
Quel volto di sangue vero
di
Beppe Sebaste
Io ho paura. Di quel volto imbrattato di sangue, di quello sguardo. Quelle foto sono già un’icona contemporanea, un evento – che lo vogliamo o no – estetico, cioè politico. Nel flusso delle pose, delle immagini patinate e intinte di cerone, quel volto umano e per questo inaudito del capo, intriso di sofferenza e di odio, mi turba come – per esempio – un’opera-installazione di Maurizio Cattelan. E’ sangue vero – anche questo mi stupisce. Rosso. Comune e mortale. Volto, per una volta, nudo. Volto che, per una volta, soffre (s’offre). Utopia di una comprensione, una conversione, che non avverrà mai. Anzi.
Ho paura della violenza, di ogni violenza. Mi sento colpito, irradiato da un’energia negativa emanata da quel volto, nonostante ogni compassione. Se è l’era di un nuovo realismo, ho paura della brutalità della cosiddetta realtà. Mi fa anche già paura il fatto che sento di non riuscire a esprimere liberamente il flusso di pensieri e di associazioni di idee, anche solo intellettuali, anche puramente estetiche (se esistono), che quella sequenza di immagini mute mi suscita. Ho paura della mia autocensura, presentimento di una pesante censura. Paura dell’immensa violenza di rimbalzo. Paura di vedere, in quella bocca piena di sangue, l’immagine simmetrica della bocca che ride per mostrare i denti. Paura di scorgere, nel ghigno dell’umana sofferenza, un soffio algido di vendetta.