di Andrea Breda Minello
La settimana scorsa, facendo una ricerca di studio su internet, mi sono imbattuto nell’elzeviro a firma di Cesare Segre del 7 agosto scorso; in questo modo ho appreso della scomparsa di Rossana Ombres, morta in solitudine a Livorno il 2 agosto, in solitudine ripeto e purtroppo a testimonianza di ciò la salma è rimasta in obitorio per due giorni senza esser reclamata. In questo modo non dovrebbero morire i poeti, in questo modo non dovrebbero andarsene i grandi poeti. Rossana Ombres è nel novero di questi e non servono gli apprezzamenti di critici fini e notevoli come Segre, Sanguineti, Porta a renderle ragione, basterebbe l’umile ascolto della sua voce inusitata e mai davvero compresa. Ombres non ha affinità con nessuno, non ha modalità vicine a qualsivoglia scuola o tendenza poetica. Ombres è stata solitaria, superba, un’anacoreta della parola.
In suo ricordo ripropongo il pezzo che stesi per la rivista Daemon nel 2002. Vi chiedo, se vi capiterà di leggerla in antologia, di prestarle ascolto e di entrare nel suo mondo.













Provai altre volte durante quel mese di agosto a incontrare l’uomo veloce, altri sabati mattina, altre domeniche, mi piazzavo all’ingresso del paese, dove soleva passar lui, salutavo le macchine, e speravo: ora spunta, ora arriva. Cosa ci fai che ora passa?