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Il mondo di Fiorino: estate

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di Antonio Sparzani

(la prima puntata è qui.)

La provincia quell’estate non era poi così polverosa. O lo era forse nel senso che il paesetto dov’era la casa di Giancarlo lo si poteva raggiungere solo in macchina, o con vecchie corriere molto polverose. Ma una volta giunti, il verde arrivava subito a colpire gli occhi e il naso. La casa era ai bordi del paese e aveva un giardino in pieno rigoglio. Non c’erano gli asfodeli, che Fiorino aveva imparato a riconoscere dopo la storia della Paola, ma c’era una festa di rose straordinarie di tanti colori e di tanti profumi che colpirono molto Fiorino.
Era venuto, per quel lungo fine settimana, anche un altro amico di scuola e del collegio, Ermanno. Non era alto, aveva il naso aquilino, era leggermente strabico, e aveva la non comune abilità di aumentare a comando il proprio strabismo. Negli ultimi tempi erano stati spesso assieme, Giancarlo, Ermanno e Fiorino.

Attualismi 1 – La Gelmini e le pecore nere

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di Giacomo Sartori

La ministra Gelmini ha perfettamente ragione: non più di 30% di stranieri (malparlanti, ha aggiunto dopo un assorto ripensamento) per classe. Certo si potrebbe discutere se sarebbe meglio il 29,9 o il 30,2, lo concede lei stessa, ma il principio è sacrosanto: 30%. Il 30% è per definizione una percentuale equilibrata e rassicurante: 30% di materia grassa, 30% di tasse, 30% di umidità, 30% di comunisti. Con il 30% si riesce ancora a ragionare. Anche nella didattica.

Una pecora nera ci sta bene, fa colore. Se però le pecore nere diventano due, cento, mille, le cose cambiano. Non è più una pecora nera, è un gregge, un gregge dove qua e là svetta una mosca bianca. Di fronte a greggi siffatti c’è un solo rimedio: la soglia del 30%. Certo, 30% di pecore nere è peggio di una sola pecora nera, ma la situazione è ancora sotto controllo.

La notte [Eracle # 12(+1)]

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di Ginevra Bompiani

Una galleria scura – senza volta e senza pareti – suoni come di rami che fremono nella notte; gli occhi sono pesanti, le spalle leggere, leggere, cadono sotto il ricordo di quel peso che è stato sollevato; poi dei portici; una luce improvvisa, come di un servo che solleva la lampada sulla faccia dello straniero; fuochi e notte rimbalzano l’uno sull’altra; una galleria scura, scura – senza pareti – suoni come di un banchetto; di risa; o lamenti funebri; chi si aspetta? Chi è morto? Nulla, la morte è sconfitta; chi si celebra? Le spalle sono leggere, leggere – quel gran peso sollevato le lascia barcollanti; una luce improvvisa, come una fiaccola, retta da un servo sorpreso sulla porta; poi voci all’interno; quale interno? Quale galleria? Dove sono le pareti?

da “Interni con finestre”

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di Stefano Raimondi

Pareti

Ci sono giorni che a raccontarli non basta, storie che non si sentono più, storture che s’imparano piano. E lo so da qui, da questo angolo imparato a memoria a malapena ieri.

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L’hanno trovata con gli occhiali abbassati sul naso e un libro tra le mani: era mattina. Non si è mai saputo quale fosse l’ultima parola che le sia piaciuta tanto. C’era una grotta intorno che poi sembrava un’ombra, un suono, un sogno. Un segno nerofumo appiccicato in fondo alla parete. Una scintilla scappata da una pietra focaia.

Allontanare lo spettro di Auschwitz dalla Calabria, dall’Italia, dalle nostre coscienze

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di Pino Tripodi

Ho visto. So. Tutti sappiamo e tutti abbiamo visto. Non posso serrare la mia coscienza solo individuando le colpe, né semplicemente attendere che qualcuno faccia giustizia. I fatti di Rosarno denunciano un fallimento totale e generale, una vergogna che deve essere riscattata con la consapevolezza che qualsiasi società o economia che permette o lucra da una simile miseria è un crimine. Ciò che avviene a Rosarno e in molti altri luoghi della nostra Terra esige un moto di repulsione profondo e definitivo. Un impegno a non tollerare e a combattere l’apartheid, lo schiavismo, il razzismo, la deportazione a cui uomini e donne come me sono costretti quotidianamente.

Invito tutte le donne e gli uomini di Rosarno, della Calabria e dell’Italia intera che hanno provato il mio stesso sentimento di vergogna e la mia stessa repulsione a condividere il mio impegno pubblicamente a Rosarno domenica 17 gennaio alle ore 12.00. Mi piacerebbe che tutti i migranti deportati tornassero in questa occasione a Rosarno per testimoniare con me e gli altri che ci saranno che il pregiudizio è la peggiore malattia dell’umanità e il colore della pelle non nasconde la vergogna.

Pino Tripodi, insegnante, Milano

Per adesioni: firmiamo.it/appelloperrosarno

CORAGGIO, COMPAGNI

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di Franco Buffoni

Venerdì 8 gennaio si è tenuta a Roma una assemblea dei poeti inclusi nell’e-book Calpestare l’oblio. Su invito del curatore, Davide Nota, ho tenuto una relazione, che qui propongo per punti essenziali.

Oblio della memoria
1) Perché molti italiani si sentirono offesi, toccati nel sentimento profondo, quando chi attualmente siede a Palazzo Chigi propose di trasformare il 25 Aprile nella Festa delle Libertà? Perché la Resistenza fu anzitutto antifascista. Cercare di annacquarla in una generica festa delle libertà (riecheggiante per altro quel Popolo delle Libertà all’interno del quale sono confluiti i post fascisti) ebbe per loro il sapore di una beffa.
Questo naturalmente non cambia un dato storico ben noto: all’interno delle forze che diedero vita alla Resistenza, la componente comunista fu essenziale. E certamente non era uno stato costituzionale di diritto in senso liberale, moderno, europeo, quello che molti di loro sognavano in quegli anni tragici. Per altro è anche facilmente comprensibile che un giovane – che nel 1943 decide di rischiare la vita per fare il partigiano – voglia anche rimuovere la cause che produssero il fascismo, e abbracci la scorciatoia illusoria della rivoluzione.

Primo marzo 2010 – sciopero degli stranieri

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San-Papier

di Emilia Zazza

 

La parola sciopero sa di stantio, è una parola piena di polvere, dimenticata su un armadio. Non la si tira giù nemmeno per le pulizie di Pasqua. Perché sciopero vuol dire diritti dei lavoratori. E chi è, ormai, che ce l’ha un lavoro? Contiamoci. E anche qualora ce l’avessi, magari garantito a tempo indeterminato le fabbriche, semplicemente, chiudono, e puoi scioperare quanto vuoi… ma la fabbrica non c’è più.

Da Castel Volturno a Rosarno: il vento indignato di mamma Africa

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rosarno

di Biagio Simonetta

Sono disposti a tutto. Lavorano anche sedici ore al giorno, perdendosi nelle ombre degli agrumeti, dove gli alberi sembrano non finire mai. Nella Piana di Rosarno (Rc), la terra delle famiglie Pesce-Bellocco, gli africani non si contano più. Sono oltre mille quelli regolari. Ma nei capannoni in disuso alle porte di San Ferdinando (Rc) ne alloggiano almeno tre volte tanto, in condizioni che di umano non hanno niente.

Mama Africa!

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Dakar…Dakar…Dakar

di Livio Borriello

L’Africa è quello che siamo stati e quello che diventeremo.
Dakar, la più europeizzata delle città africane, circa 5 milioni di abitanti distribuiti su una penisola interminabile, è una possibile immagine del nostro futuro piuttosto preoccupante, per quanto carica di uno straordinario potenziale di vita.
Più che un’immagine, è una sorta di allucinazione reticolare, un immenso tessuto senza inizio né fine, se non i contorni irregolari delle coste, che sfumano nella luce estatica dell’oceano: una specie di tenebra luminosa che avvolge l’allucinazione.
Il tessuto, che ricopre compattamente la terra rossa e umorosa della brousse, è formato da cellule umane avvolte nel triplice guscio degli abiti, delle auto e delle case. Ciò avviene in tutto il mondo antropizzato, ma in questo aculeo di terra che spunta dall’Africa nera, dove la natura pulsa e ingorga le sue energie sorgive con più violenza, nei colori ignei, clamorosi, radianti, nelle pelli seriche e lucenti, nell’odore primitivo, ferino, e insieme infantile e fruttato, che promana da quelle pelli, nelle muscolature vigorose e prominenti fasciate da quelle pelli – gli effetti dell’azione umana sul mondo risultano più spettacolari, e i contrasti che producono si impongono con più evidenza all’attenzione.

Caccia al nero

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Cartiera_1
di Marco Rovelli
[A Rosarno è in corso una rivolta di braccianti subsahariani. Ancora una volta qualcuno gli ha sparato contro, e loro si sono presi le strade. Ripubblico il capitolo di Servi in cui raccontavo della mia esperienza rosarnese. Dove, come si può leggere, quel che accade oggi non è che una conseguenza naturale degli eventi. Naturale e giusta.]
 

 

 

 

La sezione è ancora quella del Pci. Uno stanzone con del materiale vario accatastato in fondo, vicino alla porta, dall’altro lato un vecchio tavolo, alla sua sinistra una bandiera del Pci, aperta, dispiegata, e a destra una televisione. Davanti alla televisione, o meglio sotto, ché la televisione è poggiata su un ripiano a due metri da terra, è seduto un vecchio iscritto al partito. Gli siedo accanto, ai piedi una stufetta elettrica, e lui smette di guardare la tv, ci mettiamo a parlare, e mi racconta di quando il suo maestro se ne andò a Varese che lui aveva quattordici anni e gli aveva lasciato la forgia, e lui doveva sostenere la clientela di tutti i contadini della zona, e fare falci zappe e roncole per tutti.

La casa del popolo di Rosarno è intitolata a Peppe Valarioti, che ne era segretario nel 1980, quando lo ammazzò la ‘ndrangheta.

Credo

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di Andrew Zawacki

traduzione di Andrea Raos

da “Schema”

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di Adriano Padua

PARTI 5-8 (DEL SEGNO)

5. La porta spalancata sui testimoni oculari, addetta a introdurre. Propositi tutt’altro che saldi, paure ai linguaggi, nelle nostre radici parole, in trascurabili immaginazioni, nelle quali s’accumulano i particolari, si moltiplicano, danno forma alla parte del senso, è importante, non seguire le tracce. Appartenere, mentre intorno s’incide la storia, non è un fatto assoluto commesso dai corpi sconnessi. Ciascuno sta, come un giocatore, un’insidia visibile, giustificando in qualche modo la sua partecipazione. Alle estremità l’animale e la strada, l’arredamento invece è dentro, ci circonda, con i giochi riusciti.

Correspondances – Cartografia dei possibili

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Corrispondenza da Marsiglia sull’incontro internazionale
“Nouveaux territoires de l’art” 14-15 et 16 fèvrier 2002
di
Francesco Forlani

Ci sono cose che si fanno per convinzione, talvolta per un’idea precisa, un segno, forse per curiosità, e il desiderio diventa l’unico mezzo per andare fino in fondo, seguire una traccia, un’altra, fino a ricomporre un senso, un senso profondo, alla propria ricerca.
Il registro, la trama da seguire non può allora assecondarsi ad una rigida osservazione di un evento che si è “prodotto” in questi giorni in Francia, – Marsiglia è la capitale di Parigi, ci aveva detto un ragazzo al bar- e che dovrebbe, per chissà quale acrobazia intellettuale, interessare il lettore tipo di Alternative. Voi, probabilmente, vi state già chiedendo, vabbè, insomma, o come si fa a Napoli, che si dice “ ma in sostanza”, vai al dunque.
Dunque…

Il progetto
Due anni fa, e precisamente nel 2000 Michel Duffour, secrètaire d’Etat au Patrimoine et à la Dècentralisation culturelle, incaricava Fabrice Lextrait di stilare un rapporto sui « nuovi territori dell’arte », dedicando un’attenzione più che particolare alle forme artistiche, realizzazioni, progetti nati in quell’area che potremo definire “non istituzionale”, e in particolare associazioni, squat, friches- equivalente dei nostri centri sociali- su tutto il territorio francese. Il rapporto, pubblicato nel Giugno scorso, da una parte disegnava una carta, assolutamente ignorata fino ad allora dal potere politico, dall’altra riusciva a estrarne concetti, modi, forme che suggerivano seppure nella diversità, complessità, un percorso, per le istituzioni, non più di muro contro muro, ma di ascolto reciproco. Nel rapporto che è consultabile su internet c’è tra l”altro una scheda dedicata alle esperienze italiane che il nostro ceto politico farebbe bene a consultare. http://www.culture.fr/culture/actualites/indexflextrait.htm

E ora Muppets!

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L’illusione [Eracle # 12]

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di Ginevra Bompiani


Ed è con indifferenza che Persefone si lascia derubare, concedendogli il suo cane;
e che Eracle non diffida.

Che cosa imparò Eracle ad Eleusi non si saprà, finchè i misteri restano misteri. Ma quel che imparò doveva servirgli a penetrare nel regno dei morti; e ancor più a uscirne. Non diede però mostra di nessuna conoscenza. Forse gli insegnarono soltanto a non stupirsi. Non è questo un iniziato? A cosa mai ci si inizia se non ad accettare? E accettare senza opporre resistenza alla morte che ti sorvola, fu forse il segreto insegnatogli per tornare vivo.

When I was a child – I am a child

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Spiracle by Soap&Skin

 

When I was a child I toyed with dirt and I fought
As a child, I killed the slugs I bored with a bough
In their spiracle

Due storie

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raimondi marco antonio sogno

di Andrea Inglese

Incendi

Gregorio è stanco morto, e ha bisogno assoluto di un cavallo. Quando finalmente riesce a comprarselo, tre mesi dopo, è diventato il re delle scommesse. Un sacco di gente gli vuole bene, ma non tutti. È risultato simpatico anche a Tommaso, che gestisce la manodopera clandestina in città, oltre ai chioschi delle scommesse. Gregorio monta finalmente a cavallo. Cerca con gli occhi un turista giapponese. Tutto brucia intorno a lui. Sono diversi e coordinati incendi dolosi che solo ora raggiungono il punto critico: la città è spacciata. Gregorio in sella sul suo nuovo cavallo risale il fiume. Si ferma a metà strada e prova a contare i soldi. Non sa più se le banconote devono circolare da sinistra a destra, o all’inverso.

Corpo Lettera Integrale: Casanova

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Casanova Intégral
di
Philippe Sollers
traduzione di Francesco Forlani

Era ora! Finalmente una vera edizione delle duemila pagine delle Memoires di Casanova, l’equivalente di A la recherche du temps perdu, otto milioni di caratteri, e che caratteri! Finalmente un solo blocco spettacolare, che meritava d’essere sì sistemato, ma non di certo censurato! La vicenda è complessa, ma in fin dei conti assai semplice. Casanova (morto nel 1798) scriveva in un francese spesso maldestro. Il manoscritto viene ritrovato in Germania ed è dapprima tradotto in tedesco. Poi, nel 1826, pubblicazione “en bon français” ma con delle attenuazioni, velature, aggiunte inopportune. Il manoscritto originale, invece, dovrà aspettare il 1960 (!) per essere conosciuto. Di qui, ora, la necessità di adottare un principio unico di edizione: leggibilità dell’aggiustamento grammaticale, e intercalari tra virgolette, nel racconto, della censura. Ecco cosa è stato fatto e fatto bene: Il risultato è per l’appunto favoloso.

Il mondo di Fiorino

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di Antonio Sparzani

la pancia del grande lago

Era stata un’estate passata a giocare ai pirati di Mompracem intorno alla vasca del bucato, al piano terra della casa di Ernesto, in mezzo a un vasto cortile di cemento, senza erba, che circondava tutta la casa. Erano tre, quell’estate. Con Fiorino ed Ernesto veniva quasi sempre anche un ragazzo dagli occhi un po’ persi, che tutti chiamavano Susa, Fiorino non capì mai perché, se fosse cioè il suo vero nome o qualche appellativo inventato dalla fantasia degli amici. Tanto più che intorno a Susa circolavano delle dicerie bizzarre, a proposito di sue strane e passate malattie, connesse con quel mondo degli organi sessuali, di cui così poco era ancora dato sapere. Fiorino non sapeva neppure dove abitasse e nulla della sua famiglia; era solo un ragazzotto alto e biondo con i capelli a spazzola e la voce già un po’ roca. Faceva parte comunque di quegli amici con cui si poteva “fare a spade”.