
di Gianni Biondillo
[Questa chiacchierata con John Banville, che è stata pubblicata su L’Unità del 15.10.2008, era programmata in altra data. Ma credo possa essere un buon contributo alla questione teorica che si sta dibattendo in questi giorni su NI, grazie alle parole di Cortellessa, Donnarumma, Policastro, Inglese e di buona parte degli arguti commentatori. Fra questi c’è chi chiedeva l’opinione degli scrittori. Banville, mostrando la sua bottega, involontariamente propone degli stimoli sui quali, credo, si possa meditare. G.B.]
Non sono un giornalista, non ne ho il talento. Sono soprattutto un lettore. Non so bene come si intervisti un autore come John Banville, uno fra i più importanti in lingua inglese, vincitore del Booker Prize, amato da autori del calibro di Don DeLillo o di Martin Amis. Mentre gli stringo la mano glielo dico. “Bene, vorrà dire che non mi chiederai qual è la mia boyband preferita”. Neppure ci pensavo. Esistono piccole realtà territoriali, invece gli dico, come l’Irlanda o Israele, che hanno saputo produrre letteratura di livello globale.





