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Il silenzio complice

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di Evelina Santangelo

«Il silenzio è complice»; «la mafia pratica l’isolamento come una precisa strategia di indebolimento di chi la vuole contrastare»; «la mafia è una subcultura che si può sconfiggere solo con una presa di coscienza culturale collettiva, una mobilitazione sociale e civile».

Molti della nostra generazione (al sud, almeno)  sono cresciuti con questi insegnamenti, se ne sono nutriti, ne hanno fatto parte integrante della propria identità, li hanno sentiti deflagrare in rabbia e frustrazione dopo le bombe delle stragi del ’92.

Tiger, tiger, burning bright

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di Chiara Valerio

(…)per il singolo lutto, per la persona a cui è stato ucciso un figlio, un padre, un amore, un amico, ognuno di questi ritorni è un colpo al cuore, un insuperabile sconcerto, la necessità di torcere la cornea perché non metta a fuoco; di quel tanto che lo scarto nei contorni e nei lineamenti lasci irriconoscibile nel corpo violato quello che ci somiglia. Accanto alla tigre (Fandango, 2010) di Lorenzo Pavolini racconta la storia di Alessandro Pavolini, intellettuale di feroce e definitivo credo fascista, ministro della cultura, scrittore, giornalista, innamorato di una donna e di un colore, appeso a testa in giù, come ogni apostolo che si rispetti, a Dongo il 28 aprile 1945. Accanto alla tigre di Lorenzo Pavolini racconta altrettanto la storia di Lorenzo Pavolini, intellettuale, scrittore, che, prima di qualsiasi definizione del sé, in un giorno qualsiasi di scuola, legge il proprio cognome sotto il corpo di un che pencola da una forca sotto la quale si intravede una folla urlante.

Scaffali nascosti (9) – Il Maestrale

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«Scaffali nascosti», senza pretese di completezza, vuole disegnare una mappa dell’editoria indipendente dei nostri tempi. Medio-piccoli, piccoli, piccolissimi editori, spesso periferici, con idee e progetti ben precisi, che timidamente emergono, o forse emergeranno, o si spera che emergano, fra gli scaffali delle librerie. A cura di Andrea Gentile (andreagentilenazione_at_libero.it).

di Andrea Gentile

Alcuni librai di provincia sembrano usciti da romanzi inverosimili. C’è quello che vende il libricino di poesie del ragazzetto del paese accanto al bestseller, quello che si ricorda del libro che ha lì su, nel trentesimo piano dello scaffale, e che ha la scala a portata di mano. E quello che è attento e che registra le richieste dei clienti.
A Nuoro – centro nord della Sardegna, lì dove nacquero Grazia Deledda e Salvatore Satta – c’è la libreria Novecento. Ogni tanto qualcuno entra e chiede un libro che in libreria non c’è. È fuori catalogo. I librai si guardano negli occhi e si capiscono.
Nascono così le edizioni Il Maestrale, nome coniato probabilmente in onore al vento che accarezza tutto l’anno i nuoresi. Siamo nel 1992.

Da “L’attimo dopo” di Massimo Gezzi

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di Massimo Gezzi

Gelsi

Hai fatto questo semplice gesto con la mano:
l’hai sollevata fino al volto,
l’hai tesa verso il mio finestrino,
mentre guidavo: ho guardato,
e contro la luce caliginosa
della mattina li ho contati,
otto, otto gelsi a chioma aperta
come la coda di un pavone imbalsamato,
in processione lungo la linea
del nostro sguardo, così perfetti
che per un attimo ho scordato
orari coincidenze
e ho rallentato per capire
come mai di otto alberi in fila si possa dire
“guarda che belli!”, come hai detto,
se loro non decidono di esserlo e tutto
è un avvicendamento senza senso,
o se basta un movimento della mano
e un sorriso per fare di otto alberi
in riga un’illusione di riscatto.

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Maîtresmorphoses

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Lettera aperta
di
Roberto Saviano

Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di “supporto promozionale alle cosche”. Non sono accuse nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d’Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt’ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire.
è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un’espressione ancor prima di divenire il nome di un’organizzazione.
Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?

PorcaMinchiaButtanazza

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[eccovi il primo capitolo di un bel libro di un autore che, in un certo senso, è nato proprio su queste pagine virtuali. Il romanzo si intitola L’invenzione di Palermo, Giulio Perrone editore. G.B.]

di Giuseppe Rizzo

PiEmmeBi. Oppure: PmB. Insomma: Porcaminchiabuttanazza. Pensavo che questa si sarebbe venduta come niente. Semplice veloce leggera. Non come le solite maleparole schife che si sentono ancora oggi a Palermo. I palermitani non ci sanno fare con le parolazze. Non le sanno dire. E non le sanno inventare. Prendiamo per esempio arruso. A meno che uno non passi il tempo a leccare più libri che gelati, non arriverà mai a scoprire che arruso sta per finocchio. (A me, per dire, piacerebbe di più che li si chiamasse popòsessuali, ma quella è questione di gusti). Che porcaminchiabuttanazza di parola è arruso? E negghia? E puippu? E metello? Nah, non servono, non arrivano, non si capiscono. Sono, beh, ecco, sono false. Vengono dalla pancia, come i rutti, e io non ho mai sentito dire a qualcuno: signori, è arrivato il momento che io vi dica la verità: e giù rutti, ehr, ehr, ehr.
Comunque.
Porcaminchiabuttanazza mi uscì fuori quando papà arrivò a casa con la notizia che mamma non sarebbe più tornata. Se n’è partì, disse.
Eravamo seduti in cucina, piegati sul braciere per acchiappare un po’ di calura. Erano le sei, e dicembre aveva già colorato il cielo di nero. Restava attaccata a qualche nuvolone grigio la minaccia di una nevicata. Aspettavamo che mamma tornasse da lavoro per mangiare e ficcarci sotto le coperte. Teresina era piuttosto impaziente:
«Ci porterà qualcosa?»

Ai no corrida!

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Nel quadro della rassegna letteraria “GIULIO PASSAMI IL LIBRO: “I NIDI PENDENTI”. La prima serata è dedicata a Loredana Raciti e Stefano Malatesta ( seguono i due testi) lunedì 19 Aprile 210 ore 21:00 presso il locale “Giulio Passami l’Olio” – Via di Monte Giordano, 28 – ROMA. Gli altri appuntamenti verranno via via comunicati. I testi saranno in seguito pubblicati in una edizione speciale a cura dello studio Oblique per le edizioni Infinite Soluzioni.
Scrittori partecipanti : Teresa De Sio, Roberto Donatelli, Carmine Vitale, Andrea Inglese, Francesco Forlani, Sonia Topazio, Alexandra Petrova, Stefano Malatesta, Loredana Raciti, Marco Fabio Apolloni, Paolo Piccirillo, Michele Sovente, Luigia Sorrentino, Stefano Gallerani, Gualtiero Rosella
Letture a cura di: Simone Caparrini, Lia Zinno, Nicola Pistoia, Daniela Scarlatti, Sonia Topazio, Marina Giulia Cavalli
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Estratti -in due tempi
di
Loredana Raciti
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Un Bicchiere dopo il funerale
di
Stefano Malatesta

sembra una cosa innocua

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di Flavia Piccinni

Non sai che cosa significhi pressione
finché non giochi cinque dollari
e ne hai in tasca solo due.

Lee Trevino

“Hai capito? Ho vinto mille euro così. Con il gratta e vinci. All’inizio pensavo fossero solo cinquecento. Poi ho visto meglio ed erano mille. Mille euro” mi dice Liliana, gesticolando furiosamente. Ha dell’ombretto azzurro sulle palpebre, lo stesso colore delle pupille dilatate dall’eccitazione.

Annuisco, faccio finta di essere interessata; non mi va di deluderla. Apro il barattolo dello zucchero. Lei mi porge un cucchiaino. Penso a quel tizio che tanti anni fa aveva vinto al Superenalotto e poi era stato spolpato vivo dai malavitosi; mi domando se sia veramente mai esistito. Liliana non accenna a cambiare discorso né tono, si è improvvisamente risvegliata dal torpore in cui l’anoressia la costringe da anni.

“Il mese scorso mio marito ne ha vinti duemila. Duemila, mica mille” sorride eccitata. “Due per mille” ripete spalancando le mani scheletriche e muovendole avanti, indietro.

Annuisco ancora, sempre meno convinta.

La responsabilità dell’autore: Laura Pugno

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Gianni CelatiMarcello Fois, ecco le risposte di Laura Pugno.]

1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Non mi sembra che il problema sia la vitalità delle opere di narrativa e poesia italiana contemporanea, anche giudicando rispetto ad altre letterature europee, per esempio alla spagnola in castigliano, dato che io vivo in Spagna. Il nodo del problema mi sembra l’impossibilità, per molta di questa letteratura pubblicata dalla piccola e media editoria, di arrivare in libreria e di rimanerci per un periodo decente. Nel caso della poesia il problema assume proporzioni macroscopiche. Come può quindi il lettore rendersi conto della vitalità di questa letteratura, se materialmente non ha accesso a questi libri?

In quanto al secondo punto della domanda, vale a dire la vecchia storia dei nani e dei giganti, è un topos letterario che viene ripreso sin dal Medioevo. Se non da prima.

Werner Schroeter (1945-2010)

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di Rinaldo Censi

I primi film di Werner Schroeter sono esperimenti amatoriali girati in Super8 e Maria Callas come soggetto. Tutto un memorabilia di feticci operistici e lirici si fissa sull’emulsione: un libretto invertibile fatto di foto, danze; un universo di affetti, corpi, battaglie tra libretti e note (Verdi, Strauss… numerosissime saranno le opere che nel corso della sua vita Schroeter allestirà). È un teatro delle passioni. Poi arriva una sorta di meteora (a zero budget) che resterà nel firmamento della storia del cinema: Der Tod der Maria Malibran (1972).

Song of choice

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di Peggy Seeger

Early every year the seeds are growing
Unseen, unheard they lie beneath the ground
Would you know before their leaves are showing
That with weeds all your garden will abound?

If you close your eyes, stop your ears
Shut your mouth then how can you know ?
For seeds you cannot hear may not be there
Seeds you cannot see may never grow

In January you’ve still got the choice
You can cut the weeds before they start to bud
If you leave them to grow high they’ll silence your voice
And in December you may pay with your blood

Dove Siamo? Le istituzioni della Letteratura in Italia, oggi

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:duepunti edizioni promuove il convegno «Dove siamo? Le istituzioni della Letteratura in Italia, oggi» organizzato dall’Università degli Studi di Palermo, il Dottorato di ricerca in Italianistica e il Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche, che si terrà lunedì 19 aprile (h. 15.00) presso la Sala Magna del Palazzo Steri a Palermo.

Al convegno, curato da Matteo Di Gesù, prenderanno parte critici e docenti di italianistica, la maggior parte dei quali – e non è un caso – nata dopo il 1968: Giancarlo Alfano, Andrea Cortellessa, Davide Dalmas, Stefano Jossa e Domenico Scarpa, coordinati da Michela Sacco Messineo. Una nuova generazione di studiosi si confronta in vista di un necessario riesame dello statuto epistemologico della materia tra critica, insegnamento e società.

A margine del convegno il gruppo di studio si riunirà presso la sede di :duepunti edizioni per costituirsi come comitato scientifico di una nuova collana che, prendendo le mosse dai temi stessi del convegno, si propone di definire un approccio innovativo allo studio della letteratura italiana e alla critica letteraria.

gli interventi:

Giancarlo Alfano (Seconda Università di Napoli) – Come si trasmette un’invenzione.

Andrea Cortellessa (Università Roma Tre) – Intellettuali, Anni zero.

Davide Dalmas (Università di Torino) – La letteratura colpisce ancora? Tra storia culturale e scienza delle opere.

Matteo Di Gesù (Università degli Studi di Palermo) – L’affidabilità di un marchio garantito: «Letteratura italiana». Since 1870 (se non prima).

Stefano Jossa (Royal Halloway University of London) – Ritorno all’ozio? La comunità letteraria tra retorica e prass.i

Domenico Scarpa (Pisa) – Il plusvalore di un libro ben fatto.

Coordina Michela Sacco Messineo (Università degli Studi di Palermo).

press@duepuntiedizioni.it

“Prosa in prosa” a “Succursale mare”

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A Genova, sabato 17 aprile, alle ore 21

presso la Galleria Studio 44
Vico Colalanza 12r

nell’ambito della seconda edizione di
“Succursale mare”, a cura di Luciano Neri

presentazione di

PROSA IN PROSA

(Le Lettere, collana fuoriformato, 2009)

con la presenza – e le letture – di

Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi,
Marco Giovenale, Andrea Inglese

interventi critici di

Paolo Zublena e Antonio Loreto

Il Canto di Anna

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di Antonio Sparzani

Venerdì 16 e sabato 17 aprile, ore 20.45, al Circolo Curtatone, via Curtatone 19, Milano, Anna Lamberti-Bocconi, accompagnata da Constantin Mihai, “violino clandestino” ci offriranno una lettura scenica (ingresso € 3,00, segue rinfresco) del Canto di una ragazza fascista dei miei tempi (Transeuropa, Massa, 2010), di cui potete vedete la copertina (estesa alla quarta, cliccare per ingrandire) in fondo al post. A me il modo migliore di conoscere il libro sembra quello di intervistare l’autrice, e quindi ecco qua:

Antonio: Cara Anna, da pochi giorni ho letto il tuo Canto, letto d’un fiato, perché non mi pare che si presti a molte interruzioni, e mi ha molto colpito. E allora mi piacerebbe parlarne con te, qui in pubblico: una recensione ‒ intervista con l’autrice: la prima domanda è quasi d’obbligo: c’è qualche elemento autobiografico nella storia, o meglio nelle storie, che compaiono in questo vero moderno poema epico?

Anna: Più di uno. Innanzitutto per l’io narrante: se riguardo al mio libro precedente, Rumeni, ci tenevo a specificare che la protagonista mi somigliava ma non ero del tutto io, qui devo ammettere che il personaggio della poetessa è proprio un autoritratto, fa le cose che faccio io, gira da sola a piedi a tutte le ore,

Senza materialismo, ovvero la sinistra opinionista

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di Rocco Ronchi

Da tempo la sinistra italiana ha fatto del materialismo solo una delle tante «tradizioni» che (faticosamente) convivono all’interno della sua imprecisata galassia ideologica, quasi il retaggio polveroso di un’epoca definitivamente tramontata. I destini del materialismo, come metodo di analisi e come fondamento della prassi politica, e quelli della sinistra politica non sono inscindibilmente legati. Ne fa fede, appunto, la nostra sinistra. Vale però la pena di chiedersi che cosa diventi una sinistra senza materialismo.
La risposta non è difficile. Diventa quello che effettivamente è oggi in Italia: un movimento di «opinione» che contende ad altre «opinioni» il diritto di essere opinione «dominante». L’arena della contesa è la sfera dell’«opinione pubblica». Su tale opzione di fondo si è costruita l’ipotesi del partito democratico. Fin dalla scelta del nome è resa esplicita l’intenzione programmatica di rompere con l’eredità «materialista» del passato. Un riferimento anche vago al «socialismo» lo avrebbe invece implicato.
Le conseguenze di questa precisa opzione ideologica sono la cronaca politica degli ultimi anni. In primo luogo, quel fenomeno registrato dalla chiacchiera giornalistica come «buonismo» e stigmatizzato dagli avversari come difetto di «realismo».

Il violino di Frankenstein

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di Isabella Mattazzi


In un passaggio del suo ultimo libro, Il Violino di Frankenstein. Scritti per e sulla musica, Valerio Magrelli racconta di un singolare caso di radiofonia dentaria. Protagonisti, un uomo di mezza età e la sua carie. La carie, prontamente curata con un’otturazione, e l’uomo improvvisamente sconvolto dalla presenza, nella sua testa, di strani suoni, voci incomprensibili, bisbigli notturni, rumori. Da qui, una terrorizzante serie di ipotesi dell’uomo, convinto di essere diventato pazzo o santo, vittima di allucinazioni uditive, fino al lieto fine della storia e alla risoluzione dell’enigma. L’otturazione, capsula metallica, avrebbe reagito come una vera e propria antenna, captando nell’aria onde radio, variazioni musicali, pubblicità, partite di calcio, per riverberarle poi, come un’eco spettrale, nella cassa di risonanza della bocca.
A ben guardare, tutto il Violino di Frankenstein non è che la rappresentazione amplificata di questo esempio sconvolgente di radio-odontoiatria.

Fenomenologia di un atteggiamento diffuso

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di Lorenzo Mecozzi

[questo post è apparso per la prima volta sul blog quattrocentoquattro.wordpress.com/]

mentre Giovanni declama,
“Zanzi” va fuori tema,
ed Edoardo mette lì un poema
col cruciverba della settimana
e i logaritmi della sera prima…

La Corazzata Potemkin – Vecchioni

Era il 1989, l’anno delle illusioni sulla fine della storia e sulla fine di tutte le contrapposizioni, quando la RAI, su quello che era ancora solo il primo canale, trasmetteva L’Aquilone.

Il programma nasceva da un’idea Filippo Canu: si trattava di un settimanale culturale in onda il venerdì alle 15 su RAIUNO. Condotto da Claudio Angelini, con la collaborazione di Franco Foresta Martin,, Luciano Lucignani, Gianni Raviele, Vanni Ronsisvalle e Giorgio Weiss, si presentava come la più seguita rivista letteraria dell’epoca, con una audience media di 500 mila spettatori. [http://www.giorgioweiss.it/node/226 ] All’interno della trasmissione ebbe luogo un concorso ad eliminazione diretta tra poeti in gara con la lettura di una propria poesia. L’esperimento fu riproposto l’anno successivo, con leggere variazioni di contenuti, dovendo i poeti in gara proporre opere di classici della letteratura italiana piuttosto che proprie liriche.

La responsabilità dell’autore: Marcello Fois

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Gianni Celati, ecco le risposte di Marcello Fois]

Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

In generale chi giudica lo stato di salute della letteratura italiana attuale non legge abbastanza o legge solo quello che arriva sulla sua scrivania. Sono esploratori che visitano la Papuasia o la Nuova Guinea solo attraverso i documentari del National Geographic e poi si lamentano che non esiste più il selvaggio autentico. Ecco, attraverso questa esplorazione pigra, questa visione addomesticata, della letteratura italiana contemporanea risulta evidente che siamo disperatamente immersi in una condizione spiraloide di letteratura “attuale” che ha poco a che fare col presente… E’ passeggera, spesso labile in maniera deprimente inserita in una contingenza costante… Oggi c’è, domani è definitivamente scomparsa. Siamo circondati da scrittori tristemente più famosi dei propri libri… Di teorici al rovescio che prima scrivono e poi elaborano, prima promuovono e poi scrivono… di quantità che disattendono qualunque qualità. Ma i pochi che si spingono oltre le colonne d’Ercole degli uffici stampa possono avere grandi sorprese, il sottobosco, la giungla vera, nasconde molte meraviglie… In ogni caso se la letteratura piange la Critica nel nostro Paese non ride di certo.

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Non c’è niente che possa frenare l’apparizione di opere di qualità se non l’assenza di artisti di qualità.

Seni

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di Marco Mantello

Erano nudi e grandi. Sopravvissuti ai soldati

e ai superattici in centro

comperati coi soldi delle missioni

e la retorica dei cognomi. Erano colpevoli e innocenti

Producevano lo stesso effetto. Dichiarando diverse intenzioni

Erano due bombe intelligenti. Deflagrate nei giorni di ferie

E se le vite dei militari

rifiorivano sul tuo petto

i civili rimanevano sepolti

sotto alle sue macerie

Orrendario di San Nicola Varco

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a cura di Angelo Rossi

San Nicola Varco è una località del salernitano, ma soprattutto è stato un ghetto: costruito alla fine degli anni ottanta. San Nicola Varco doveva essere il mercato ortofrutticolo di Eboli, città al centro della fertile e ampia Piana del Sele, la “California del Sud”. Un mancato mercato ortofrutticolo di 14 ettari di terra recintati da un muro di cemento e una ringhiera, con diversi fabbricati per la compravendita dei prodotti agricoli, uffici, parcheggi, etc. Terminato ma mai entrato in funzione. Costato miliardi di lire e mai collaudato. Occupato all’inizio degli anni ’90 da marocchini lavoratori stagionali dell’agricoltura[1].

Una conversazione con Albert Maysles

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di Fabrizio Cilento

In occasione del cinquantesimo anno di attività del regista americano Albert Maysles, l’intervista che segue si propone di fornire nuovi spunti di riflessione su classici come Salesmen (1968) e Gimme Shelter (1971). Maysles discute anche l’impatto della tecnologia digitale sulla forma documentaria, le differenze tra il Direct Cinema americano (di cui è tra i pionieri) e il cinema-vérité francese, e non lesina critiche a Micheal Moore. Nel 1960 Maysles si unisce al gruppo dei Drew Associates per esplorare le possibilità del Direct Cinema insieme al fratello David (scomparso nel 1987), Robert Drew, Richard Leacock e D.A. Pennebaker. Il Direct Cinema si distingue per la struttura non narrativa (l’uso limitato della voce fuori campo e l’assenza di una struttura a tesi), l’illuminazione povera, il suono a tratti inadeguato e le immagini sgranate. Dal punto di vista tecnico, i Drew Associates prediligono telecamere a spalla16mm come l’Auricon, ma usano spesso anche l’Arriflex o l’Èclair-NPR. Dal punto di vista teorico, il progetto dell’observational documentary appare come un approccio americano alla poetica zavattiniana del pedinamento e una variante aggiornata del “mito del cinema totale” baziniano.