Danilo De Marco: R/ESISTENZE

testo di Erri De Luca

il partigiano “Cid”

la partigiana “Dorica”

I fascismi crollarono per la loro avventura in guerra. I fascismi che si astennero durarono a lungo in Spagna, in Portogallo. Ci voleva la guerra, voluta dai regimi di Germania, Italia, Giappone, per sconfiggerli. Allora fu giusto, per riscattare il nome del loro paese, che una minoranza di italiani prendesse le armi contro gli occupanti tedeschi e gli altri italiani al loro servizio. Fu giusta la guerra civile, l’attacco di una minoranza  in inferiorità numerica contro un esercito ben addestrato che reagiva con rappresaglie e stragi di inermi. Il Millenovecento è stato un secolo specializzato in sterminio di indifesi, più che di soldati.
Allora è stata giusta la guerra secondaria combattuta nell’aspro dei monti, nella clandestinità urbana. Quella lotta armata non poteva decidere la sorte di quell’urto mondiale tra eserciti, ma poteva contribuire alla sconfitta dei fascismi e al buon nome di un popolo nuovo.

il partigiano “Cino da Monte”

Solo in Jugoslavia la guerra partigiana riusci da sola a vincere contro nazisti e fascisti, senza intervento di russi e di americani. Da noi la lotta armata partigiana fu guerra secondaria, perciò più amara, più dura da combattere davanti all’evidenza che i fascismi alla fine del ’43 erano in rotta e il loro crollo solo questione di tempo. Quei nostri partigiani, quella spicciola minoranza di popolo agì lo stesso per guadagnarsi il dopoguerra della dignità. Quella minoranza si procurò il rispetto, poi l’affetto di una maggioranza che stava a guardare alla finestra, aspettando la fine della guerra. Solo anni più tardi quella maggioranza si mise a celebrare la lotta partigiana. L’Italia di quel primo dopoguerra credeva ancora nella monarchia, nella più sbracata famiglia di regnanti in fuga di tutta la storia moderna d’Europa. E ci volle un referendum a conteggio assistito, incoraggiato, per dichiarare l’Italia una Repubblica.

la partigiana “Walchiria”

L’Italia del dopoguerra mise in soffitta le donne e gli uomini che l’avevano liberata a mano armata. E oggi queste sono le ultime facce, l’ultima stesura di una gioventù coraggiosa che fece la cosa giusta al prezzo più alto.
Lasciano un buon nome, di quelli da nominare a una tavola alzandosi in piedi e toccando bicchieri alla loro salute.

(tratto da: CID il Partigiano, ed. Circolo culturale Menocchio, 2009)
***
Ed ecco nei due testi che seguono come il fotografo Danilo De Marco descrive – in questa nostra epoca di revisionismi – il suo progetto (non ancora concluso) R/ESISTENZE:

“Ho raccolto in questi anni i volti dei partigiani italiani, “francesi” (armeni, ebrei, polacchi, tedeschi), greci, austriaci…: i loro volti oggi, segnati dal tempo; volti a mio avviso che ci riguardano e ci concernono. L’inquadratura ripetitiva e chiusa, come si usa con le foto segnaletiche dei delinquenti, dei banditi, tutta concentrata sul volto: meglio ancora sugli occhi.
Gli occhi, unico punto di messa a fuoco, unico centro rimasto, forse, di un tempo salvato.
Ma la memoria sembra scivolare, scappare da quegli occhi sui piani del volto che via via si sfuocano, e lo spazio, quello spazio della vita per cui avevano combattuto, cancellato.
Con la perdita della memoria rischiamo di perdere la continuità di significato e giudizio.”

“Qui, dove?
Resistere a chi e a che cosa?

E chi dà nome a ciò che le persone scelgono di essere, quando rifiutano il conformismo e lo stato di fatto (partigiani o banditi, resistenti o terroristi, patrioti o criminali)? Chi definisce, dove sta il confine, chi lo fissa e difende, come muta?
Dal 2004 attraverso le strade d’Europa cerco queste persone: cerco i volti
di quelli che hanno accettato di rimettersi in “gioco” in questa doppia sfida della memoria e del tempo.
Ecco qui allora i loro volti oggi, segnati dal tempo; volti che ci riguardano e ci concernono.”

Danilo De Marco

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6 Commenti

  1. Si legge negli occhi una questione sul dolore,
    puntano verso noi l’intelligenza di un regno dell’ombra,
    quando si lottavano nel pericolo, in luoghi nascosti.

    Presenza dell’uomo o della donna venuti di tanti inverni,
    tante stagione, il sorriso dimenticato per tanti dolori,
    volti segnati, mappa dei strade delal storia, forse nelle
    grinze si nasconde una mattina di febbraio dove una ragazza
    ha scelta di raggiungere la Resistenza, di giocare la sua vita
    al nome di libertà.

    Credo che questi volti hanno molto da insegnare a noi e alla giovinezza:
    una lezione di coraggio, una lezione d’amore. Un fuoco vivo ancora negli occhi e forse un po’ di tristezza.

  2. Vedo qualche errore dopo: da tanti inverni, tante stagioni ,delle strade.

    Non so se devo corregere o lasciare.

    Ho un po’vergogna. Forse dovrei leggere e stare zitta.

  3. in effetti la messa a fuoco è regolata sugli occhi (occhi peraltro illuminati con una lampada, mi ha spiegato De Marco), tanto che le parti del viso più “lontane” sono sfuocate: è quello che contribuisce a creare l’incredibile “presenza” di questi visi resistenti

  4. … “quello spazio della vita per cui avevano combattuto” non è cancellato, vive in ogni cm quadrato della loro pelle.

    La scorsa settimana un amico direi “intellettualmente” vivace mi disse detto che per lui la memoria non esiste, che è un concetto di per sè fallace in quanto legato alla storicità del momento in cui gli eventi accadono.

    Risposi che la storia non passa, la storia si sedimenta in noi e che è inutile tentare di ignorarla chiamandola “memoria” nella sua accezione, è da codardi farlo perchè tanto ci segue come un’ombra.

    E’ triste pensare che può essere diffuso il sentimento di non voler ricordare, di volersi estraniare nel proprio presente e fingere che dietro alle nostre spalle non è mai successo niente, è triste …

  5. strano che la memoria storica del novecento italiano consideri principalmente chi resistette, chi collaborò coi nazi e chi fu deportato e ucciso.
    poca attenzione per chi fu mandato a combattere in guerra, magari lasciandoci le penne.

  6. Non vengono certo dimenticati tutti quei ragazzi che sono stati mandati a morire e a far morire da governi fascisti. C’è però chi ha disertato, una minoranza certo, e si è rifiutato di partire per quella guerra fascista di occupazione: e non solo in Italia. Una parte di quelli che sono riusciti a rientrare prima dell’8 settembre, quelli che ne avevano ancora la forza e il coraggio, hanno preso la via della montagna e hanno raggiunto la Resistenza.
    Una questione però dovremmo porci e, dalle righe di Erri De Luca, lo si può leggere chiaramente: una minoranza ha avuto il coraggio di rischiare la propria vita, non perchè obbligato a partire: ma perchè coscientemente ribelle ad una situazione insostenibile: eticamente inaccettabile….
    Far parte della Resistenza è stata un atto difficile, alle volte non sempre chiaro, ma una cosa è stata chiara: mai dall’altra parte. Nessuno ha imposto a nessuno nulla.
    Ecco perchè ho voluto con il mio lavoro ricordare quei giovani, oggi diventati nonni e bisnonni. E i motivi credo siano chiari nelle poche righeche ho scritto e che accompagnano le fotografie…e non vogliono essere solo memoria, ma anche motivo di riflessione per quello che oggi ci sta accadendo.
    Invece e ci risiamo, devo ancora una volta insorgere, la parola INSORGERE mi piace molto e vorrei diventasse fatto quotidiano di fronte alla barbarie e alle ingiustizie di ogni giorno… per la -pardon- ma temo, ‘voluta’ confusione, paragonando partigiani a chi collaborò con i nazisti e i fascisti, e addirittura -qui sì- con una assenza totale di -pietas- versi i milioni di esseri umani, bambini vecchi donne zingari omosessuali comunisti ebrei dissidenti che sono stati inviati nei campi di concentramento di cui moltissimi mai ritornati.

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giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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