VivaVoce#02: Ghérasim Luca [1913–1994]

[Cubomania di Ghérasim Luca]
Son corps léger… [letta dall’autore]
[dalla viva voce dell’autore – quel suo astratto francese dal marcato accento rumeno – quasi straniato – didascalico – brechtiano – così esule di luoghi e sentimenti – così esule di un mondo in cui non c’è più posto per i poeti – a 81 anni un salto nella Senna e via – e la sua glace – quasi intraducibile in un solo modo – a volte scivola come ghiaccio fra le labbra – altre pare trasparente ed aguzza come vetro – forse riflettente a specchio – prismatica di cristallo – stella di fiocco di neve – chicco di grandine di tempesta – persino dolcezza di glassa – o tutte le cose insieme]
|
Son corps léger |
Il suo corpo leggero è la fine del mondo? è un errore è una delizia che scivola tra le mie labbra vicino al ghiaccio ma l’altro pensava: non è che una colomba che respira comunque sia là dove io sono avviene qualcosa in una posizione delimitata dalla tempesta Vicino al ghiaccio è un errore là dove io sono non è che una colomba ma l’altro pensava: avviene qualcosa in una posizione delimitata scivolando tra le mie labbra è la fine del mondo? È una delizia comunque sia il suo corpo leggero respira con la tempesta In una posizione delimitata vicino al ghiaccio che respira il suo corpo leggero che scivola tra le mie labbra è la fine del mondo? ma l’altro pensava: è una delizia avviene qualcosa comunque sia per la tempesta è soltanto una colomba là dove io sono è un errore È la fine del mondo che respira il suo corpo leggero? ma l’altro pensava: là dove io sono vicino al ghiaccio è una delizia in una posizione delimitata comunque sia è un errore avviene qualcosa per la tempesta non è che una colomba che scivola fra le mie labbra Non è che una colomba in una posizione delimitata là dove io sono con la tempesta ma l’altro pensava: chi respira vicino al ghiaccio? è la fine del mondo? comunque sia è una delizia avviene qualcosa è un errore che scivola fra le mie labbra il suo corpo leggero |
da La Fin Du Monde, in Paralipomènes, Paris, 1969
[traduzione di orsola puecher]
file audio da ubu.com
Su Nazione Indiana
di Ghérasim Luca
Prendere corpo
tradotta da Andrea Raos
VivaVoce#01: Thomas Stearns Eliot [1888–1965]
VivaVoce#02: Ghérasim Luca [1913–1994]
VivaVoce#03: Sylvia Plath [1932–1963]
,\\’
Bacheca di maggio 2008
Novità sul sito Nazione Indiana:
- Link esterni: sono stati spostati tutti dalla colonna di destra in una pagina separata; lo scopo è ridurre l’affollamento di informazioni sulla home page e facilitare l’accesso ai contenuti di NI;
- Gestione commenti: abbiamo introdotto la moderazione preventiva di una parte dei commenti, che vengono pubblicati dopo un certo tempo (vedi note a piè di ogni articolo) e solo se conformi ai criteri espressi qui; estenderemo questa misura se lo riterremo opportuno;
- Impaginazione alternativa: lo scorso 9 aprile per il CSS naked day abbiamo pubblicato Nazione Indiana senza grafica e senza fogli di stile; la cosa mi è piaciuta e trovate ora un piccolo selettore nella colonna di destra, se volete leggere NI con diverse impostazioni grafiche;[aggiornamento 13 maggio: funzione eliminata per problemi di stabilità]
Inoltre:
- qualcuno sarà al Wordcamp Milano il 10 maggio?
Voce all’Editore

di
Biagio Cepollaro
La Camera Verde, Il Libro dell’immagine, volume quinto. A cura di Giovanni Andrea Semerano.
Sono quindici anni, da quando è venuto a mancare quel prodigioso organizzatore e promotore di cultura che è stato Gianni Sassi , forgiato dall’esperienza Fluxus e dall’amicizia di Cage che non incontravo un ‘luogo’ che mi comunicasse le stesse energie e la stessa qualità intellettuale e morale. Il luogo non è a Milano ma a Roma ed è La Camera Verde ‘curato’ da Andrea Semerano.
Un luogo è qualcosa di fisico, di geografico, certo, ma lo è solo in forza di una sua realtà interiore: il luogo lo fa chi lo pensa e lo abita.
Che si promuovano valide iniziative culturali in Italia non è raro malgrado l’antropologico degrado che sembra non arrestarsi mai e che sempre più trova la sua peculiare voce, al di là del senso comune in cui si è radicato da almeno un ventennio, nelle forme e nella sostanza delle istituzioni. Ma che ci si possa trovare non di fronte a irrelate iniziative ma ad un ‘contesto generante’ il cui spessore e la cui storia sono animate da rigorose e precise coordinate culturali, questo si è davvero raro, anzi: rarissimo. Anche perché spesso ciò che proviene dalla cosiddetta cultura critica oggi spesso non ha vitalità, vuoi per l’irrigidimento ideologico, vuoi per la stanchezza degli attori, vuoi per la pura e semplice mancanze di idee.
I pirati della spazzatura
[È con vero piacere che ospito un articolo scritto per Nazione Indiana da Loretta Napoleoni, uno dei massimi esperti di terrorismo internazionale. Avevamo già parlato di lei qualche tempo fa, qui. G.B.]
La crisi dei rifiuti nel napoletano sconvolge l’Italia e le agghiaccianti eco si fanno sentire anche all’estero e Berlusconi decide di governare da Napoli tre volte la settimana fino alla risoluzione della crisi. All’estero qualcuno mormora che il governo non tornerà mai più a Roma perché le pile dei rifiuti nascondono l’ennesimo racket miliardario del crimine organizzato. E probabilmente hanno ragione, ma la gestione dei rifiuti in Europa e nel mondo non è cosi limpida come si crede.
Quanti consumatori del mercato globale sanno che dai cellulari vecchi alle batterie scariche, i nostri rifiuti tossici finiscono nelle discariche del mondo, e cioè i paesi poveri, contaminandone l’ambiente? Quanti sanno che si tratta di un’ attività illegale, un business multimiliardario che coinvolge tutti i paesi industrializzati? Chi fisicamente gestisce questo disgustoso commercio è una nuova generazione di fuorilegge della globalizzazione: i pirati della spazzatura.
Canticchiando la catastrofe
È difficile resistere al Mercato, amore mio. Di conseguenza andiamo in cerca di rivoluzioni e vena artistica. Per questo le avanguardie erano ok, almeno fino al ’66. Ma ormai la fine va da sé. È inevitabile.
Six Pack
di Gianni Miraglia
A Milano si dice vado all’Empi se sei socio di questo centro esclusivo. C’è bianco dappertutto in questa palestra che si chiama Empire Club, Empire Wellness Point, Empire Relax Fit Center, Empire Soul Fit Dynamic e altre parole col suono dell’infelicità. C’è scritto solo Empire Sport sul bianco luminoso del cartello storico all’entrata. Anche l’odore di pulito disinfettato sa di bianco, l’efficienza attorno a me sa di evoluzione, tutto al posto giusto.
Turchia: Le donne di Istanbul
testo di Lorenzo Bernini, fotografie di Giovanni Hänninen
[NdR: questa è la prima parte di un reportage di viaggio in Turchia nell’inverno del 2007; leggi anche la seconda parte e un approfondimento a seguire.]

Negli ultimi anni Istanbul è diventata una meta molto battuta dai turisti italiani, attratti dallo splendore del Topkapi, il palazzo del sultano, della Moschea blu e di Santa Sofia. A Istanbul siamo stati anche noi, ma la nostra visita ha soltanto sfiorato le mete turistiche. Il nostro scopo era sondare l’opinione pubblica turca attorno a due problemi scottanti, dalla cui soluzione sembra dipendere l’ingresso della Turchia nell’unione Europea: il velo femminile e la questione curda. Il nostro viaggio si è svolto quindi in due tempi, attraverso di una realtà politica complicata e violenta. È stato un viaggio che ci ha riservato molte sorprese e durante il quale ci siamo dovuti sbarazzare di non pochi pregiudizi.
VILLA(VIVE!)
Tentativo serenamente fallimentare di descrivere la mostra di Reggio Emilia
di Fabio Pedone
Come chiamarle se non ‘scritture’? Esse si impongono in quanto tali. Nella chiesa di San Giorgio ci sono i resti (bruciati, brucianti) di un’esplosione di segni, i relitti di un big bang irrimediabile, una magmatica costellazione. A un primo colpo d’occhio la navata appare occupata da quattro file di teche, con fogli, testi, opere-operazioni, riviste e manifesti, oggetti. Impressione di potenza e di fragilità. Ci sono manoscritti inediti, fogli e foglietti, carte e cartulae, taccuini, quaderni a quadretti, lettere, fotografie, bozze e prove di stampa, edizioni con correzioni autografe, testi scritti su vetro, cartone, lastre di zinco; le Idrologie escogitate con Cegna e Craia; i numeri di «Appia Antica», della brasiliana «Habitat», di «Arti visive» burrascosamente condiretta con Colla, le cinque uscite di «Ex» preparate con Mario Diacono e altri, «Tauma» e le altre riviste che ospitavano la smisurata operatività villiana. Ci sono i dattiloscritti, con aggiunte autografe, della traduzione della Bibbia. Ci sono edizioni antiche di Athanasius Kircher, per la cui eclettica polimathia Villa nutriva ammirazione. Quasi tutto il materiale manoscritto (spesso su labili supporti) e le traduzioni bibliche vengono dal fondo della Panizzi, diverse opere verbovisive (molte delle quali esposte proprio davanti alla chiesa, dentro la biblioteca) dall’Archivio di Nuova Scrittura di Bolzano. Molti i prestatori di edizioni introvabili e opere d’arte. Un cartello esplicativo con un testo non firmato (ma di Nanni Cagnone) evidenzia in Villa «la speranza di ottenere un silenzio originario a furia di dire», la ostinata tensione verso l’elusione della storia, raccordando origine e futuro, scavalcando arcaicità e avanguardia; l’importanza della figura del labirinto manieristicamente intesa, il foedus significante-significato rotto e calpestato, gettato in una segreta circolazione fra copertura e rivelazione, in una sfida sbilenca, sberleffo e implorazione, con la Sibylla: «una lingua sconosciuta, esagerata, insieme beffarda e sacrale».
Sguardi a perdita d’occhio. Poeti leggono l’arte
Quattro poeti italiani leggono quattro grandi artisti.
Inaugurazione
29 aprile Aula Magna dell’Università di Bergamo, ore 18.00
introduce Philippe Daverio, critico d’arte e conduttore della trasmissione Passepartout in onda su RaiTre.
Incontri ogni mercoledì presso la Sala della Porta Sant’Agostino a Bergamo Alta, ore 18.00
Villa(vive!) / Reportage da Reggio Emilia
di Fabio Pedone
L’agente speciale Fabio Pedone è partito in missione a Reggio Emilia per vedere la mostra dedicata a Emilio Villa. Ne ha ricavato uno splendido, densissimo saggio/reportage che pubblicherò a breve. Nel frattempo, a mo’ di antipasto, la lettera con cui Fabio accompagnava la spedizione del saggio. L’ho trovata molto divertente (e non solo); con il consenso dell’autore, la ripropongo qui. a.r.
Porca vacca, Andrea, scusa se non ti ho scritto prima ma il lavoro e altre ordinarie cazzate mi hanno rallentato nella trascrizione degli appunti presi a Reggio Emilia. Beh, alla fine mi son fatto prendere troppo, e dunque mi dispiace infliggerti il papiro (goffo, gonfio) che trovi in allegato. Ma m’è venuto così, e ho provato a scriverlo per te in modo non dico da sostituire l’esperienza diretta della cosa (e che! sarei pazzo) ma da inzepparlo di dettagli, particolari e osservazioni prese sia dalla mostra che dal catalogo. Scusa l’esagerazione evidente del tutto. L’occhio è comunque il mio e ahimè si vede.
Reggio Emilia mi è apparsa una città tutta implosa nel suo piccolo centro, ferma in un’aria sospesa e un po’ stremata, in un’eterna domenica (di quelle alla Laforgue). Però pare che facciano bene la pizza e anche il gelato (me lo dice V., io mi sono nutrito esclusivamente di tortelli e radicchio).
Abbiamo trovato economico alloggio in un B&B appena aperto da una signora che fa l’architetto e ha ereditato due piani di un bel palazzo del Seicento con quadri e arredi inclusi. La partecipazione alla mostra mi è parsa abbastanza distratta, nel senso che la gente entrava più che altro perché non aveva un cazzo da fare durante lo struscio del sabato pomeriggio, e poi perché credono che l’avanguardia – o ciò che viene presentato come tale – faccia molto trendy da quelle parti.
Terra! (mia, tua, loro, di camorra)
Nico contro la guerra
di
Paolo Mossetti
Nico ripete questi gesti a memoria, ormai: riempie un secchio con acqua fredda, usando l’annaffiatoio del giardino; ci versa dentro cinquanta grammi di colla in polvere, quella per la carta da parati; mescola a ritmo rapido e regolare per circa venti minuti, con il manico di una scopa, affinché acqua e colla diventino tutt’uno, un liquame viscoso e biancastro. Si sente ancora intorpidito dal sonno, Nico. Dà un’occhiata all’orologio: le due e mezza del mattino. Il cellulare inizia a vibrare: sono arrivati Peppe e Andrea, e lo aspettano in macchina. Lui partirà con loro, con il secchio, la scopa e i poster da attaccare in giro per Napoli: inizia così la sua nottata da assaltatore di muri.
L’invidia di Basemah
di Franz Krauspenhaar
Smetta di piangere, dico alla donna. Lei, la sirena, è giovane, le trecce bionde, truccata come se dovesse andare a una festa; il rimmel le cola giù per la faccia infantile, rosea, di ragazzina trecciuta, e sbalza all’altezza di una piccola cicatrice appena sopra la parte sinistra del labbro. Smetta di piangere e ragioniamo.
da “canti ostili”
di Italo Testa
strangeways, here we come arriviamo su vie strane, amici e non c’è un veliero ad attenderci, arriviamo a forza di braccia, arriviamo e scivoliamo, respirando oltre, stendendoci sulle assi del ponte; allarme, ad ogni ora il mare si gonfia abbassa una benda alla bocca; ogni istante animali urlano: teniamo un cofanetto tra le mani per conservare i resti, la traccia, il setto vitale, la minaccia delle falangi che cadono. variamente il cielo esplode, sulle date di costruzione, sull’espressione di una caduta: apriamo un ombrello per resistere, neghiamo il senso, vegliamo per garantirci una vera fine, per non cedere ai topazi del cielo, ai topi pazzi di un’altra vita; inforchiamo paraocchi, stringiamo, chiudiamo il campo all’orizzonte; guardiamo a fianco, per una volta il sangue non manca di lato; prendiamo stracci, strofiniamo consumandoci le braccia, neri di vergogna. continuiamo.
I numeri, la pancia, la ricostruzione
di Leonardo Palmisano
Per una settimana ho smesso con la politica.
Dopo aver passato i giorni a cavallo tra il 12 e il 14 aprile in treno (Torino-Fasano e ritorno, per complessive 21 ore) a correggere le bozze di un manuale di storia moderna per licei, a chiacchierare con elettori migranti e a litigare con passeggeri arroganti (convinti di avere il diritto di guardare l’ultimo film di Verdone al computer con il volume al massimo, in mezzo a settanta persone del tutto disinteressate – ma anche del tutto prive del coraggio di difendere i propri diritti!), ho deciso che mi meritavo qualche giorno di riposo.
Non sono però riuscito a smettere di chiedermi “Perché di nuovo Berlusconi?”, “In che Paese viviamo?”, e dato che le possibili risposte si rincorrevano e si sovrapponevano l’una all’altra, qualche giorno fa ho deciso che l’unico vero rifugio potevano essere i numeri.
Delle cose perdute

Quindici uomini uccisi dai fascisti.
Il dieci agosto del quarantaquattro.
A Piazzale Loreto, a Milano.
Quindici antifascisti detenuti
nel carcere di San Vittore.
Per questo eccidio condannato dal Tribunale Militare di Torino il capitano delle SS Theodor Saevecke. Nel 1999. All’ergastolo. In contumacia. Come tanti altri. Ormai più che ottuagenario. Visse una tranquilla esistenza in Germania. Da persona per bene. Non un giorno di prigione. Come tanti altri. Non si pentì mai e chiese allo Stato Italiano un risarcimento per la condanna.
“Fuori commercio”. Nuova collana di poesia.
La casa editrice Transeuropa sta per varare una nuova collana di poesia, “Fuori commercio”. Un’idea originale, i cui dettagli potete leggere qui
Il pisello di fuori, la notizia, l’oblio di sé
di Andrea Inglese
Se ripenso un attimo alla mie vicende scolastiche, dalle elementari fino al liceo, in termini di infrazioni penali, penso che avrei potuto totalizzare almeno dieci anni di carcere. Senz’altro gli “atti osceni” l’avrebbero fatta da padrone, in quanto a tipologia di reato. Penso anche che almeno un terzo degli alunni di tutte le classi in cui sono stato avrebbero puntualmente condiviso con me tale destino. La prima denuncia avrei potuto collezionarla in seconda elementare quando, in refettorio, abbassai i calzoncini al fratello piccolo della mia giovane maestra, che mi sgridò poi inferocita. Ma i veri maxiprocessi si sarebbero svolti soprattutto a partire dalla terza media. La terza media corrispose, per noi alunni, ai grandi trionfi pubici, ossia alle più svariate e assidue esibizioni, in aula, della nostra peluria, dei nostri piselli in erezione, e delle tracce di sperma su lembi di camicia, fazzoletti, o altro.
Terra!Sperare non sparare (dal fronte occidentale)
Alla testa
di
Andrea Bottalico
(…)Georgi Stoev aveva trentaquattro anni. Robusto, una foto lo ritrae con un libro in mano che osserva altrove, la giacca di pelle copre un corpo robusto, da torello. Da ragazzo sognava di diventare un wrestler. Il suo sguardo rassegnato scruta con attenzione chi ha davanti, ma nasconde rabbia, secerne veleno. Georgi Stoev era uno scrittore. L’hanno ammazzato il 7 aprile in pieno centro a Sofia due sicari. Tre colpi di pistola, uno alla testa. Sopravvissuto all’agguato, è morto all’ospedale dopo una breve agonia. Eppure lo sospettava da tempo, si sentiva minacciato, in pericolo. Dicono che abbia chiesto la protezione ma il ministro della giustizia bulgaro era uno dei personaggi citati nei suoi libri.
Provenza in primavera
di Marina Torossi Tevini
L’inconscio fa capolino tra gli scarti del pensiero dove le logiche muoiono. Sul terreno devastato la notte avanza. Giornata tremenda ieri: pianura padana e mal di denti. Il sonno però deve aver ricomposto qualche frammento scompaginato del mio inconscio, penso, passeggiando in una piovosa mattina ligure.






