I pappagalli stocastici e la retriva ostilità del linguaggio al progresso

di Giorgio Mascitelli

 

ChatGpt è una rivoluzionaria chatbot, ossia un tipo di programma nato per imitare le conversazioni umane, che a detta dei suoi numerosi ammiratori determinerà una svolta nella storia dell’umanità perché porterà inevitabilmente alla fine di tutte le professioni basate sulla scrittura creativa. Dev’essere proprio così perché mi è capitato di leggere una sua produzione scritta, presentata su facebook come un perfetto articolo che qualsiasi supplemento culturale di giornale avrebbe fatto a pugni per pubblicare, anche se a me è sembrato un testo del livello di un tema scolastico forzatamente generico, di quelli a cui non si può nemmeno dare il massimo dei voti perché sono sì scritti bene, senza errori, ma si capisce che l’estensore non comprende  l’argomento e si limita a ripetere anodinamente quel che ha sentito in giro. In compenso il testo era accompagnato da una serie di commenti in cui utenti ammirati e stupefatti annotavano le sbalorditive prospettive dei progressi futuri, se tale era l’inizio, insomma ce n’est qu’un début.
Mi colpisce sempre, sia detto tra parentesi, che nel nostro discorso pubblico scienza ed economia sono gli unici due ambiti in cui chi si riferisce al futuro può parlarne senza ricorrere a quelle formule cautelari e dubitative che caratterizzano le previsioni in qualsiasi altro ambito discorsivo. Ciò che sostiene viene sempre considerato certo per convenzione. Per esempio negli anni novanta si scriveva e si diceva che il progetto di mappatura del genoma umano avrebbe consentito addirittura la scoperta del segreto della vita, oltre a tutta una serie di rapidi benefici nella ricerca medica. Oggi, a programma concluso e riuscito, si può dire che esso è servito a creare un kit che si vende in farmacia per scoprire il proprio patrimonio genetico e a raccogliere una serie di dati che magari saranno utili per ricerche successive, come è sempre stato. Un tempo questi entusiasmi e queste sparate erano tipici dei profani e vedevano negli scienziati i realisti,  perché conoscitori della materia, smorzatori di quegli entusiasmi, oggi non sempre è così. Temo che dipenda dal fatto che un tempo la ricerca scientifica era prevalentemente gestita con fondi e criteri pubblici, con un certo spazio per quella di base e programmi di medio e lungo periodo; oggi il modello americano in cui si indirizzano grandi quantità di fondi su alcuni settori, che sembrano poter realizzare risultati applicativi spendibili nell’immediato, stimola una competizione più selvaggia non solo tra varie istituzioni di ricerca, ma anche tra i vari settori e autorizzare speranze e aspettative eccezionali rientra tra i metodi più efficaci di marketing.
Per tornare a ChatGpt, è probabile che tra le sue stupefacenti qualità rientri quella di trovare quella risposta alla domanda di Socrate che nel Protagora Ippocrate non riesce proprio a dare: ‘ <Ma il sofista, di quale parte del sapere è esperto?>, cosa gli risponderemmo? Qual è il suo ufficio? – Che altro diremmo Socrate, se non che è sofista chi sappia rendere gli altri abili nel parlare?-  Forse, risposi, diremmo il vero, ma non in modo adeguato; in realtà la nostra risposta richiede un’altra domanda: su quale argomento il sofista rende abili nel parlare? Il citaredo, ad esempio, rende senza dubbio abili a parlare su quello che sa, cioè intorno alle regole per suonare la cetra. Non è vero? – Sì – E va bene! Ma il sofista in cosa rende abili nel parlare? Evidentemente in ciò di cui si intende? – E’ naturale- Già, ma in cosa consiste ciò di cui il sofista è esperto egli stesso e rende istruito il suo seguace?’ ( op. cit. 312 d-e ). Allora il rivoluzionario programma calerà la sua risposta spiazzando definitivamente Socrate, eppure non potrà comprendere che la cosiddetta scrittura creativa assoluta di cui è produttore condivide i limiti della tecnica della retorica dei sofisti e che si potrebbe sintetizzare nella domanda: di cosa scrive ChatGpt quando scrive? La risposta è che non scrive di nulla, come del resto è ovvio per un pappagallo stocastico, tale infatti è il soprannome di questo genere di software, e anche per quello pennuto, se è per questo. E a cosa serve una scrittura creativa che non scrive di nulla?
L’impressione è che si tratti di una macchina per tagliare il brodo, la cui finalità è resa opaca dal fatto di essere confezionata nell’elegante cofanetto regalo chiamato Intelligenza Artificiale. Il che, suppongo, consentirà sempre a qualcuno di spiegarci che le fette di brodo sono il futuro o meglio the next thing, come recitava una pubblicità di qualche anno fa. Se invece mi sbaglio, avrà un impiego per creare testi di carattere compilatorio sempre sottoposti a un’ultima lettura di un editor umano e naturalmente per fare temi a scuola, nel caso il prof si sia dimenticato di ritirare i telefonini prima del compito.
La vicenda di ChatGpt è interessante però come esempio di ideologia corrente, visto che come tutti i prodotti IA essa ne veicola una, che  in questo caso possiamo dividere in due livelli. A un primo livello più basso, troviamo la convinzione, tipica di una certa mentalità grezzamente positivistica, che ogni discorso del linguaggio naturale, specie quelli creativi e strani degli umanisti, siano solo chiacchiere perché lontano dall’esattezza delle scienze dure e pertanto sia una sorta di flatus vocis riproducibile da un programma. Insomma il ChatGpt provvede a rinsaldare l’idea dominante, cioè  delle classi dominanti, che tutti quegli strani discorsi che chiamiamo con il nome di cultura siano assimilabili agli elaborati di un programmino e pertanto non valga la pena perderci tempo. A un secondo livello, troviamo invece un riduzionismo affetto da una concezione computazionistica del linguaggio, per cui il linguaggio è un codice replicabile dalle macchine e produce automaticamente testi. Temo che sfugga agli arditi programmatori, che la natura della comunicazione umana sia legata a un intento comunicativo, che non possa essere sostituito da processi stocastici. Infatti sul piano filogenetico il linguaggio naturale che esprime il pensiero umano nasce da quella che viene chiamata un’intenzionalità condivisa, ossia da un’attività collaborativa e da comunicazioni cooperative che preesistono alla nascita del linguaggio convenzionale. Ne segue che qualsiasi testo, scritto od orale, elaborato o frammentario, perfino quello più nonsense che si possa incontrare nelle opere dadaiste, è caratterizzato da questo intento non riproducibile da una macchina, senza il quale non c’è comunicazione ma solo parole galleggianti nel vuoto.
Forse però faccio torto alla natura utopica, qualcuno potrebbe dire distopica, di questo programma ancorandolo così brutalmente ai dati grezzi; forse veramente il suo valore risiede nel sogno di una società in cui la scrittura creativa coincida con  un’accozzaglia di frasi memorizzate e ordinate plausibilmente su un determinato argomento. Verrebbe a identificarsi così con il sogno di una società perfettamente governabile, una sorta di leggenda del grande inquisitore 4.0, che avrà sicuramente i suoi estimatori.

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2 Commenti

  1. E’ il classico mito delle scimmie che, battendo a caso i tasti della macchina da scrivere, riescono a comporre l’Eneide (o altro similare “monumento”). Purtroppo, questo fenomeno sta invadendo parecchi campi che fino a ieri erano di pertinenza della “creatività” (ad es., la musica, ridotta a un fenomeno algoritmico; oppure, con le GAN, la pittura). Non è soltanto un’affettatrice di brodo, ma una macchina di duplicazione di schemi (per un Mozart più Mozart del vero), che finiscono per essere normativi ma non riescono ad essere innovativi. La meraviglia con cui vengono accolte simili scimmiottature rammenta molto la sottile differenza che correva tra il Quijote cervantino e quello di Menard. O no? :-)

    • Condivido: l’aspetto normativo mi sembra quello essenziale e più rischioso di queste macchine. Quanto alla sua novità, mi pare che fosse il 1983 in una mostra sulla patafisica, era possibile ottenere all’uscita da un computer una sorta poesia pastiche di testi italiani medievali

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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