Questo articolo, in versione ridotta, è stato pubblicato ieri sul manifesto.
Le foto sono di Jean Segura e Alhil Villalba.

Sciopero Sncf del 12 maggio. Manifestazione a Parigi, Montparnasse.
di Jamila Mascat
Una lotta, per natura, non è un torneo amatoriale che possa concludersi per i contendenti con la soddisfazione di aver partecipato. Ancora meno nel caso della – tanto entusiasmante quanto estenuante – mobilitazione contro la Loi el Khomri che ha visto da quattro mesi a questa parte centinaia di migliaia di studenti, lavoratori, intermittenti e precari francesi dispiegare una quantità eccezionale di energie fisiche e morali per resistere alle pressioni, e soprattutto alla repressione, del governo Valls.
L’ultima grande giornata di sciopero nazionale interprofessionale, indetta dai sindacati tuttora contestatari lo scorso 14 giugno, è stata una sintesi paradigmatica, per quantità e qualità, dell’onda lunga di questo movimento. Un milione e 300mila persone in marcia in tutta la Francia secondo gli organizzatori, spezzoni compatti e rumorosi dei lavoratori che in queste settimane hanno riabitutato il paese al gusto un po’ retro della lotta di classe (uno per tutti quello dei portuali di Le Havre, a Parigi, che ha respinto le cariche dei celerini), centinaia di giovani fantasisti in testa alla parata parigina che dribblavano come potevano le granate scagliate dalla polizia, 1500 lacrimogeni lanciati solo nella capitale secondo Libération, centinaia di feriti da percosse e esplosioni (di cui uno molto grave la cui nuca bucata ha fatto tristemente il giro del web) stando alle stime di Streetmedics, le squadre mobili di volontari addetti al primo soccorso dei manifestanti. E ancora cortei non autorizzati e incendiari in serata tra République e Belleville e a fine giornata un bilancio di oltre 70 fermi.
Anche se questo appuntamento non è l’ultimo – sono già previste due nuove date di sciopero per il 23 e il 28 – la sensazione è che il braccio di ferro contro il governo, visibilmente determinato a non fare marcia indietro, abbia raggiunto una fase di stallo. L’incontro tra la ministra del lavoro El Khomri e il segretario nazionale della CGT Philippe Martinez, il 17 giugno, non lascia sperare niente di buono, mentre prosegue l’iter di discussione della legge in senato.
La ronda delle lotte

Sciopero Sncf del 12 maggio. Manifestazione a Parigi, Montparnasse.

Finora la ginnastica del movimento è stata sufficientemente agile per dare continuità alla staffetta delle lotte. Da marzo gli studenti hanno aperto le danze cominciando a perturbare le piazze, per conto proprio o a fianco dei sindacati ancora in sordina, da aprile la Nuit debout ha occupato la Place de la république sfidando quotidianamente le restrizioni inposte dallo stato di emergenza prolungato fino all’estate; a maggio è iniziata la ronda degli scioperi, quelli veri, all’appello di CGT, Force Ouvrière e Solidaires.
Da metà del mese scorso sette raffinerie su otto sono rimaste paralizzate o quasi per circa tre settimane lasciando a secco il 20 per cento delle pompe di benzina. Nei terminal petroliferi di Fos-sur-Mer e Lavéra, nel porto di Marsiglia, gli scioperi hanno impedito il carico e scarico di 25 gassiere. Il porto atlantico di Saint Nazaire, altro snodo fondamentale del traffico energetico, è rimasto chiuso per giorni.
Le centrali nucleari hanno ridotto la produzione di energia, e i conduttori ferrioviari rallentato la circolazione dei treni, rischiando di essere richiamati in servizio su Parigi e dintorni per il debutto degli Europei. E sempre per inaugurare l’inizio del camapionato, dai primi di giugno i netturbini municipali degli inceneritori e dei depositi di rifiuti di Ivry-sur-Seine e Saint-Ouen hanno incrociato le braccia, costringendo la sindaca della capitale, Anne Hidalgo, a trovare soluzioni di emergenza per rimuovere i cumuli di rifiuti ammassati nella metà degli arrondissments della città.
Eloquenti le reazioni dall’altra parte della barricata, mentre secondo i sondaggi il 62% dei francesi avrebbe espresso la propria solidarietà al movimento (e i risultati di una consultazione cittadina sulla Loi Travail organizzata dall’intersindacale, e ancora in corso, verranno consegnati alle prefetture e alla presidenza della Repubblica il 28 giugno). Il gruppo Total ha minacciato di ritirare i propri investimenti dal suolo nazionale (le perdite per la compagnia durante le tre settimane di inattività delle raffinerie sono state stimate a 130 milioni di euro); Pierre Gattaz, il presidente di Confindustria ha dato dei “terroristi” ai dirigenti della Cgt, El Khomri ha accusato duramente i lavoratori di aver “preso in ostaggio” il popolo francese, e Valls ha definito “inaccettabile” il tentativo dei sindacati di “bloccare il paese” e “colpirne gli interessi economici”.
L’ opposizione ha invocato la requisizione delle raffinerie, come aveva fatto Sarkozy nel 2010 per dare un taglio al movimento contro la riforma delle pensioni (operazione peraltro poi contestata dall’ILO secondo cui “le motivazioni economiche non possono essere evocate per giustificare le restrizioni del diritto di sciopero”). Il governo, invece, si è contentato di una strategia offensiva di manomissione.
Le intimidazioni verbali (l’ultima, dopo il 14 giugno, la minaccia di Hollande di vietare alla CGT di manifestare per ragioni di ordine pubblico) non sono state le uniche repliche. Ovunque i lavoratori in sciopero sono stati confrontati sul campo alle pressioni delle direzioni aziendali e agli interventi marziali delle forze dell’ordine. A Fos-sur-Mer, Lavéra, Donges, Lorient, Brest, Rennes, Douchy-les-mines, la polizia ha evacuato i picchetti che bloccavano da giorni l’accesso ai depositi petroliferi. E nel deposito SIM di Gonfreville-l’Orcher in Normandia, il terzo più grande d’Europa, la prefetta del dipartimento di Seine-Maritime ha autorizzato il ricorso al personale in servizio non qualificato per far ripartire i rifornimenti di kerosene verso gli aeroporti parigini.
Fare scintille
Sciopero Sncf del 12 maggio. Manifestazione a Parigi, Montparnasse.
Fuor di metafora, i lavoratori hanno fatto fuoco e fiamme, e a volte scintille. Davanti alle raffinerie per giorni hanno incendiato i pnemautici per tenere in vita i picchetti. A Valenciennes, il 29 maggio, l’unione dipartimentale della Cgt, insieme ai collettivi antifascisti locali, ha improvvisato uno spettacolo pirotecnico davanti alla prigione di Sequedin, dove era stato incarcerato preventivamente Antoine, un giovane militante sindacale, accusato di resistenza a pubblico ufficiale durante una manifestazione a Lille, e ora, dopo il processo, condannato insensatamente a 10 mesi di reclusione. Nel settore dell’energia i dipendenti di Edf e Enedis hanno rilanciato l’operazione “Robin Hood” già inaugurata nel 2004 all’epoca della protesta contro le privatizzazioni. Così, hackerando gli impianti elettrici hanno ridotto temporaneamente le tariffe di consumo per centinaia di migliaia di utenti delle banlieue di Parigi. Per divertirsi hanno interrotto la corrente nella residenza di Gattaz a Saint-Raphaël , e nel municipio di Tulle, in Corrèze, feudo elettorale di François Hollande.
In sostegno ai grévistes le iniziative di solidarietà sono state numerose. La campagna finanziaria lanciata dalla Ctg Info-Com ha raccolto finora oltre 450mila euro. Nei giorni scorsi è iniziata la distribuzione degli assegni di sostegno ai comitati di sciopero che vanno avanti da settimane. Il comitato dei ferrovieri della Gare d’Austerlitz, uno dei più combattivi su Parigi, mobilitato da circa un mese, ha ricevuto 20mila euro. Molti degli cheminots non sono affiliati a nessuna organizzazione sindacale e non nutrono alcuna simpatia nei confronti della CGT. Come altri militanti della base del sindacato, temono che la direzione finisca per accettare di firmare il decreto che prevede la riforma statutaria della Sncf, una Loi Travail versione ferrovie dello stato. 20 mila euro sono stati incassati anche dal comitato dei netturbini di Ivry-sur-Seine, nell’ultimo periodo i principali protagonisti delle perturbazioni nella capitale. Le montagne di rifiuti intassate sui marciapiedi parigini, insieme al panico da penuria di carburante nelle stazioni di servizio francesi, hanno efficacemente imposto agli occhi di tutti lo spettacolo del lavoro e dei lavoratori invisibili nella lotta contro il capitale e il suo governo.
Ora è iniziato il conto alla rovescia e le chances di ottenere il ritiro della Loi Travail potrebbero sfumare. Eppure le piazze ancora fumano, e non solo per colpa dei lacrimogeni, e la rabbia generosa e solidale che questa stagione di lotte ha inaugurato sicuramente non andrà in fumo.
Il n’y a pas de bon gaullisme

Sciopero nazionale, 14 giugno. Dopo il corteo, a Parigi, Esplanade des Invalides.
“Ce l’abbiamo messa tutta”, dice Eric Sellini, della CGT Total, “e in ogni caso non finirà qui”. Qualsiasi cosa decida la confederazione sindacale rispetto alle trattative con il governo, infatti, la mobilitazione contro la Loi el Khomri ha conquistato sul terreno della lotta – per la varietà delle forme sperimentate, dalle più classiche alle più inventive – una serie di risultati destinati a durare. Per primo il battesimo o, a seconda dei casi, il ritorno di una pratica del conflitto che ha scosso dal torpore una generazione militante e ne ha iniziata un’altra.
Poi la frattura definitivamente consumata tra il Partito socialista e il popolo della gauche che finirà inevitabilmente per ripercuotersi sulle prossime elezioni presidenziali: in quanti contro lo spauracchio del Front National e dell’estrema destra saranno ancora disposti ad appoggiare la sinistra destra dei socialisti? Non solo tout le monde déteste la police, ma ora, meglio tardi che mai, tout le monde déteste le PS. Infine di fronte all’offensiva di una repressione sistematica che ha colpito indistintamente tutti (studenti e sindacalisti, giovani e lavoratori di ogni sorta), la lotta di classe è stata costretta a cimentarsi giorno dopo giorno con le ingiustizie della giustizia di classe, mostrando che non c’è guerra contro la macchina capitalista che possa esimersi dal misurarsi con la violenza dei suoi apparati. Quella violenza, insaziabile, arrogante e volgare, ha fatto irruzione sulla scena senza veli.
In un intervento presentato nel 1968 al Comité de lutte contre la répression alla Mutualité di Parigi, Sartre diceva che la repressione a volto scoperto non è altro che una manifestazione ufficiale della guerra permanente che il sistema combatte contro i lavoratori. Che si tratti di sfruttamento o manganelli, la matrice è la stessa. Per questo, per la nudità a cui espone il comando, la repressione rappresenta un “momento di verità”. Il testo, poi pubblicato dal Nouvel Observateur, è intitolato « Il n’y a pas de bon gaullisme ». In questo stesso senso la Loi travail ha impartito una lezione che nei mesi a venire tutti saranno costretti a ricordare: non solo che, parafrasando, non può esserci un buon capitalismo, ma anche che non può esistere una sinistra capitalista di governo che si comporti diversamente da come si sta comportando in Francia.

Sciopero nazionale, 14 giugno. Dopo il corteo, a Parigi, Esplanade des Invalides.










[tre estratti da
Il giorno in cui la guerra dilaniò Isola cominciò con un sole tremolante e notizie di buona pesca che si spargevano velocemente lungo l’unica via del paese. La notte, sopra Castiglione, era stata tutto un circo di bengala e di bombe, aerei scuri nell’oscurità che sputavano fiamme di luce e d’esplosivo, facevano tremare i cristiani e spingevano i pesci nelle reti. Le barche erano partite poco prima che il cielo cominciasse a prender fuoco, e avevano assistito allo spettacolo ferme d’impotenza in mezzo al lago. Un’ora prima dell’alba era finito tutto, e i pescatori tiravano a bordo i carichi di persicaccio, e quando fecero ritorno già dimenticavano il bombardamento cantando le loro canzoni. Le donne lavavano i pavimenti e preparavano le zuppe del pranzo, quelle con meno bocche da sfamare avevano già sbrigato gli affari di casa e s’erano messe ai ferri, qualcuna sulla strada, qualcuna alla finestra. Nella piazza ancora non riecheggiava il fischio di Ercolino, il calzolaio, che da quando aveva smesso di pescare, mezza vita prima, aveva preso a svegliarsi, diceva lui, a un’ora da signore. Era silenzio, quindi, perché i pescatori risparmiarono presto il fiato per sistemare il pesce e portarlo alla cooperativa. Chi rimaneva si dedicava alle reti, le ripuliva e le stendeva al sole e cercava le falle e i nodi più allentati, mentre i gatti s’avvicinavano invocando gli avanzi mozzati della pescata. Quanto era accaduto il giorno precedente, e quanto era accaduto due notti prima, sembravano dimenticati, o ignorati senza sforzo. Quella era la normalità, o almeno la normalità della guerra, perché il pesce si vendeva meno e peggio, e la fatica di vivere si faceva sempre più sentire.

Lo scorso marzo è successo un piccolo commovente evento. Un evento nel senso pieno della parola, non in quello che è usato comunemente oggi per indicare un appuntamento spettacolare. Un evento che è stato incontro, comunione, soffio di speranza, gioioso scambio e, da parte mia, un sincero inaspettato pianto. Detta così, lo so, può sembrare una cosuccia un tantino retorica. Ma lasciatemi essere sentimentale, per una volta. Antefatto: in dicembre ero a Seneghe, un paesino dell’oristanese, a mio vedere luogo misteriosissimo e per questo amato, dove da dodici anni si svolge un festival dedicato ai poeti: Cabudanne de sos poetas (settembre dei poeti). In questo festival per varie ragioni sono stata coinvolta più volte, è stato questo festival a farmi credere nelle potenzialità effettive di una comunità che si appassiona alla poesia, e da lì ho imparato molte cose che ho sempre cercato poi di portare con me ‘in continente’. La fiducia nel fatto che si debba fare quello che si crede importante, o anche solo bello, e che questo fatto, di avere fiducia, basti a far sì che le cose accadano poi davvero.


(due giorni fa sul Corriere della Sera ho risposto ad 




