Da “L’ozio dei pavoni”
di Michelangelo Zizzi
Dal complesso denaturato de L’ozio dei pavoni
Figura 41
Ora che nella serie degli arrosti vi ho nominati alcuni volatili di origine esotica, mi accorgo di non avervi parlato del pavone, Pavo cristatus, che mi lasciò ricordo di carne eccellente per individui di giovane età.
Artusi
Vedete? La scena si compone di tre elementi, tra l’altro qui citati ma certamente non evidenti né facilmente accostabili, quindi frutto di un’azione di scissione; come dire: sciogliere, calcinare, fare analisi. Essi sono: un legislatore impavido e mitomanico, un muratore che mise malta ad un muro portante della casa cantoniera, un turista sfinito per fame che gironzola in Piazza Duomo e che una volta risoltosi riesce ad acchiappare un pavone randagio sfuggito da un’aia lontana, facendone dono alla nonna. Tra costoro s’insinuò il dubbio di una complicità, almeno per chi lesse le Scritture originarie, perché qui è omesso il particolare del sacrificio.
Tra detto e non detto, il fatto è costituito infine da una cenetta che svelse piume e miti dall’uccello alchemico e giunonico.
Ti sfecero in salsa di salmoriglio, e giungi come salpamentato, arroscato da le braci di nonna vecchia che riuscì dal camino col vento di zolfo sfavorevole e l’indole tipica di chi s’accontenta salso e composto del saluto cerimoniale dei parenti.
***
La carne suturata all’appiglio del vuoto
nel vano vestibolare di labbra
all’ircino odore d’ascella
quando mandre barbute puntavano l’erba
ad irti calcari abbarbicate
e un’ancella vana l’acqua ascese di fontana
con trasparenza d’olimpico occhio
e brace devota al fuoco che riappicca
per ascesa necessaria e immantinente
tutto il viso scosse e non lo sguardo
perché Silvia ora rideva nel portone disocchiuso
in fitto olfatto di scamone di ragù
che veniva pregno dall’atrio
per salvia votiva e alloro trionfale
come una creatura carnale battuta dallo scirocco
dell’aula d’impegno nella didattica d’una lezione duellante
e cedente mostrò le fila di denti non dilettante
le scolaresche attente al trillo dell’asilo
nel profondo cuore di vita d’atrio
gridavano vicine nello schiamazzo di stormo
volando in divise a scacchi
araldiche d’infanzia strepitose
ma cera o d’api o di stearina brucia bruciava
e c’era cattedrale solare qui da poco Silvia
un ascensore provvisto d’archi gotici
che saliva nell’icona di lei
nel marmo duttile del costrutto di pelle
come una figurina da sarta.
Quindi la spedizione processò la terra di molle palato
convinto l’abbraccio a fine busto
poi vennero bussando gli infanti
e sbirciavano a gruppetti piccini curiosi
per le forme inesplorate d’avventura d’insufficiente diottria
poi le suore vennero immacolate, affrettate
d’estate dalla paglia di culla d’umile riposo
come dilettantesche fila d’attrici
in sovrimpressione filmografica
oblianti il consorzio di celle
così innumeri nel campo di magnete
d’incerto sentimento
e l’altro Io disciplinava la cura
il metodo di slacciare il corsetto
e mia cugina invidiosa filmava
dell’immagine sottratta l’ombra del possibile
ma la cattedrale era radiosa nella rima palpebrale
del rosone visto d’interno.
E piovve quanto in anfratto lacustre
uno specchio scivolante svaniva
ma la pugna ristava d’amore
in piedi
in arrogante vulva
che rideva, rideva in camino di braci
come esausta, battuta brattea
che un fuso metallo estrude.
***
[Eppure aveva una lessicografia palatale ed ingenua da animale implume e stordito dalla luce d’un parto, da gallese medievale e incolta che dopo secoli si infisse nella memoria della malta che costruiva la casa cantoniera riapparendo, ogni autunno, in macchia d’umido nevralgica del Rorschach gestaltico e atmosferico.
Infine calligrammatica ispida e ancestrale giunse una seconda ancella, portatrice di un’araldica primitiva e appena abbozzata ma sufficiente a svegliare la curiosità degli ispettori, allenata sia dall’elegia che dall’utilizzo di una forma di corteggiamento meno manierata]
Il ritorno dell’assoluto, finalmente.
Grazie.
I.
geniale!
Uno dei pochissimi poeti con un’idea ancora alta e classica di poesia, quella che è stata per secoli e millenni…non lo sfogo umano ed egoico, diaristico.
«e mia cugina invidiosa filmava || dell’immagine sottratta l’ombra del possibile» è tutto ciò che il Cinema vuole e raramente può
Penso che si debba riconoscere che oltre ai Grandi poeti viventi, storicizzati (De Angelis, Calandrone, Buffoni, Magrelli, Gualtieri, etc) ci siano anche due fuoriclasse come Guida e Zizzi. Fuoriclasse intesi come non classificabili, oltre ogni categoria. Come furono Antonio Porta e Emilio Villa.
—
Grazie per il Maestro che per me sei stato.
Origlio abbacinato vuccirie da finisterre. E grumi di corpi, di visioni. “L’ombra sua torna, che era dipartita”. Grazie prèvete
Ridestarsi del rizomatico prosimetrum assopito. Annuncio, oggi come allora, di un’incipiente (o incipiata) vita nova? O pegno di nuova scrittura (“infino a tanto ch’io non potesse più degnamente trattare…”), che è anche più?
Benedizione del nome che disserra, vede, ravviva, glorifica. Dare occhio al grande, dare cuore. Oltre l’ostacolo del mondo. Magistero convenuto, raro amaro dolcissimo, astrusità per stirpi di Mammona, mercanti del temp(i)o.
Ringrazio il ritorno di questa Voce benedetta che al deserto restituisce sorgive luce e acqua, sentiero di casa. Serto di parola e visione, grimaldello che apre al compimento, grandezza dello spirito. Oltre le nebbie dense del tempo. Fiamma imperitura e viva su ciò che non muore.
Felice di ritrovare la scrittura di Michelangelo, con la sua elettricità alchemica e una phonè oracolare che qui celebra un’inaspettata eucaristia del bello.
Un’opera intensa e visionaria: Zizzi fonde ironia, sacralità e sensualità in versi che sorprendono e interrogano. Poesia viva, necessaria.
Da sempre sostengo che Poesia sia un continuo e minuzioso lavoro sulla parola. Michelangelo Zizzi dimostra ancora una volta di esserne maestro.