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carta st[r]amp[al]ata n.11

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di Fabrizio Tonello

Ricca messe di materiali questa settimana, grazie a straordinarie performance del Foglio di Giuliano Ferrara del 10 aprile. Inizieremo da “La chiesa non è una repubblica”, come titola in prima pagina l’editoriale non firmato, che polemizza con “l’assedio scandalistico al Papa” e conclude: “L’ex sindaco di Gerusalemme, Ed Koch, ha detto proprio ieri che la campagna internazionale di stampa sulla pedofilia dei preti (…) mostra non tanto la volontà di informare i cittadini quanto quella di punire la chiesa per le sue posizioni”. Può essere, ma Ed Koch è stato varie cose nella sua vita, tra cui sergente della 104° divisione di fanteria nella battaglia delle Ardenne, deputato al Congresso americano e perfino protagonista del reality show “The People’s Court”. Quello che non è mai stato, nonostante la sua origine al 100% ebraica (il padre era un pellicciaio del Bronx) è sindaco di Gerusalemme.

Se proprio vogliamo essere sofistici, è stato sindaco di New York per 11 anni, dal 1978 al 1989.

L’uomo nero muore apposta

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di Mariasole Ariot

Gli occhi guardano alla stazione, Padova e i palazzi intrecciati di azzurro fluorescente, l’orribile mascherato. Alla fermata dell’autobus piovono  un uomo dai costumi antichi, due ragazzi colombe, un’anziana signora con le borse traforate e una donna col pancione e un bimbo tra le dita.
L’attesa è lunga, passano numeri inutili per chiunque, la pioggia si accumula negli interstizi, tra una mattonella e l’altra, un vuoto e il successivo, e si sta fermi a fumare  il tempo.
L’uomo antico  si avvicina:
Signorina, lei è di qui?
No, mi spiace, vengo e vado.
Anch’io.

Francesco Pecoraro: Questa e altre preistorie

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Le EdizioniOMP, in collaborazione con l’associazione Gippa e il Comune di Pavia, organizzano il ciclo di conferenze (con rinfresco a seguire) “NO! IL DIBATTITO NO!”.

Primo incontro: Giovedì 15 aprile, ore 18.30 Aula Magna

Daniele Giglioli, critico letterario

incontra Francesco Pecoraro

scrittore e autore di Questa e altre preistorie (ed. Le Lettere)

BUFALE ULTIMISSIME

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di Pierluigi Pellini

Torno ancora una volta sulle calunnie di Vittorio Messori nei confronti di Émile Zola: le puntate precedenti si leggono su Nazione Indiana del 14 e del 26 marzo («Bufale dei Pirenei» e «Bufale alla carica»). Sarà il mio ultimo intervento: innanzitutto perché Émile Zola non ha bisogno di vestali a tempo pieno; in secondo luogo, perché gli scritti apologetici di Messori si commentano da sé (uno dei più recenti, sul «Corriere» dell’11 marzo scorso, suggerisce che il crimine di una donna che decide di interrompere una gravidanza indesiderata sia ben più grave di quello di cui si sono macchiati i preti pedofili che affollano le cronache di queste settimane).
E dunque: la Lettera al Direttore, pubblicata da Messori sul proprio sito web con un incongruo copyright del «Corriere», non è mai stata pubblicata da Ferruccio de Bortoli. Uscirà – come si apprende sempre dal sito personale di Messori, che ancora una volta ne anticipa il testo – sul numero di maggio de «Il Timone»: un «mensile di apologetica cattolica» (così il sottotitolo: di cui si apprezza, per una volta, la trasparente onestà), che consentirà al Nostro di manifestare senza controlli scientifici la sua pia indignazione. La lettera a de Bortoli apparirà in una versione largamente rimaneggiata, con un cappello che vuole spiegarne l’antefatto. Dopo le presunte “aggressioni” subite su internet (ma, con pervicace scorrettezza, non è mai citato né il mio nome né il sito di «Nazione Indiana»), Messori ha inviato al Direttore «una precisazione»: poi, «di comune accordo», avrebbe deciso con de Bortoli «di non pubblicarla sul “Corriere”, anche per non dare a quegli aggressori la soddisfazione di essere presi sul serio sulle colonne del più diffuso giornale italiano».

La responsabilità dell’autore: Gianni Celati

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, ecco le risposte di Gianni Celati]

Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Nel campo letterario, come in quello politico-finanziario, domina il traffico manageriale, l’aggrapparsi al carro del vincitore. Le tonnellate di romanzi buttati sul mercato sono tutti una ripetizione delle ultime furberie per infilare la strada del successo.

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Quello che domina è una letteratura meccanizzata. I prodotti  più venduto sono finzioni che hanno tagliato i ponti con una letteratura del passato, considerata troppo scomoda e difficile. E la lingua dei nuovi minestroni romanzeschi è la lingua dell’attualità, con le frasi impantanate in un presupposto e scolastico “scrivere come si deve” .

Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

Non  so. Abito in Inghilterra e non li leggo.

Omicidio Pasolini: Martone (vs?) Belpoliti

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[su La Stampa di ieri prosegue la discussione innescata da questo pezzo di Marco Belpoliti. Qui, su Nazione Indiana, c’è una replica di Carla Benedetti. Su richiesta di Belpoliti di seguito riporto la lettera di Mario Martone al direttore della Stampa e la replica di Marco Belpoliti. G.B.]

di Mario Martone

Caro direttore,
ho letto con rammarico il pezzo che Marco Belpoliti ha dedicato sulla Stampa agli sforzi di quanti stanno cercando di far riaprire il processo per la morte di Pasolini. Rammarico per l’impossibilità che persiste in Italia di trovarsi d’accordo su punti essenziali della vita civile, una frantumazione che rende via via sempre più faticoso il procedere delle idee e dell’agire politico. La posizione di Belpoliti, la sua idea sul perché Pasolini sia stato assassinato è non solo legittima, ma benissimo espressa ed anche profonda: riprende quella, nota da sempre, di Nico Naldini, che da poeta creò uno scenario di grandissima verosimiglianza, immaginando che tutto andasse spiegato esclusivamente all’interno della dinamica omosessuale e del rapporto di Pasolini con i ragazzi. Ma ciò che davvero non si spiega è come Belpoliti possa pensare che la verosimiglianza di questo scenario possa essere sfuggita a persone come Laura Betti o Sergio Citti, che ho conosciuto bene (di Citti ho filmato la testimonianza raccolta dall’avvocato Calvi), e che si rivolterebbero nella tomba a sentirsi accusati di «voler rimuovere la particolare omosessualità di Pasolini».

È arrivato il quadrimestrale “Atti impuri” n°1

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[in libreria a partire da maggio ma disponibile già da ora per abbonati e pionieri]

di sparajurij

Forse perché siamo pigri, il miglior segno della meraviglia è l’esagerazione.

Un’esagerazione coltivata a lungo, e che oggi, finalmente, prende corpo.

Dopo mesi di pre-esistenza in rete (www.attimpuri.it) Atti impuri approda nella forma cartacea che da tempo avevamo immaginato come naturale esito di un intenso e marziale lavoro. Inutile dire che siamo molto orgogliosi di esserci riusciti, pronti a scommettere sul fatto che questo traguardo sarà l’inizio di qualcosa destinato ad andare avanti, oltre, mutando e prolificando grazie alla stessa passione investita nel far nascere l’atteso numero uno. Una passione già sperimentata e spartita con i tanti compagni di viaggio che hanno deciso di spendere energie e tempo nel progetto, vale a dire gli scrittori, i poeti, i traduttori, gli amici, i nemici, e ovviamente l’editore No Reply, che con il solito folle coraggio ha saputo esserci, ancora una volta, complice.

Radio Kapital: Romano Alquati

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Hommage
di
Sergio Bologna

Non frequentavo Romano da una trentina d’anni, poco so della sua attività di docente, segnali e messaggi mi arrivavano ogni tanto da suoi allievi, persone in genere che avevano “una marcia in più” grazie al suo insegnamento. Quindi il modo migliore di ricordarlo mi sembra quello di andare indietro nel tempo, quando anch’io bene o male stavo imparando da lui e dai compagni che avevano messo in piedi i “Quaderni Rossi”. Ho detto in altre testimonianze e debbo ribadirlo anche adesso che alle riunioni generali dei “Quaderni” non ricordo di aver mai aperto bocca, parlando solo se interpellato, poi magari nel gruppo milanese mi davo abbastanza da fare ma in sostanza gli anni dei “Quaderni” sono stati per me Bildungsjahre.

Conricerca quindi. Non è mica facile dire che significato aveva questa parola. Perché certamente si tratta di una tecnica ma non formalizzata e forse non formalizzabile. Possiede lo stesso carattere sfuggente se la chiamiamo metodo, approccio. Quindi proviamo a procedere per esclusione. L’inchiesta sociologica può essere formalizzata, anzi può essere ridotta a procedura, c’è un metodo alle spalle, un sistema di pensiero. Il metodo della storia orale anch’esso può esser formalizzato in una serie di prescrizioni, anzi, dal punto di vista della tecnica può essere ridotto a manuale.

Sull’omicidio di Pasolini – Replica a Marco Belpoliti

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di Carla Benedetti

Cari amici di Nazione Indiana,

vi scrivo dopo aver letto su questo blog l’articolo “Il corpo insepolto di Pasolini“, dove Marco Belpoliti ci invita in pratica a non parlare più del suo omicidio, su cui giá si sa l’essenziale. È uno strano invito, abbastanza inquietante.

Ma come? Siamo di fronte a un delitto ancora oscuro, di cui a tanti anni di distanza non si conoscono ancora né i responsabili né i moventi, a indagini fin dall’inizio depistate, a probabili connivenze che hanno permesso per così tanto tempo di coprire i colpevoli, ancora impuniti,  e un critico letterario, a cui certo non mancano le informazioni né l’intelligenza per ragionare, ci viene a dire che è meglio dimenticare? “Forse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini … Dimenticare Pasolini per ricordarlo davvero”. Sarebbe come se qualcuno sostenesse che è inutile farsi troppe domande sulla morte di John Kennedy, tanto si sa già quasi tutto. In America sarebbe semplicemente ridicolo. In Italia lo si fa spesso.

Sciascia, ieri, oggi e domani

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(da «il Fatto Quotidiano» – giovedì 25 marzo 2010)

(RI)LETTURE

Lo scrittore siciliano e l’«infezione» di quest’Italia

di Evelina Santangelo

C’è un libro di Sciascia di cui è rimasto impresso nella mente anche di chi non lo ha mai letto un passaggio cruciale. Le parole pronunciate da don Mariano Arena riguardo all’umanità, fatta – secondo questo «galantuomo… amato e rispettato da un paese intero» – di «uomini, mezz’uomini, ominicchi, cornuti e quaquaraquà». Una visione pronunciata con la protervia di chi si arroga il diritto di decidere della vita e della morte di altri individui, al di fuori della legge dello Stato, o meglio, secondo proprie leggi: chi è un quaquaraquà, nel territorio sottoposto alla giurisdizione di don Arena e dei suoi sgherri, è condannato a morire di morte violenta, come chi non si adegua, d’altro canto. Che questo giudizio pronunciato da un capomafia potentissimo e intoccabile sia finito per diventare non solo la citazione più famosa di un libro come Il giorno della civetta, ma quasi un modo tutto sommato consueto di apostrofare uomini e comportamenti è un fatto abbastanza incredibile, a pensarci bene, quasi la dimostrazione di come sia sdrucciolevole toccare in forma narrativa un fenomeno come la mafia capace di fagocitare tutto ciò che la riguarda e, per vie esplicite o contorte, rigurgitarlo sotto forma di mito. E infatti Sciascia, consapevole probabilmente del rischio insito in una scelta del genere, non cede mai, in verità, alla tentazione di narrare la mafia, i suoi uomini, le sue vicende, ne definisce piuttosto la grammatica, il linguaggio, la portata delle sue ramificazioni materiali e culturali, la notomizza insomma, analizzando minuziosamente tutti gli aspetti sociali, economici, politici, culturali, antropologici che concorrono a quell’intreccio sotterraneo di interessi e connivenze di cui il fenomeno criminale mafioso è la manifestazione più evidente.

Giulio Marzaioli: moduli di prima fase

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sabato 10 aprile 2010, ore 20:00

presso il centro culturale
La Camera Verde
presentazione di

moduli di prima fase
di Giulio Marzaioli

Edizioni La camera verde
collana felix, a cura di Marco Giovenale

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Giulio Marzaioli ha scritto opere in poesia e prosa, oltre che per il teatro, per le arti figurative, per la video arte, per la fotografia. Suoi testi sono pubblicati presso varie case editrici e tradotti in più lingue. Ultimamente alla scrittura unisce la ricerca per immagini. Da molti anni collabora con La Camera Verde.

*

Serie di moduli sono state pubblicate presso “Runbook” (in traduzione inglese), Absolute Poetry, “Versodove”, “OR” (in traduzione inglese),”il verri”, bina, lettere grosse, “Nioques” (in traduzione francese). I moduli dialogono con immagini create da Teresa Iaria nella video-installazione M Project.

* * *

Centro Culturale
LA CAMERA VERDE
via Giovanni Miani 20
00154 Roma
www.lacameraverde.com

l’ustione

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(ragionamenti sui tempi)


di Gianluca Cataldo

Sono capace di dimenticare tutto quello che conosco restando avvinghiato a un’intuizione, al senso generale perdendo dettagli e sgranando la precisione nel mettere a fuoco determinati concetti. So che alcune cose sono giuste, so che alcuni libri sono capolavori e altri meno. So che La pelle narra di uno scorticamento e che Roth può scrivere cinquanta pagine sulla fabbricazione di guanti senza annoiare neanche un produttore di stivali. So che la farfalla di Dinard vola dal mio letto al suo passando per sveglie acquistate in mercati rionali e conosco il sapore del manzanillo perché l’ho bevuto. Non è affatto infuso di carrube, è un semplice frullato di barbiturici e se non ti uccide porta davvero via il ricordo di tutto, il ricordo di quanto io sia stato intelligente, di quanto io sia intelligente, anche se non abbastanza da non finire sul divano, come ogni volta che lei dormiva da me, da non trasformare tutto in un esercizio cattolico quando lei si schiacciava a me e io rimanevo inerte e immobile, inchiodato dalla sorpresa, inchiodato dall’incertezza in una situazione incredibile. Lei era un’ombra tridimensionale incalzante e io non in lei ma quasi, quando ogni singulto era un insulto alla lealtà e ogni muscolo un monumento allo stoicismo. A pensarci bene ho da sempre un’inclinazione alla redenzione. Ho redento la mia religione e l’ho resa origami di sacre scritture, dal momento che per diventare santo la congregazione per la dottrina e la fede richiede due miracoli, come se uno non fosse, di per sé, già abbastanza miracoloso. La chiesa è il volto umano di dio e l’unico con il quale siamo tenuti a discutere, con il quale siamo tenuti a negarlo. La mia azione di ribellione è asintomatica, è una semplice frase interiorizzata: “io non credo”, senza incappare nel fatale errore di un ti.

La responsabilità dell’autore: Christian Raimo

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, ecco le risposte di Christian Raimo]

Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Lo sguardo che riesco a avere sulla nostra letteratura contemporanea, poesia e narrativa, è ovviamente sempre parziale, per quanto sia un lettore forte, che compra e legge libri appena usciti, che si tiene aggiornato su riviste, blog, che segue consigli di lettura, che cerca di non avere pregiudizi. A partire da questa parzialità faccio delle sintesi. La prima che mi viene è sociologica. La letteratura mi sembra diventata in Italia una specie di alibi. Essendosi ristretto al lumicino lo spazio pubblico (le potenzialità della politica, la forza del volontariato, la credibilità della chiesa, l’autorevolezza della scuola e dell’università, il ruolo in generale di quello che dall’illuminismo in poi è stata l’ “opinione pubblica”…), si è provati a occupare lo spazio letterario come riserva di uno spazio pubblico. Questo è avvenuto con gli scrittori impegnati come con i festival della letteratura, come per esempio con questo stesso questionario a cui sto rispondendo – che ha un evidente valore politico. Ma un valore politico, come dire, compensatorio. Quindi fragile.
La seconda sintesi è più critica. E qui parlo da scrittore. E riformulo la domanda così, brutalmente: ci sono degli scrittori e dei poeti che ammiri, che copi, a cui ti ispiri, che invidi, nel panorama contemporaneo italiano?

Poesia in prosa e arti poetiche. Una ricognizione in terra di Francia (2)

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[La prima parte di questo saggio è apparsa qui]

di Andrea Inglese

4. L‘esplorazione dell’ovvio

Siamo davvero all’opposto dell’attitudine del “prosatore lirico”. Quest’ultimo si dirige verso la prosa con l’intento d’iniettare in essa quel surplus stilistico che la innalzerà ai livelli d’intensità e autenticità del dettato poetico. Cadiot e gli altri autori citati, invece, abbracciano la prosa per meglio liberarsi dell’eredità lirica nel suo complesso (codice e ideologia di genere). Qui la lezione decisiva, all’interno del panorama francese, viene ancora una volta da Ponge. Fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, il programma pongiano è definito e si pone in uno strano rapporto di continuità e di rottura con la poesia come genere. Leggiamo due diversi passaggi su questo tema:

Poesia contemporanea. Decimo quaderno italiano, Milano, Marcos y Marcos 2010, pp. 279

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di Niccolò Scaffai

C’è almeno un tratto che accomuna la serie dei quaderni italiani, curati da Franco Buffoni, giunti quest’anno al decimo volume: ed è la selezione di autori anagraficamente vicini, sì, ma ognuno dotato di una propria voce ben distinguibile e già modulata, senza velleità generazionali. Per questo non sembra sufficiente evocare categorie come quella di ‘poesia giovanile’ o di ‘giovane poesia’, che pure godono ancora di una loro fortuna: basti pensare alla recente (2009) Il miele del silenzio. Antologia della giovane poesia italiana, curata da Giancarlo Pontiggia per Interlinea edizioni.
Sono sette i poeti del decimo Quaderno, ciascuno introdotto da un critico o da un autore noto: Corrado Benigni (presentato da Mario Santagostini), Andrea Breda Minello (da Maria Grazia Calandrone), Francesca Matteoni (Fabio Pusterla), Luigi Nacci (Lello Voce), Gilda Policastro (Aldo Nove), Laura Pugno (Cecilia Bello Minciacchi), Italo Testa (Umberto Fiori).

DemoKartien- two

4

Megalovinskij

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PPP La sua inchiesta

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di Franco Buffoni

Dopo aver ascoltato le “rivelazioni” odierne sulla morte di Pasolini, forse a qualche lettore di Nazione Indiana può interessare questo racconto, che pubblicai cinque anni fa su Nuovi Argomenti (32, ott-dic 2005).
“Ma quando tutta la sabbia insieme e senza vento
Prese le forme sue, si comprese
Che la rimozione urgente non bastava”.

Sono i versi conclusivi di una poesia datata 5 novembre 1975, intitolata “PPP la sua inchiesta”, e rimasta inedita, come molte altre di quel periodo. Avevo ventisette anni, ero omosessuale e vivevo in Lombardia.
“Ti faccio fare la fine di Pasolini”, me lo sentii dire un paio di volte negli anni successivi: era come uno slogan in certi ambienti, veniva usato come deterrente, quando non ci si comportava propriamente da “clienti”.
Pasolini lo avevo incontrato in una occasione di poesia a Roma nel luglio del 1972, ma non ero riuscito a suscitare il suo interesse. In compenso sentii parlare molto di lui in quel mese di esami di maturità, come supplente neo-laureato nella commissione dell’Istituto Tecnico-Linguistico Femminile “Caterina da Siena” di via Panisperna. Non come regista o come scrittore, non ce n’era bisogno. Sentivo parlare di lui la sera dal mio aiuto-bagnino. Aveva vent’anni, lo avevo incontrato sulla spiaggia di Ostia, dove qualche volta mi recavo al pomeriggio dopo gli esami. Ero sceso a Roma con la mia 128 gialla nuova comprata a rate e targata Varese. La sera ci piaceva scorrazzare su è giù fino a Piramide e poi al centro. Tardi lo riaccompagnavo a Ostia e ci fermavamo proprio lì, nei pressi del Lido. Seppi tutto del Pasolini notturno: abitudini, contatti, preferenze, insistenze, concessioni. Era assolutamente noto presso chi non aveva letto una riga dei suoi scritti. Ma non aveva più “storie” con nessuno. Mentre per me allora non era concepibile non vivere la storia. E con l’aiuto-bagnino Riccardo, che la sera indossava camicie sgargianti e portava pantaloni lucidi a zampa di elefante, io vissi una bellissima storia.
Tre anni dopo, quando accadde il disastro, Testori ricordò sul Corriere che sì, si cena con gli amici, ma più tardi – soli – si finisce col cedere e col cercare qualcuno nella notte. Mentre Arbasino, più pragmaticamente, scrisse che non era possibile che si finisse in un posto del genere senza avere ben deciso prima chi doveva fare che cosa a chi.

da “Il respiro della terra”

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di Tiziano Fratus

[LA GIOSTRA E ALTRI SPETTACOLI]

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bagni popolari (1964)

una boscaglia appena tratteggiata e un uso di pastello,

scuro, che va a compilare i corpi inesatti, incompleti,

i bagnanti anche ritagliati e incollati sulla tela,

forse da una cartolina o da una fotografia, seni

sproporzionati: una popolazione di otto figure mute,

pensierose, indecise, appollaiate sulla sabbia,

un giorno d’estate, lontano dall’inferno del vietnam

°

Il corpo insepolto di Pasolini

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di Marco Belpoliti

Il corpo di Pier Paolo Pasolini è ancora ingombrante e simbolicamente insepolto, così come quello di Aldo Moro, due morti eccellenti, e per molti versi misteriose, intorno a cui si agitano politici, intellettuali, investigatori, critici, scrittori e poeti. Il 22 marzo scorso Walter Veltroni, politico di rango, e anche autore di successo, ha inviato al Ministro Alfano una lettera per chiedere la riapertura delle indagini con metodi scientifici, da RIS, del delitto di cui fu vittima la notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 il poeta. All’inizio del medesimo mese un altro politico, il senatore Marcello Dell’Utri aveva annunciato l’esistenza di un capitolo “rubato” di Petrolio, opera postuma di Pasolini, trafugato, si dice, dalla casa romana dell’autore dopo la sua morte. Il capitolo, che doveva essere esposto alla mostra del Libro Antico, di cui Dell’Utri è il motore, a Milano il 12 marzo. Come i giornali hanno documentato, quel manoscritto scomparso all’esposizione non c’era: sparito prima di essere mostrato in pubblico. Una storia strana che ha dato subito da scrivere a molti per via dell’alone di mistero che aleggia intorno al senatore, intimo di Silvio Berlusconi e fondatore di “Forza Italia”. Da ultimo, l’articolo apparso sul settimanale “L’espresso” in edicola il 26 marzo, a firma di Carla Benedetti.