di Giacomo Sartori
Il mio organo della riproduzione ha avuto un’infanzia difficile. È nato menomato, poverino. Non era paralitico, o cerebroleso, o sordomuto, intendiamoci. Però gli mancava pur sempre una parte importante. Uno spezzone che comprometteva la simmetria dell’insieme. Forse proprio per questo mia madre non mi tagliava mai i capelli. A quell’epoca solo le bambine avevano i capelli lunghi, perché i capelloni non erano ancora stati inventati. Quindi io avevo i capelli lunghi come le bambine. Con il cerchietto, o senza cerchietto, a seconda. Mio fratello aveva i capelli a spazzola, e con la sua faccia prematuramente arcigna e piena di angoli sembrava proprio un maschietto, io sembravo sputato una bambina.
Qualche volta mi veniva da pensare che forse mia madre avrebbe preferito una bambina. Una bambina che le diceva che era proprio brava, non come mia sorella, che s’era ammutinata, e era andata a vivere con mia nonna. Una bambina senza tutti quegli ormoncini esagitati di mio fratello, che pestava sempre i piedi come per spegnere un fuoco, e quando sbatteva le porte sembrava che venisse giù tutto. Un angioletto che le svolazzasse intorno senza fare troppo rumore di ali e senza niente di preciso sull’inguine, insomma.
Questa però è una tipica falsità da scrittorucolo, da cestinare subito. In realtà all’epoca non pensavo proprio niente.





di Massimo Gezzi



