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ANDREA ZANZOTTO [1921-2021] Vera figura, vera natura, slansada in ragi come’n’aurora…

[ dall’Archivio19 Ottobre 2011 ]

di Orsola Puecher

[ in memoria e malinconia autunnale ]

RECITATIVO VENEZIANO

Vera figura, vera natura,
slansada in ragi come’n’aurora
che tuti quanti te ne inamora:
aàh Venessia aàh Regina aàh Venusia

to fia xé ’l vento, siroco e bora
che svegia sgrisoli de vita eterna,
signora d’oro che ne governa
aàh Venessia aàh Venegia aàh Venusia

Testa santissima, piera e diamante,
boca che parla, rece che sente,
mente che pensa divinamente
aàh Venessia aàh Regina aàh Venusia

par sposa e mare, mora e comare,
sorela e nora, fiola e madona,
ónzete, smólete, sbrindola in su
nu par ti, ti par nu
aàh Venessia aàh Venòca aàh Venessia

Metéghe i feri, metéghe i pai,
butéghe in gola ‘l vin a bocai,
incononàla de bon e de megio;
la xé imbriagona, la xé magnona,
ma chissà dopo ma chissà dopo
cossa che la dona!

Mona ciavona, cula cagona,
baba catàba, vecia spussona,
Toco de banda, toco de gnoca,
Squinsia e barona, niora e comare,
sorela e nona, fiola e madona,
nu te ordinemo, in sùor e in laòr,
che su ti sboci a chi te sa tòr.

CANTILENA LONDINESE

Pin Penin
valentin
pena bianca
mi quaranta
mi un mi dòi mi trèi mi quatro
mi sinque mi sie mi sète mi òto
buròto
stradèta
comodèa–

Pin Penin
fureghin
perle e filo par inpirar
e pètena par petenar
e po’ codini e nastrini e cordèa–

le xe le comedie e i zoghessi de chèa
che jeri la jera putèa

Pin Pidin
cossa gastu visto?
‘Sta piavoleta nua
‘sto corpesin ‘ste rosette
‘sta viola che te consola
‘sta pele lissa come sèa
‘sti pissigheti de rissi
‘sti oceti che te varda fissi
e che sa dir “te vòi ben”
‘ste suchete ‘sta sfeseta–

le xe belesse da portar a nosse
a nosse composte de chéa
che jeri la jera putéa

Pin Penin
valentin
o mio ben,
te serco inte’l fogo inte’l giasso
te serco e no ghe riesso
te serco e no ghe la fasso,
pan e dedin
polenta e nasin–
chi me fa dormir
chi me fa morir
tuta pa’l me amor
chi me fa tornar
coi baseti che ciùcia
coi brasseti che struca
co la camiseta più bèa–

le xe le voje i caprissi de chèa
che jeri la jera putèa

Pin pidin
valentin
pan e vin
o mio ben,
un giosso, solo un giosso,
te serco inte’l masso
te serco fora dal masso
te serco te serco e indrio sbrisso,
chi xe che me porta’l mio ben
chi me descanta
chi me desgàtia
chi me despìra
pan e pidin
polenta e nasin
polenta e late
da le tetine mate
da le tetine beate–

i xe zoghessi de la piavoleta
le xe le nosse i caprissi de chèa
de chèa
che jeri la jera putèa.

da Filò. Per il Casanova di Fellini
con una lettera e cinque disegni di Federico Fellini
Edizioni del Ruzante, Venezia 1976

 
Fra Andrea Zanzotto e Federico Fellini ci furono un’amicizia delicata e una collaborazione costante: prima per Il Casanova [estate 1976], poi per La città delle donne [1980] e infine per E la nave va [1983].
Fellini così scrive a Zanzotto, nel luglio del 1976, per commissionargli i versi che contribuiranno a due momenti incantati del suo Casanova, Recitativo veneziano e Cantilena londinese, prime due parti del libretto Filò pubblicato nello stesso anno e che come introduzione avrà proprio questa lettera del regista al poeta.

Vorrei tentare di rompere l’opacità, la convenzione del dialetto veneto che, come tutti i dialetti, si è raggelato in una cifra disemozionata e stucchevole, e cercare di restituirgli freschezza, renderlo più vivo, penetrante, mercuriale, accanito, magari dando la preferenza ad un veneto ruzantino o tentando un’estrosa promiscuità tra quello del Ruzante e il veneto goldoniano, o meglio riscoprendo forme arcaiche o addirittura inventando combinazioni fonetiche e linguistiche in modo che anche l’assunto verbale rifletta il riverbero della visionarietà stralunata che mi sembra di aver dato al film. [Filò, 1976, pag.7].

[…] non è forse piacevole lo stesso farneticare su intenzioni e compiutezze ideali anche se impraticabili fino in fondo? [ Filò, 1976 pag. 8].

Citando alcuni versi del poeta:

Dolce andare elegiando come va in elegia l’autunno

Fellini così li commemta:

Mi sembra che la sonorità liquida, l’affastellarsi gorgogliante, i suoni, le sillabe che si sciolgono in bocca, quel cantilenare dolce e rotto dei bambini in un miscuglio di latte e materia disciolta, uno sciabordio addormentante, riproponga e rappresenti con suggestiva efficacia quella sorta di iconografia subacquea del film, l’immagine placentaria, amniotica, di una Venezia decomposta e fluttuante, di muschiosità, di buio muffito e umido. [Filò, 1976 pag. 9-10].

Del film, girato in inglese e doppiato in un secondo momento, Zanzotto sarà il consulente per la lingua madre del protagonista, il dialetto veneto, e scrive Recitativo Veneziano, una sorta di evocazione, d’inno pagano e carnale alla città, sollecitato dalle immagini della scena iniziale, un grottesco rito carnevalesco di acque e fuochi per far nascere dal Canal Grande una enorme testa polena di donna, che poi invece si inabisserà gorgogliando, e compone, musicata da Nino Rota, la ninna nanna cantilena Pin Pedìn, Pié Piedino, ispirato dalla scena del bagno nella tinozza della Gigantessa Angelina, unico personaggio del film inventato di sana pianta, che, creatura mitologica, combatte con gli uomini, sempre trionfante, in un circo londinese: una forzuta grande e grossa e malinconica, custodita da due nanetti partenopei in polpe e parrucca incipriata, che gioca con le bambole, le piavolete, e si canta invece putèa, piccina e delicata, con i vezzeggiativi maliziosi della filastrocca in petèl, il linguaggio spezzato dell’infanzia, della lallazione misteriosa e consolante dei suoni e delle immagini antiche.
I film di Fellini sono sempre fatti di donne grandi e forti e di uomini piccoli piccoli e soccombenti.
 
Riferendosi ai due componimenti Zanzotto rivela le origini profonde del suo recupero del dialetto:

I primi due componimenti li avevo già scritti, in qualche modo. Esistevano dispersi nei miei lavori di molti anni fa, anche lontanissimi […] il discorso visivo di Fellini ha risvegliato per me alcune risonanze entro una certa aura linguistica da dirsi veneta (veneziana solo in parte) sia per eccesso che per difetto.
Mi è capitato davanti un parlare perso nella diacronia e nella sincronia veneta, fino al paradosso ed all’irrealtà di una citazione paleoveneta, un parlare un po’ inventato, un po’ ricalcato da troppo alti modelli, nel quale l’allarme per i diritti della glottologia e della filologia non riusciva a tenere a bada la voglia di stracciare i margini, di andar lontano, di ‘correre fuori strada’.

da “Le poesie e prose scelte” Mondadori, 1999, I Meridiani, pag. 539

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6 Commenti

  1. Grazie mille Orsola. Non sapevo niente dell’amicizia tra due talenti.
    Fellini, il grande- il suo talento per la bellezza strana- tra bellezza e mostruosità- c’è un confine sottile- mi piace l’onirismo- e nella poesia di Zanzotto c’è onirismo della lingua, capâcità di fare viaggiare il lettore o lo spettatore in luogo dove l’acqua si mescola alla luce dell’erotismo o dell’evasione ( Venezia), la nebbia, il vento / il mistero trasmettono
    la poesia. Una poesia –
    Voglio dire che Orsola ha colto il vincolo tra l’ambiente del film e la poesia di Zanzotto- dietro il mistero- la verità del mondo.

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orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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