
di Laura Barile
Il bel libretto di Antonio Prete All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione (Bollati Boringhieri, 2011) apre con una verità paradossale di assoluta evidenza: che il traduttore sottrae all’altro, al testo originale, ciò che gli è più proprio. E cioè il tono, il colore, la musica delle sillabe: in una parola, la lingua.
Quella del traduttore è dunque una scommessa straordinaria: restituire in un’altra lingua, che è la propria, la prima voce, che scompare e all’ombra della quale si traduce. Trovare altri suoni, lemmi, metafore, rime e allitterazioni, sì da ricostruire in altri modi l’armonia e dolcezza dell’originale. Perché, come dice Dante nel Convivio, “nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della sua loquela in altra trasmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia.”










