di Francesca Matteoni
Scrivere, oppure far dritti i muri delle case, del luogo che si abita, perché sia uno spazio il più possibile a nostra misura, dare una direzione alle idee sghembe, come un impasto che si solidifica, talvolta si fa pure sasso che si scaglia contro i vetri, apre brecce per respirare. La meravigliosa utilità del filo a piombo di Paolo Nori (Marcos y Marcos, 2011) è un libro di discorsi, scritti e “parlati”, nei luoghi più vari, dal sedile di un treno alla propria casa sommersa nel brusio delle seghe elettriche degli operai al lavoro all’esterno, ad un appartamento romano a cui suonano visitatori imprevisti (un po’ come l’uomo di Porlock per il Coleridge del Kubla Khan, con la differenza che qui il disturbatore diventa parte integrante del processo di scrittura e non causa di smarrimento, perdita dell’ispirazione), alla voce interna dove affiorano le parole, sfogliando e acquistando libri da una bancarella, o cercando il giusto paio di calzoni, “braghe” in cui stare a proprio agio, con tutto il tempo per le molteplici distrazioni/rivelazioni che nutrono il lavoro letterario.












