di Andrea Bottalico
Le parole di Peppino ostentano una calma tradita a tratti dalla collera. Un vago sentimento di orgoglio attraversa il suo volto mentre divaga sui vecchi ricordi, ma cerca di reprimerlo guardando fuori alla finestra, al di là della banchina desolata. Ai suoi occhi non c’è niente di più affascinante della costruzione di una nave. I nonni erano maestri d’ascia e suo padre era fabbro artigiano, artefice dei brevetti tutt’ora presenti sul veliero Amerigo Vespucci, come i maniglioni, i ganci a scotta, l’apparato veliero. Peppino è stato il penultimo della sua famiglia a entrare nei cantieri navali. Adesso ci lavora uno dei suoi figli.
Il tempo in cui il cantiere navale di Castellammare era portato avanti da maestranze e galeotti è un’immagine sfocata nella memoria, eppure i vecchi operai ricordano ancora alcuni aneddoti del recente passato, non dimenticano certi episodi indelebili, come quella volta in cui Mussolini venne in città per visitare il cantiere e restò impietrito dal silenzio assordante colmo di disprezzo delle maestranze schierate ai lati lungo il suo percorso.













