Prove d’ascolto #17 – Vincenzo Ostuni

(Opportune premesse)

(«Si fa prima, si fa, a ricominciare, prendendo fiato, fiato, fiato, fiato,
fiato, si fa prima a ricominciare che a continuare, che a finire, che a continuare,
un testo, un giorno, un giro, un gioco, un verso, un mondo – un testo, un testo,

si fa prima a cominciare ogni volta tutto quanto daccapo, tutto tutto
quanto, si fa, si fa prima e si fa meglio, si fa;

si fa per prima cosa come un salto indietro e si comincia come se non avesse senso nulla
se non ricominciare
daccapo, tutto tutto,
chiudendo gli occhi
prendendo la rincorsa, spiccando il salto il volo aprendo la fossa, poggiando il piede;

si vibra si dà in pianto, si scocca, ci si avvicina o tocca, si suona
una nota, si aprono le parentesi e le virgolette,
si bacia terra, si salpa, si spara, si punta tutta la posta girando»; così ti dico).

 

 

 

 

(Opportune premesse)

(«Va bene: allora prendiamo questo movimento delle dita come reticolo semicasuale di riferimento; prendiamo quel che della scrittura,
di questa posizione fattuale, è l’aspetto presegnico, e dunque non solo indicibile
ma precedente il duopolio di detto e non detto;
prendiamo i colori qui intorno, lo spazio, i seghetti del tempo,
la luce, il rumore di pioggia, il senso che la schiena e il bacino e le mani
facciano angoli insani, prendiamo le ripetizioni incessanti, la limitate combinazioni dei semi.

Invece di ripartire, osserviamo
che è questo, piuttosto, da dietro il segno del via:
verifichiamone le condizioni»).

 

 

 

 

(Opportune premesse)

(«Ma davvero qualcuno qui ha pensato che avessimo da dire qualcosa di relativamente originale, di compiuto persino, qualcosa che non avesse
nulla da spartire con il fatto banale che a dirla è chi la dice,
perché non ha peggio, da fare?

Ché in tutti i casi c’è ben poco da dire», ci fai,
«secondo un paio di forme della sensibilità, una dozzina di concetti di specie»).

(«Davvero qualcuno pensava», continui, «che si trattasse
di varietà interminabile, che il contenuto contasse, se invece
quel che le forme racchiudono è impuro per definizione, e si può tollerare
se e solo se è inevitabile
ed è inevitabile se riguarda poche, pochissime sagome elementari, focali, di panno, di ferro, un numero esiguo
di partenogeniche madri-sostitute – due, dodici –

manipoli di piccole madri danzanti bianchissime, carissime
che non elargiscono, non chiedono niente?»)

(«E il terremoto, allora, caro il mio sempliciotto, di che cosa è figura?», concludi).

 

 

 

(Opportune premesse)

(«Non ha forma il giudizio prima dello stesso giudizio: così affermi mentre affermi il contrario», ti dico; «non ha forma la forma
prima di contenere i suoi dati, dunque; né i suoi dati hanno alcuna esistenza
prima che l’esistenza si torca su sé come il dato di un dato,
prima che l’udito l’olfatto il ricordo si insinuino come larve autoteliche nei rovelli del cosmo –
dove presenze deformi insistono formando
la cosa.

Non ha giudizio il giudizio prima che la storia lo sprema come un foruncolo, come forma retrograda da una fucina sprovvista di forme;
ché se il giudizio avesse alle spalle un altro giudizio che gli renda la forma
sarebbe esso stesso una forma imprendibile, troppo veloce,
come di fiamma o di scia, non qualcosa che tenga assieme qualcosa:

e il giudizio è la polpa del mondo, il duro dell’uomo:
non è, non può essere, questo poco che si arresta nel freddo, lo vedi,
questo niente che al primo calore svanisce nel palmo»).

 

 

 

 

(Opportune premesse)

(«Questo è qui, ed è accanto a quello, e quello all’altro; questo sta dietro, invece, e dietro ancora tace una cortina interminata; il Frecciarossa
simula in un senso ciò che vale in ogni direzione,
proietta sul terreno sconosciuto l’organigramma del nostro ponfo endogeno, la pura psoriasi
universale, la non accertabile infezione»).

(«Non c’entrano nulla, dici, vista, tatto, olfatto; ma dicendo, induci appunto l’opposto sospetto:
che esistano cioè e che siano validi
lo spazio dei colori, dei sapori, il tempo cieco delle cinestesie»).

(«Conoscere è essersi ammalati»).

 

 

 

(Opportune premesse)

(«Ogni cosa sta dopo un’altra o prima, o fa per stare, o sta per starci o andarci; ogni fenomeno ha questo disgraziato dovere, o dovremmo dire
piacere persino,
di porsi rispetto agli altri come non potesse diversamente, come con l’intenzione – che ai fenomeni non spetta – di collocarsi sopra sotto prima dopo gli altri;

non c’è un fenomeno che dica: “Io sono” e basta; non c’è fenomeno che pretenda il suo assoluto, i fenomeni nutrono
tutti in fondo a sé pretese miti, non hanno narcisisimo, autotelìa;
accettano di buon grado, docilmente, la relazionalità caratteristica, non hanno
cattiveria, non hanno attivazione perentoria»).

(«Dunque non è fenomeno la Storia»).

 

 

 

 

(Opportune premesse)

(«Non è quel che decidiamo di essere ma quello che siamo; in tutti i modi e nel fuoco preciso della più ristretta coscienza non sappiamo resistere»,
dici: «questa produzione è una forma modificata o secondaria di metafisica,
non c’è lingua che la impedisca o l’attenui, non potremmo esentarcene
come del resto non potremmo non provare a esentarcene, è il concetto di “potere” a non trovare qui applicazione;

perché questa forma di
produzione sviluppa/coincide con la condizione della conoscenza;
eppure la falsifica, eppure la genera, eppure le contrazioni di cinquantotto piccoli
muscoli riproducono stimoli, rispondono a modelli di cui nessuno ha ancora individuato la cifra –

nonostante si sappia che è
semplice»).

 

 

*

 

 

 

40 opportune premesse a Opportune premesse di Vincenzo Ostuni

di Giulio Marzaioli

 

 

  1. Opportune premesse sono: fiato
  2. Opportune premesse sono: fiato
  3. Opportune premesse sono: fiato
  4. Opportune premesse sono: fiato
  5. Opportune premesse sono: un giorno
  6. Opportune premesse sono: un giro
  7. Opportune premesse sono: un gioco
  8. Opportune premesse sono: un verso
  9. Opportune premesse sono: un mondo
  10. Opportune premesse sono: un testo
  11. Opportune premesse sono: un testo
  12. Opportune premesse sono: un salto indietro
  13. Opportune premesse sono: il movimento delle dita
  14. Opportune premesse sono: i colori qui intorno
  15. Opportune premesse sono: lo spazio
  16. Opportune premesse sono: i seghetti del tempo
  17. Opportune premesse sono: la luce
  18. Opportune premesse sono: il rumore di pioggia
  19. Opportune premesse sono: gli angoli insani della schiena
  20. Opportune premesse sono: gli angoli insani del bacino
  21. Opportune premesse sono: gli angoli insani delle mani
  22. Opportune premesse sono: le ripetizioni incessanti
  23. Opportune premesse sono: le limitate combinazioni dei semi
  24. Opportune premesse sono: il fatto banale
  25. Opportune premesse sono: le forme della sensibilità
  26. Opportune premesse sono: i concetti di specie
  27. Opportune premesse sono: le sagome elementari
  28. Opportune premesse sono: le sagome focali
  29. Opportune premesse sono: le sagome di panno
  30. Opportune premesse sono: le sagome di ferro
  31. Opportune premesse sono: partenogeniche madri-sostitute
  32. Opportune premesse sono: piccole madri danzanti
  33. Opportune premesse sono: il giudizio
  34. Opportune premesse sono: la forma
  35. Opportune premesse sono: non il giudizio prima
  36. Opportune premesse sono: non la forma prima
  37. Opportune premesse sono: lo spazio dei colori
  38. Opportune premesse sono: lo spazio dei sapori
  39. Opportune premesse sono: il tempo cieco delle cinestesie
  40. Opportune premesse sono: il prima e il dopo

 

 

Nota: tutte le opportune premesse sono tratte da Opportune premesse, di Vincenzo Ostuni

 

 

*

 

Prove d’ascolto è un progetto di Simona Menicocci e Fabio Teti 

 

 

1 commento

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Pietro Polverini, La nostra villeggiatura celeste

È appena uscito, a cura di Francesco Ottonello, La nostra villeggiatura celeste. Dieci anni di poesia di Pietro Polverini (2012–2021), per Interlinea, nella collana LyraGiovani diretta da Franco Buffoni. Domani pomeriggio, 30 novembre, ci ritroveremo, con il curatore, Simone Ruggieri, Edoardo Manuel Salvioni, Virgilio Gobbi Garbuglia...

Una cantada

Di David Eloy Rodríguez, José María Gómez Valero, Alberto Masala e Lorenzo Mari.
Una cantada nasce come dialogo tra le forme della poesia e della musica popolare dell’Andalusia, della Sardegna e dell’Emilia-Romagna che – evitando una riproposizione puramente conservativa della tradizione o una velleitaria “andata al popolo” – ne evidenzi il portato critico e politico.

Spritz et circenses

di Paola Ivaldi
Dannati noi siamo abitanti di città
della notte abbiamo perduto le stelle
i cieli vuoti come fondali minimali
di miseri allestimenti teatrali.
Per sempre smarrite sorelle,
forse loro stanno a guardare
gran spettacolo, ora, essendo noi,
noi essendo, ora, quelli che cadono.

Un utile Decalogo per la Scuola del Pluralismo e della Libertà

Di Gian Nicola Belgire
Giunge dal Ministro, come rinfrescante toccasana, la nota 5836 del 7 novembre 2025 che invita gli istituti a garantire nei loro eventi la presenza di «ospiti ed esperti di specifica competenza e autorevolezza», per permettere il «libero confronto di posizioni diverse». Come possono i docenti italiani, fin qui dimostratisi inadeguati, far fronte? Viene in soccorso un agile vademecum, che qui mostriamo in anteprima:

Lackawanna (e altri fantasmi)

Di Isabella Livorni

beatatté che tieni un corpo giovane e forte
e fai tutto ciò che la testa ti dice di fare.
noi teniamo i pollici storpi e cioppi, le ossa fraciche
[...]
rintaniamo. ci strascichiamo.
dinanzi alla pietra impara.

Ox e Mandarin ‖ un rorschach

Di Milla van der Have, traduzione di Laura di Corcia

danzano piano fino al mattino
la musica come un tenero bozzolo
rotolando al centro della loro gravità

non si sono incontrati

ma si tengono stretti
renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: