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Villa(vive!) / Reportage da Reggio Emilia

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di Fabio Pedone

L’agente speciale Fabio Pedone è partito in missione a Reggio Emilia per vedere la mostra dedicata a Emilio Villa. Ne ha ricavato uno splendido, densissimo saggio/reportage che pubblicherò a breve. Nel frattempo, a mo’ di antipasto, la lettera con cui Fabio accompagnava la spedizione del saggio. L’ho trovata molto divertente (e non solo); con il consenso dell’autore, la ripropongo qui. a.r.

Porca vacca, Andrea, scusa se non ti ho scritto prima ma il lavoro e altre ordinarie cazzate mi hanno rallentato nella trascrizione degli appunti presi a Reggio Emilia. Beh, alla fine mi son fatto prendere troppo, e dunque mi dispiace infliggerti il papiro (goffo, gonfio) che trovi in allegato. Ma m’è venuto così, e ho provato a scriverlo per te in modo non dico da sostituire l’esperienza diretta della cosa (e che! sarei pazzo) ma da inzepparlo di dettagli, particolari e osservazioni prese sia dalla mostra che dal catalogo. Scusa l’esagerazione evidente del tutto. L’occhio è comunque il mio e ahimè si vede.

Reggio Emilia mi è apparsa una città tutta implosa nel suo piccolo centro, ferma in un’aria sospesa e un po’ stremata, in un’eterna domenica (di quelle alla Laforgue). Però pare che facciano bene la pizza e anche il gelato (me lo dice V., io mi sono nutrito esclusivamente di tortelli e radicchio).

Abbiamo trovato economico alloggio in un B&B appena aperto da una signora che fa l’architetto e ha ereditato due piani di un bel palazzo del Seicento con quadri e arredi inclusi. La partecipazione alla mostra mi è parsa abbastanza distratta, nel senso che la gente entrava più che altro perché non aveva un cazzo da fare durante lo struscio del sabato pomeriggio, e poi perché credono che l’avanguardia – o ciò che viene presentato come tale – faccia molto trendy da quelle parti.

Terra! (mia, tua, loro, di camorra)

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Nico contro la guerra
di
Paolo Mossetti
Nico ripete questi gesti a memoria, ormai: riempie un secchio con acqua fredda, usando l’annaffiatoio del giardino; ci versa dentro cinquanta grammi di colla in polvere, quella per la carta da parati; mescola a ritmo rapido e regolare per circa venti minuti, con il manico di una scopa, affinché acqua e colla diventino tutt’uno, un liquame viscoso e biancastro. Si sente ancora intorpidito dal sonno, Nico. Dà un’occhiata all’orologio: le due e mezza del mattino. Il cellulare inizia a vibrare: sono arrivati Peppe e Andrea, e lo aspettano in macchina. Lui partirà con loro, con il secchio, la scopa e i poster da attaccare in giro per Napoli: inizia così la sua nottata da assaltatore di muri.

L’invidia di Basemah

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di Franz Krauspenhaar

Smetta di piangere, dico alla donna. Lei, la sirena, è giovane, le trecce bionde, truccata come se dovesse andare a una festa; il rimmel le cola giù per la faccia infantile, rosea, di ragazzina trecciuta, e sbalza all’altezza di una piccola cicatrice appena sopra la parte sinistra del labbro. Smetta di piangere e ragioniamo.

Una stanza tutta per Flush

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di Chiara Valerio

Flush è il nome del cane di Elizabeth Barrett Browning, poetessa, nata nel 1801 a Durham.

Se Elizabeth Barrett Browning, poetessa, fosse nata cinquanta anni più tardi, se dunque il giovane cane le fosse giunto invece che nel 1842, nel 1886, anno in cui la Beaufort Works di Chelsea, Londra, aveva brevettato il primo bagno dotato di scarico automatico appellandolo Flush toilet forse, forse ma i poeti si sa soffrono di ossessioni, la scelta sarebbe caduta sui più comuni Catilina, Folly o Nerone.

da “canti ostili”

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di Italo Testa

strangeways, here we come     

arriviamo su vie strane, amici 
e non c’è un veliero ad attenderci, 
arriviamo a forza di braccia, 
arriviamo e scivoliamo, 
respirando oltre, stendendoci 
sulle assi del ponte; allarme, 
ad ogni ora il mare si gonfia 
abbassa una benda alla bocca; 
ogni istante animali urlano: 
teniamo un cofanetto tra le mani 
per conservare i resti, la traccia, 
il setto vitale, la minaccia 
delle falangi che cadono. 
variamente il cielo esplode, 
sulle date di costruzione, 
sull’espressione di una caduta: 
apriamo un ombrello per resistere, 
neghiamo il senso, vegliamo 
per garantirci una vera fine, 
per non cedere ai topazi del cielo, 
ai topi pazzi di un’altra vita; 
inforchiamo paraocchi, stringiamo, 
chiudiamo il campo all’orizzonte; 
guardiamo a fianco, per una volta 
il sangue non manca di lato; 
prendiamo stracci, strofiniamo 
consumandoci le braccia, neri 
di vergogna. continuiamo. 

I numeri, la pancia, la ricostruzione

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malevic

di Leonardo Palmisano

Per una settimana ho smesso con la politica.
Dopo aver passato i giorni a cavallo tra il 12 e il 14 aprile in treno (Torino-Fasano e ritorno, per complessive 21 ore) a correggere le bozze di un manuale di storia moderna per licei, a chiacchierare con elettori migranti e a litigare con passeggeri arroganti (convinti di avere il diritto di guardare l’ultimo film di Verdone al computer con il volume al massimo, in mezzo a settanta persone del tutto disinteressate – ma anche del tutto prive del coraggio di difendere i propri diritti!), ho deciso che mi meritavo qualche giorno di riposo.
Non sono però riuscito a smettere di chiedermi “Perché di nuovo Berlusconi?”, “In che Paese viviamo?”, e dato che le possibili risposte si rincorrevano e si sovrapponevano l’una all’altra, qualche giorno fa ho deciso che l’unico vero rifugio potevano essere i numeri.

Delle cose perdute

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di Orsola Puecher

25 aprile

 

Quindici uomini uccisi dai fascisti.
Il dieci agosto del quarantaquattro.
A Piazzale Loreto, a Milano.
Quindici antifascisti detenuti
nel carcere di San Vittore.

Per questo eccidio condannato dal Tribunale Militare di Torino il capitano delle SS Theodor Saevecke. Nel 1999. All’ergastolo. In contumacia. Come tanti altri. Ormai più che ottuagenario. Visse una tranquilla esistenza in Germania. Da persona per bene. Non un giorno di prigione. Come tanti altri. Non si pentì mai e chiese allo Stato Italiano un risarcimento per la condanna.

“Fuori commercio”. Nuova collana di poesia.

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La casa editrice Transeuropa sta per varare una nuova collana di poesia, “Fuori commercio”. Un’idea originale, i cui dettagli potete leggere qui

Il pisello di fuori, la notizia, l’oblio di sé

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penis-3.jpg di Andrea Inglese

Se ripenso un attimo alla mie vicende scolastiche, dalle elementari fino al liceo, in termini di infrazioni penali, penso che avrei potuto totalizzare almeno dieci anni di carcere. Senz’altro gli “atti osceni” l’avrebbero fatta da padrone, in quanto a tipologia di reato. Penso anche che almeno un terzo degli alunni di tutte le classi in cui sono stato avrebbero puntualmente condiviso con me tale destino. La prima denuncia avrei potuto collezionarla in seconda elementare quando, in refettorio, abbassai i calzoncini al fratello piccolo della mia giovane maestra, che mi sgridò poi inferocita. Ma i veri maxiprocessi si sarebbero svolti soprattutto a partire dalla terza media. La terza media corrispose, per noi alunni, ai grandi trionfi pubici, ossia alle più svariate e assidue esibizioni, in aula, della nostra peluria, dei nostri piselli in erezione, e delle tracce di sperma su lembi di camicia, fazzoletti, o altro.

Terra!Sperare non sparare (dal fronte occidentale)

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Alla testa
di
Andrea Bottalico

(…)Georgi Stoev aveva trentaquattro anni. Robusto, una foto lo ritrae con un libro in mano che osserva altrove, la giacca di pelle copre un corpo robusto, da torello. Da ragazzo sognava di diventare un wrestler. Il suo sguardo rassegnato scruta con attenzione chi ha davanti, ma nasconde rabbia, secerne veleno. Georgi Stoev era uno scrittore. L’hanno ammazzato il 7 aprile in pieno centro a Sofia due sicari. Tre colpi di pistola, uno alla testa. Sopravvissuto all’agguato, è morto all’ospedale dopo una breve agonia. Eppure lo sospettava da tempo, si sentiva minacciato, in pericolo. Dicono che abbia chiesto la protezione ma il ministro della giustizia bulgaro era uno dei personaggi citati nei suoi libri.

Provenza in primavera

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di Marina Torossi Tevini

L’inconscio fa capolino tra gli scarti del pensiero dove le logiche muoiono. Sul terreno devastato la notte avanza. Giornata tremenda ieri: pianura padana e mal di denti. Il sonno però deve aver ricomposto qualche frammento scompaginato del mio inconscio, penso, passeggiando in una piovosa mattina ligure.

Glavaise, 100 euro a notte

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di Isabella Borghese

L’appuntamento con Glavaise era alle 21, 30 al capolinea del 93, al Verano. Glavaise era a Roma da solo un anno. Di lei i sampietrini della Tiburtina e il bar in via De Lollis raccontavano che aveva una sorella in Inghilterra dal 1993. Forse era ancora lì, ma poi chissà, era ancora viva?, Glavaise non la sentiva da tempo. Ricordava solo che era scappata in Inghilterra perché nel suo paese non sapeva se sarebbe morta per una coltellata o un colpo di pistola, e non voleva nemmeno nominarlo il suo paese, non diceva mai a nessuno le sue origini.

Variazioni Meridiano – 8: Luigi Pingitore

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Esilio, Lingua, Resistenza
Ed è tutto quello a cui potevi arrivare, volendo.

Il bambino si stendeva per terra e la sua agonia si curvava
(F.G. Lorca)

Un bambino si stende a terra. Tende allo spasimo il corpo, piega gli arti per raggiungerla; vuole sentire con la faccia il caloroso dolore; la sua agonia (per metonimia) si curva.
In poesia l’atto mentale e l’atto fisico sono imprescindibilmente legati. Non si può pensare se non si sente. Non c’è dimensione più fisica, linguaggio più sensuale e tattile di quello poetico. Nasce da questo; dal contatto – faccia sulla terra – per assorbire la realtà e l’irrealtà. Le cose del mondo vanno, hanno percorsi precisi o imprecisi, traiettorie di afa, indifferentemente da questo contatto. Ma come può questa indifferenza del mondo sminuire la sua necessità?
L’uomo si stende sul dorso del mondo, come un navajo che ascolti l’arrivo della guerra. Mentre pensa che sta arrivando, la sua mente costruisce l’immagine. Ne nasce una dipendenza che lo isola dal contesto della guerra. Il suo sforzo è rompere quell’isolamento ma senza disperderlo: deve comunicare, spalancare gli occhi verso l’esterno, ma non aprirli completamente. Perderebbe il sogno. Eyes wide shut.
Ecco l’esilio. Necessario. E comunque inevitabile.

Cercare le ragioni della sconfitta della sinistra – Ridere oggi in Italia

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di Christian Raimo

Nell’ultimo film di Carlo Verdone Grande, grosso e Verdone, per la prima volta sullo schermo viene rappresentato comicamente un personaggio cardinale della nuova antropologia italiana. Il burino che si atteggiava da Elvis con la spider di Un sacco bello, diventato il coatto che lo “faceva strano” in Viaggi di nozze, qui si è trasformato in Moreno Vecchiarutti, gestore di un negozio di telefonia, che insieme alla moglie Enza cerca di uscire da una crisi di coppia e di ritrovare qualsiasi dialogo con il figlio quattordicenne che vive solo di calcio, e invece di “sì” e “no”, risponde tirando fuori il cartellino giallo e quello rosso. L’elemento che riesce a ritrarre perfettamente Verdone è che Moreno pur avendo cinquant’anni non è un adulto: rispetto al figlio non mostra alcuna differenza generazionale, non ha alcun contenuto educativo da offrirgli, e soprattutto si veste come un ragazzino – ossia (non so se avete presente), come si veste la maggior parte dei cinquantenni volgarotti da maggio in poi in Italia: maglietta attillata, pantaloni corti sotto al ginocchio e ciabatte.

«Quindici» colpisce ancora

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di Andrea Cortellessa

Esce in libreria, nell’«Universale Economica» Feltrinelli, Quindici. Una rivista e il Sessantotto, un’ampia antologia della rivista uscita fra il ’67 e il ’69. L’ha curata Nanni Balestrini, io ho scritto una postfazione che s’intitola Volevamo la luna. Non se n’è mai stato con le mani in mano, Balestrini. Ma a settantatré anni vive un periodo di straordinario dinamismo. Alla fine del 2007 ha riproposto – per le edizioni DeriveApprodi che da qualche anno stanno ristampando l’intera sua opera narrativa – un altro splendido reperto dei più fulgidi Sixties, il «romanzo multiplo» Tristano che per l’occasione ha remixato e, grazie a una macchina digitale della Xerox, stampato in più di tremila esemplari ciascuno diverso dall’altro (ciò che nel ’66 non era tecnicamente possibile). L’esperimento ha destato grande interesse, non solo e non tanto da parte dei letterati quanto di filosofi, semiologi, persino giuristi ed economisti: i quali hanno di che ragionare sulle implicazioni che questo gesto comporta nel nostro modo di concepire un libro o una qualsiasi opera dell’ingegno (se ne parlerà il 17 e il 18 maggio, a Venezia, in un convegno promosso da Paolo Fabbri allo IUAV). Balestrini intanto continua, sempre forbici alla mano, la sua sorprendente attività di artista visivo, pure all’insegna della combinatoria dei linguaggi (al festival di poesia di Parma, il 18 giugno, si inaugura una sua antologica). L’ho incontrato a Roma, nella sua casa di Via Merulana.

Cos’è il degrado?

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[da ieri fino a venerdì prossimo a Fahrenheit su radio tre, attorno alle 17.30, mando una lettera agli ascoltatori della trasmissione. Questo è quello che ho detto oggi.]

di Gianni Biondillo

Care ascoltatrici e cari ascoltatori,

Mi ricordo che aprirono il cantiere che la mia prima figlia ancora faceva l’asilo nido. Nel frattempo ha terminato i tre anni della scuola materna e ha frequentato, con successo, la prima elementare. Ora è in seconda. E il cantiere è ancora lì: parcheggio sotterraneo in via Benedetto Marcello, Milano, Italia.

Terra! Grande, piccola editoria

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Sulla scia di quanto cominciato qui,ho chiesto allo scrittore Angelo Petrella di parlarci di un esperimento editoriale in atto, a Napoli, anzi a Est della città.
AD EST DELL’EQUATORE: UNA NUOVA CASA EDITRICE (A NAPOLI)
di
Angelo Petrella

In un mercato come quello napoletano, dove regnano incontrastati i famigerati editori “a pagamento”, il progetto di una piccola casa editrice può apparire davvero ambizioso. Soprattutto se a realizzarlo sono due fratelli poco più che ventenni. Ciro e Marco Marino hanno infatti da poco aperto una casa editrice a Ponticelli, nel cuore della Napoli “sporca”, in un ex laboratorio tipografico nel retro di una sartoria.

Ritratto lucano

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di M. Vittoria Smaldone

“Sono disposto anche a lavorare in nero, ma io di qui non me ne vado!”. Paolo è arrabbiato quando pronuncia queste parole. Parla e gesticola molto. La rabbia di questo ragazzo bruno riccioluto è però mista a disperazione. E’ la disperazione di un ragazzo lucano di 26 anni che, a differenza di tanti suoi coetanei, ha deciso di rimanere in Basilicata, di non emigrare. Un ragazzo che ama la sua terra e rivendica con forza il diritto di viverci.”Io voglio vivere qui, a casa mia, costruire una famiglia nella mia terra”.

Paolo vive a Pignola, un piccolo comune in provincia di Potenza. Sette mila residenti ma un tasso di incremento demografico da far invidia alla Lucania intera, regione in spopolamento. Perché? Non per la moda di andare a vivere nelle grandi metropoli- molti, fra i quali il Rettore dell’Università degli studi della Basilicata Tamburro, ritengono che i giovani lascino la Lucania perché è cool dire di studiare fuori- ma perché tra questi monti “senza raccomandazione non c’è lavoro”. Possibile? Con tutte le risorse che la Lucania ha?Acqua, petrolio, storia e paesaggi non riescono a dare ricchezza agli abitanti della terra di Orazio.. In realtà, nella regione con il numero più elevato di studenti universitari, circa il 40% , i primi a far la valigia sono proprio loro. Tanti giovani lucani scelgono di formarsi fuori regione. Però, poi, una volta laureati, è difficile trovar lavoro in patria. Eppure si tratta spesso di menti eccellenti, i così detti “cervelli”.

Nasce Il Sottoscritto – sito e rivista culturale online

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E’ da poco in rete una nuova e importante realtà culturale del web. E’ un sito che nasce compiendo i primi passi nel web e guardando alla possibilità di una prossima versione cartacea. Al sito si affianca una rivista on line omonima, scaricabile (è già disponibile il primo numero). Il nome, Il Sottoscritto, è piaciuto perché implica l’idea di scrittura come anche suggerisce un’accezione di identità autorale. Forse è un po’ dada, ma ha superato l’esame di gradimento dei collaboratori.

VivaVoce#01: Thomas Stearns Eliot [1888–1965]

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T.S. Eliot ritratto da Wyndham Lewis

[T. S. Eliot in un ritratto di Percy Wyndham Lewis (1882 – 1957)]


The Love Song of J. Alfred Prufrock

letta dalla viva voce di Thomas Stearns Eliot – con ironia sottile –
pause e tensione drammatica da monologo teatrale

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Let us go then, you and I,
When the evening is spread out against the sky
Like a patient etherized upon a table;
Let us go, through certain half-deserted streets,
The muttering retreats
Of restless nights in one-night cheap hotels
And sawdust restaurants with oyster-shells:
Streets that follow like a tedious argument
Of insidious intent
To lead you to an overwhelming question. . .    10
Oh, do not ask, “What is it?”
Let us go and make our visit.