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Post in translation: Régis Jauffret

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da Microfictions
di
Régis Jauffret

Un volgare cancro da operaio
(traduzione di Francesco Forlani)

Sono arrivato a Roisssy con un quarto d’ora di ritardo. L’aereo era già decollato.
– Per fortuna, visto che si è schiantato al di sopra dell’Atlantico.
Preferivo mancare al mio appuntamento a New York piuttosto che perdere la vita. Mélanie, un’amante di vecchia data, congedata, non aveva perso tempo, quando sono rincasato aveva già svuotato casa con un semi rimorchio noleggiato da Kiloutou. Su questa cosa, crisi cardiaca. Un ospedale in sciopero, un dottore reclutato sul campo che detestava la cardiologia. Rene artificiale, preferiva di gran lunga la nefrologia. Morto, sepoltura ad opera di due imbranati che si sbagliano di tomba. Eternità in compagnia di bare nere, che non fanno altro che affossarmi il morale già basso.

OTTOBRE 1912: relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione al Congresso Americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti.

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di Antonio Sparzani

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Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

OUTING E DIRITTI CIVILI

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di Franco Buffoni

Un motivo di consolazione. Forse – grazie agli eventi degli ultimi mesi – siamo riusciti a scampare l’elezione di Silvio Berlusconi a prossimo Presidente della Repubblica. Non è poco. L’anomalia è che gli eventi non sono stati messi in moto dall’opposizione (come sarebbe logico) o dall’opposizione interna (es: Gordon Brown vs Tony Blair), ma dalla moglie del premier, dalla madre dei suoi figli. Accontentiamoci. L’opposizione interna (Gianfranco Fini) tuttavia si sta facendo sentire da posizioni di buon senso in particolare sui temi attinenti ai diritti civili. Il richiamo alle destre europee di Merkel e Sarkozy è appropriato. Se puntiamo al minimo sindacale nel campo dei diritti civili, quelle destre europee lo hanno concesso da tempo.
Se invece parliamo di destra italiana (clericali, leghisti, fascisti e quant’altro) la situazione è tragica e – ancora una volta – anomala.
Chi conosce il mondo anglosassone sa bene la durezza di certi outing scatenati da attivisti per i diritti civili (radicali, progressisti, dunque di “sinistra”) contro ipocriti vescovi e parlamentari conservatori. Il caso Feltri/Boffo invece si è giocato tutto all’interno della destra (quella leghista-berlusconiana vs quella clericale), o addirittura, una volta gettato il sasso – come sostengono acutamente alcuni – tutto all’interno del potentato cattolico (Cei vs Segreteria di stato).
Per chi non ha dimestichezza con il mondo anglosassone richiamo alcuni punti essenziali.

Gay è ok! Stop omofobia! Fiaccolata contro l’omofobia a Pistoia

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Dopo tutti gli avvenimenti e azioni omofobe contro le persone e la comunità LGBT, un gruppo di persone e di associazioni ha deciso di organizzare in data Domenica 13 Settembre 2009 una fiaccolata a sostegno e ricordo di tutte le vittime per omofobia e per tutte quelle persone che hanno ricevuto attacchi solo perché ritenuti diversi, malati o semplicemente non conformi alla società.

Percorso

21.30
Ritrovo presso il Parterre di Piazza S.Francesco (Conosciuta come Piazza Mazzini)

Face & Book

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Nota al libro di Marino Magliani
La tana degli Alberibelli ( ed Longanesi)
di
Francesco Forlani

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“Il movimento dignitoso di un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge dall’acqua. Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che lasciare dei vuoti nel suo scritto”

Ernest Hemingway, Morte nel pomeriggio

Da qualche tempo sulle quarte di copertina o sul risvolto in terza, sorridono beate le facce degli scrittori. Una faccia può talvolta suggerire una poetica, talaltra no, come nel caso di Jack Kerouac la cui faccia d’angelo poco ricorda l’epica on the road che aveva cantato. Con questo non voglio assolutamente proporre una corrispondenza lombrosiana tra il chi è, che faccia ha, e cosa scrive. Però talvolta succede che una tale coincidenza si produca in letteratura, per esempio in Francisco Coloane o in Francesco Biamonti.

Loca IV: Qui riconosco tutto, e perciò penetra subito in me: in me è di casa. [ da “Bibliothèque Nationale” ]

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©,\\’ Orsola Puecher

     di Rainer Maria Rilke
 
     Io seggo qui e leggo un poeta. Ci sono molte persone nella sala, ma uno non se ne accorge. Sono nei libri. Talvolta si muovono nei fogli, come uomini che dormono e si rigirano tra un sogno e l’altro. Oh, ma come si sta bene fra uomini che leggono! Perché non sono sempre così? Puoi avvicinarti a uno e toccarlo leggermente: non si accorge di nulla. E se alzandoti urti un poco il vicino e ti scusi, accenna col capo verso la parte da cui ode la voce, il suo volto si gira verso di te e non ti vede, e i suoi capelli sono come i capelli di un dormiente. Quanto fa bene, questo. E io seggo qui e ho un poeta. Com’è il destino! Ci sono forse nella sala trecento persone che leggono; ma è impossibile che ognuno di loro abbia un poeta. (Dio sa che cos’hanno.) Non ci sono trecento poeti.

E’ uscito “L’Ulisse” n° 12

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L’Ulisse n.12Antonio Porta e noi

dall’editoriale di Stefano Salvi

Il nuovo numero de “L’Ulisse” raccoglie interventi, testimonianze e testi in omaggio dedicati ad Antonio Porta, di cui ricorrono quest’anno i vent’anni dalla morte […]. L’indagine su “Antonio Porta e noi” comprende anche un omaggio alla figura di Ermanno Krumm […].

Abbiamo voluto bipartire i materiali raccolti in “L’effetto Porta” (che riunisce i contributi saggistici o testimoniali) e “Omaggio in versi” (dove sono testi in memoria, di versi).

Predispone coordinate d’analisi (nell’opera, e nella figura intellettuale) la sezione “Antonio Porta e noi”. Raccoglie contributi di Gian Maria Annovi, di Vincenzo Bagnoli, di Eugenio Gazzola, di Elio Grasso, di Niva Lorenzini, di John Picchione, di Stefano Raimondi, di Alessandro Terreni, e di Adam Vaccaro. Con i testi di “Dossier Porta” si pone sguardo alla vicinanza – magari nell’esperienza dei versi, o personale – e amicizia, che idealmente prosegue qui con pagine di testimonianza diretta della figura di Antonio Porta: sono i contributi di Maria Corti, di Maurizio Cucchi, di Giuseppe Pontiggia, di Fabio Pusterla, di Maria Pia Quintavalla, di Giovanni Raboni, di Cesare Viviani, e (con materiali che documentano i momenti di una collaborazione tra due diverse arti) di William Xerra.

La manifestazione del 26

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di Un solo gruppo, una sola voce

La manifestazione del 26 settembre porterà a Roma la protesta contro una politica omertosa e mafiosa che ha infettato i gangli dello stato. Ciò che avvenne nel 1992 non è dissimile da ciò che avviene adesso. Ancora oggi nei palazzi del potere si annidano fin troppi segreti e contiguità che rendono certi ambienti della politca una sorta di mostruoso Giano bifronte, rivolto verso le istituzioni e rivolto nel contempo verso l’interesse del crimine.

Il nostro amato premier, che da dietro le sue televisioni e i suoi sorrisi, ci sembra tanto innocuo, è un paradigma, se non un motore del processo di setticemia dello stato di diritto.
Quest’uomo è contiguo con la mafia dai tempi in cui la banca del suo paparino, LA BANCA RASINI…

…RICICLAVA IL DENARO DELLA MAFIA.

Casa di risonanza

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Il racconto dell’oggetto
di
Eugenio Tescione
Note scritte a proposito di una realizzazione dell’architetto Beniamino Servino

«Che io sia un oggetto della memoria è falso, almeno quanto è vero che la memoria sia fallace. Non sono neanche un oggetto di natura, sebbene alle sue implacabili leggi io sia sottoposto: essa infatti, implacabile e sospinta dal suo implacabile e lento connaturare, mi ha assorbito, mi ha trasformato.
Io sono un oggetto del pensiero che ha avuto la sorte di varcare la soglia dell’invisibilità e, diventato visibile e sensibile, è nato alle trasformazioni prodotte dall’area del vivente, quell’area che congiunge l’estremo della bassa probabilità a quello dell’assoluta certezza. In questa area della vita, ora, vedo rallentare il declinare verso l’estremo assoluto, poiché si sono presi cura di me.»

Che l’oggetto abbia parola è un fatto inscritto in quella categoria ampliata degli accadimenti che include la capacità d’ascolto del soggetto. La lingua dell’oggetto ha una grammatica e una costruzione sintattica legate da una fissità costituita, cioè interiore, nel soggetto che istituzionalizza, cioè rende esteriore, la certezza del legame significante-significato. L’oggetto ha parola poiché è e diventa contenitore di contenuti liberamente in esso riversati: i contenuti del soggetto che lo ha creato e del soggetto che lo ha usato, di quelli che lo vivono, lo riempiono immettendo in esso la loro vita individuale.

Elogio dello stile reticente, disseccato, inorganizzato, ovvero dell’assenza di stile

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di Mauro Baldrati

La questione dello stile è da sempre un elemento di pesatura rilevante per gli scrittori. Esistono pulsioni, risonanze, esiste, forse, il tempo; esistono concatenazioni di pensieri – siano essi coscienti, palesi, sinceri o menzogneri – che cercano di spiegare (ma anche di negare) la realtà. Scrivere produce un movimento forzato, più o meno lineare e indifferente ai mimetismi, alle reticenze, alle finzioni di chi scrive, che organizzando ordini e segnali cerca di mettere in contatto le concatenazioni, attraverso i flussi della narrazione. E produce verità, perché la natura della verità è di essere prodotta: la verità del canto, del conflitto, del segreto, del vuoto pneumatico. La verità del racconto. Questo movimento costituisce la condizione della sua comunicazione, attraverso la forma.

TORNA L’OCCHIO DI HUBBLE

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[ click su ogni immagine per ingrandirla ]

 
Torna l’occhio di Hubble.

Specchi neri (incipit)

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di Arno Schmidt

traduzione di Domenico Pinto

(Clicca sull’immagine per ingrandire)

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La visione di Arno Schmidt

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di Marco Rovelli

All’inizio sembra un sogno, uno di quei sipari che Schmidt alza nel corso della narrazione: un uomo solitario che vaga per boschi e strade di campagna deserti, solo scheletri umani a segnare il cammino. Dopo un certo numero di pagine, in cui sei “preso” nella fantasmagorica lingua di Schmidt, catturato nei suoi interstizi, nei suoi ritmi, ti accorgi che è invece tutto fantasticamente vero: una guerra, una bomba all’idrogeno, e l’ultimo uomo sulla terra, a osservare il disastro, a scrivere la fine. Un signor Nessuno, l’“Utys” omerico, vaga in una terra metamorfica, dove le vestigia scheletriche degli umani si confondono e trapassano in natura – senz’altro – dopo che “l’esperimento uomo, il fetente, è terminato”. Poi arriva una donna: ma non cambia nulla, ché in Schmidt non si trova la morale.

“Videocracy” o del fascismo estetico (1)

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di Andrea Inglese

[La seconda parte dell’intervento, qui]
La negligenza, e quasi la cecità, della sinistra e della sua intellighentsia dinanzi a questo fenomeno deriva dalla situazione con cui hanno guardato alla cultura delle masse, che è stata considerata sempre marginale rispetto al potere presunto vero, cioè alla dimensione politica ed economica. Raffaele Simone

Essere spettatori di Videocracy è un’esperienza profondamente sgradevole. Durante la proiezione del documentario è percepibile un diffuso imbarazzo, che ogni tanto è rotto da qualche risata liberatoria. Ma quelle risate, appena risuonano, più che liberare incatenano maggiormente alla propria vergogna. Poi c’è lo schifo. Uno schifo da tagliare col coltello. E quindi la nausea di nervi, veri e propri crampi. E quando ti alzi e vedi gli altri spettatori come te, e sai già fin d’ora che se ne andranno come se niente fosse, come si esce ogni sera da un cinema, un po’ stralunati e un po’ eccitati, ti piomba di nuovo addosso la vergogna, quasi fossimo tutti quanti testimoni passivi e docili di un crimine detestabile, concluso il quale ognuno se ne va solitario, omertoso e impotente a casa propria. Strano effetto, davvero. Ma come? Non avevo io letto Anders, Debord, Baudrillard, Bauman? Non avevo letto Barbaceto, Travaglio, Perniola, la Benedetti, Luperini? Non conoscevo già tutta questa vicenda a memoria? Non avrei dovuto essere immune dallo shock? Non ho forse letto analisi e ascoltato dibattiti sul genocidio culturale, sulla rivoluzione mediatica degli anni Ottanta? Sul grande smottamento antropologico, cominciato con Drive in?

quattuor (passi) fare!

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Quest’estate, per chi l’ha visto e per chi non c’era, ho proposto una rubrica, questa. Alcuni contributi sono giunti fuori tempo massimo ( ah le poste d’un tempo!) così, sperando di fare cosa gradita ai più, ve le propongo con il segreto sogno di portare un giorno in giro per l’Italia tutta la compagnia di ballo. effeffe

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‘Ndrangheta: viaggio nelle terre radioattive

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radioattivodi Biagio Simonetta

AIELLO CALABRO (COSENZA) – Avvelenare le terre è un business. Ci guadagnano i clan, le grandi industrie del Nord est, le imprese. Un giro di danaro difficile da quantificare. «Non basta una finanziaria per spiegare i soldi che ci sono dietro questi traffici. Un traffico che è più remunerativo anche della droga» ha svelato ad ottobre un ex boss della ’ndrangheta.

8.9.1943 – 8.9.2009

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“Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”.

L’8 Settembre in Italia
di Giaime Pintor

Combattenti per la pace: un viaggio in Palestina (prima parte)

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Testo e fotografie di Lorenzo Bernini

Uno stencil di Banksy a Betlemme
Uno stencil di Banksy a Betlemme

Dove ti trovavi l’11 settembre 2001? Io ero a New York. Alle 8.46, quando il primo aereo si è schiantato contro la torre nord del World Trade Center, stavo facendo colazione. L’impatto ha fatto tremare i muri del mio appartamento. Ho visto il crollo delle torri dalla mia finestra, come immagino tu lo abbia visto dallo schermo della tua televisione. A poca distanza da me sono morte 2.974 persone, dicono le stime ufficiali, di 90 diverse nazionalità. Più i 19 dirottatori. Sono tanti 2.993 esseri umani. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire la differenza tra avere assistito alla loro fine trovandomi così vicino a loro piuttosto che guardando la tv – oltre ad aver avvertito la forza d’urto, oltre alla paura.

Simmetria, che dolce parola

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dalle Coefore a Lorenzo Ghiberti

di Antonio Sparzani
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You boil it in sawdust: you salt it in glue:
You condense it with locusts and tape:
Still keeping one principal object in view –
To preserve its symmetrical shape.

(Lewis Carroll, The Hunting of the Snark, Fit the fifth)

Questi versi già erano l’esergo di un capitolo di un testo di base di teoria quantistica dei campi (nella quale, come in tutta la fisica, la simmetria riveste un ruolo essenziale), assai celebre all’inizio degli anni sessanta. È lì che ho appreso, tra le altre cose, l’esistenza di questa piccola meraviglia – ritmicamente incalzante di giambi e anapesti – che è la caccia allo snark, di Lewis Carroll (pseudonimo del reverendo Charles Lutwidge Dodgson), che lo scrisse negli anni 1874-75. . Sono state fatte varie traduzioni italiane, io trovo che tenga molto bene il ritmo quella di Lucio Mazzi, La caccia allo Snark, Moby Dick, Faenza 1992), che ad esempio traduce così i versi citati (p. 62): «Puoi farlo bollire nella segatura / puoi farlo salato in colla assai pura / puoi farlo anche in brodo con nastri e con grilli / purché non dimentichi ch’è basilare / la sua simmetria poter conservare».

Da corrispondenza emotiva a categoria estetica a perfezione geometrica, si muove il termine simmetria nelle trame della lingua naturale, per invadere una rete di significati dai contorni sfumati.

Canzoniere brasiliano 3 – Banane a Hollywood

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carmen miranda 2 di Sergio Pasquandrea

Carmen Miranda è per un brasiliano quel che spaghetti-pizza-mandolino è per un napoletano: uno stereotipo irritante, e allo stesso una marca identitaria da esibire con orgoglio. Il personaggio, con la sua commistione di autenticità popolare e di lustrini ad uso dei turisti, può in effetti rischiare di ricadere interamente nel kitsch: ma le cose non sono così semplici.

Innanzi tutto: la cantante che è diventata uno dei simboli internazionali del Brasile non era nata in Brasile.

Maria do Carmo Miranda da Cunha, questo il suo vero nome, vide la luce il 2 febbraio 1909 a Várzea da Ovelha, un villaggio nel nord del Portogallo. La famiglia emigrò dall’altra parte dell’oceano poco dopo la sua nascita e “Carmen”, come era soprannominata fin da bambina, crebbe a Rio de Janeiro, nel quartiere popolare di Lapa, dove il padre aveva aperto una bottega di barbiere.

Fu costretta a lasciare presto la scuola per lavorare prima come sarta e poi come commessa in un negozio di cappelli. Dava anche una mano nella pensione gestita dalla famiglia, e proprio lì cominciò ad esibirsi cantando sambas, choros e maxixes che aveva imparato dalla viva voce degli interpreti di strada. Venne notata dal compositore Josué de Barros, che le fece firmare un contratto radiofonico. Nel 1930 arrivò il primo successo, intitolato “Ta Hi!”, e nel decennio successivo Carmen divenne rapidamente una star di fama nazionale, interpretando anche una serie di fortunatissimi film musicali.

La luce

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di Andrea Inglese

Qui non mi può raggiungere la forma interna della città, la sua anomalia di riflessi, tutti metallici, con l’azzurro del cielo in transito, in continuo sfogo verso il nord e l’oceano, qui la configurazione intima si è allentata, la morsa del tredicesimo, la sua monotonia di acacie e grate metalliche per terra, qui le cancellate del liceo, la scale mobili che non si arrestano neppure di notte, nel tempo morto, qui i giocatori di pallone nel campetto di cemento, qui Max, l’alcolizzato colto, il senza casa, qui non mi possono raggiungere, i fumatori costretti ad appoggiarsi alle vetrine, all’esterno, qui i carrelli di tela cerata da cui sbucano i sedani non arrivano, la mappa mentale, che Parigi ha costruito per strappi continui, per trafitture, per piccole ustioni sentimentali, come un pirografo, qui no, non sopra i bastioni di Castel Sant’Elmo (la fortezza di tufo sopra i resti della chiesa di Sant’Erasmo),