di Giacomo Sartori
Il mio ultimo romanzo è andato benissimo: nessuno l’ha comprato, nessuno l’ha recensito, nessuno ne ha parlato. Nessuno mi ha invitato a discuterne da qualche parte, nessuno mi ha cooptato a un qualche festival letterario. Nemmeno a uno piccoletto, in uno di quei villaggi abbioccati dove gli scrittori locali inscenano scialbe ruotine di provincia (anche ai festival preclari gli scrittori fanno la ruota, ma è una ruota celebre e rifulgente), nemmeno quando il tema prescelto era giustappunto quello del romanzo. A me piace fare le cose bene, adoro la purezza. Prima purtroppo qualche derelitto dei miei romanzi ne parlava (nelle catacombe dei blog, su qualche confidenziale periodico cartaceo), il che un po’ mi rattristava. Adesso invece ho fatto enormi progressi: finalmente attorno ai miei testi il silenzio è puro e grandioso. Le cose vanno fatte bene: ci vuole un’inossidabile professionalità, molta dedizione. E naturalmente tanto talento, perché senza quello non si fa nulla. Prima di tutto bisogna saper scegliere il momento. Se per esempio sulle pagine cosiddette culturali dei quotidiani frotte di boriosi critici deprecano la marea di noir che converge sui banchi dei librai, quello è il momento ottimale per mettere in cantiere un noir.












