nei rovi, Desiderio, Tenerezza, Accoglienza.
Intorno il roveto si ritraeva in un respiro prolungato, molti respiri di creature che si destavano, alzavano la testa fra gli arbusti divenuti piume, rilasciavano odori come ricordi senza più valore. Un’intera foresta pronta per il cielo. Ero nuda e senza difese e l’uomo scandiva il suo nome nel mio. Amore. Ali ovunque si levavano da noi. Volavano via.  

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francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Sono nata nel 1975. Curo laboratori di tarocchi intuitivi e poesia e racconto fiabe. Fra i miei libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Acquabuia (Aragno 2014). Ho pubblicato un romanzo, Tutti gli altri (Tunué, 2014). Come ricercatrice in storia ho pubblicato questi libri: Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014) e, con il professor Owen Davies, Executing Magic in the Modern Era: Criminal Bodies and the Gallows in Popular Medicine (Palgrave, 2017). I miei ultimi libri sono il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019), il testo di poesia Libro di Hor con immagini di Ginevra Ballati (Vydia, 2019), e un mio saggio nel libro La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico di Vita. Il mio ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/
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