di Giacomo Sartori
Nella mia vita adulta mi sono quasi sempre ritrovato a vivere all’estero. Prendevo un lavoro, e mi ritrovavo all’estero. Conoscevo una ragazza, e mi risvegliavo in un letto estero. Andavo al mare, e i cartelli segnaletici della spiaggia erano scritti in una lingua straniera. Mi sposavo, e manco a dirlo nessuno parlava l’italiano. Una vera persecuzione. Io per carattere, e anche per segno zodiacale, sarei una persona che se ne sta tranquilla in pantofole nella catalettica cittadina natia. Fin dall’infanzia gli spostamenti mi sono apparsi dispendiosi sia fisicamente che psichicamente, e soprattutto molto inutili. Fondamentalmente li detesto, i viaggi. E non sono nemmeno tanto portato per le lingue. No grazie, c’è qualcosa alla televisione che mi interessa, mi sarei volentieri schermito. E invece per un verso o per l’altro mi ritrovavo al centro di un deserto a perdita d’occhio, nell’aria lercia di una cacofonica metropoli, in una pampa disseminata di enigmatiche mucche. Sempre estero era.
La gente ha delle idee molto sbagliate sull’estero. Si immaginano che sia un posto dove tutto è sempre molto bello,









