di Giacomo Sartori

C’è stato un tempo in cui ero un pescatore. Un pescatore con una canna da pesca senza mulinello, o più spesso con la bava stretta tra il pollice e l’indice della mano destra. Sui moli, sugli scogli. Mi piaceva il risucchio del pesce che abbocca, che strattona verso il fondo. Mi piaceva la preparazione e la cura della mia pur rudimentale attrezzatura. E gli empori puntigliosi dove trovavo gli ami, le bave di diverso spessore, i galleggianti e il resto. Mi piacevano in particolar modo i pesini di piombo, la loro untuosa ma energica arrendevolezza. Ma naturalmente mi piaceva soprattutto aspettare.
Mi piaceva aspettare che un pesce abboccasse, come tuttora mi piace aspettare che succeda qualcosa. Certo questo piacere non è un vero e proprio godimento, e men che meno una giubilazione: ha anzi a che fare con la privazione, e forse anche con la sofferenza. Ma è pur sempre un piacere struggente.










Provai altre volte durante quel mese di agosto a incontrare l’uomo veloce, altri sabati mattina, altre domeniche, mi piazzavo all’ingresso del paese, dove soleva passar lui, salutavo le macchine, e speravo: ora spunta, ora arriva. Cosa ci fai che ora passa?

