di Francesco Forlani
Molti sono i casi più o meno legittimi di esproprio, ma in uno solo si realizza l’esperienza che diremo del furto reciproco e consapevole e che solitamente accade alla fine di una lunga storia d’amore. Perché nelle storie delle separazioni fioccano racconti come micosi, di pezzi, forchette e coltelli, sottratti alle argenterie comuni, delle librerie, mobili scomposti, smodulati, leggendo a ritroso il libretto delle istruzioni, dal secondo Vangelo Ikea e ricostituiti altrove monchi di una cassettiera o di un piano di lavoro. Eppure lo sai che il vero furto, compiuto in modo consapevole riguarda i libri di chi si è amato, e sempre si amerà, al momento in cui si preparano gli scatoloni – in genere alla letteratura si riservano quelli recuperati al supermercato sotto casa, dei pelati e della frutta e verdura – e non si sa bene come, pur non ignorandone il perché, ci si appropria indebitamente dei libri che non sono i tuoi, ma i suoi. In genere non è il titolo a fare gola quanto la collanina, la matrice grafica della casa editrice e sicuramente un posto di primo piano lo occupano le adelphiane e a seguire le bianche einaudi. Così quando l’antico amato ti invita nel suo nuovo appartamento la prima cosa che ti viene di osservare non è la presenza sul comodino di una nuova fotografia, “la faccia sovrapposta a quella di chissà chi altro, oh oh” ma se tra i suoi libri dovesse spiccare un titolo che ti appartiene magari con dedica a sancirne la proprietà.















